Displasia Congenita all’Anca: Approccio in Palestra

Displasia Congenita all’Anca: Approccio in Palestra
Ultima modifica 05.10.2020
INDICE
  1. Introduzione
  2. Ruolo dell’Istruttore
  3. Anatomia
  4. Displasia Congenita dell'Anca
  5. Coxoartrosi
  6. Quale Approccio
  7. In Palestra
  8. Bibliografia

Introduzione

Oggi più che mai gli istruttori di sala pesi devono saper approcciarsi ai clienti che presentano problemi e disfunzioni fisiche o addirittura gravi patologie.

Displasia Congenita all’Anca Shutterstock

In questo articolo parleremo, nel dettaglio, della displasia congenita all'anca, cercando di capire come l'istruttore ha il dovere di comportarsi per ottimizzarne la terapia motoria.

Ruolo dell’Istruttore

Nel trattamento della displasia congenita all'anca, ma anche di molte altre condizioni disagevoli, si richiede all'istruttore di adattare le proprie conoscenze di anatomia, fisiologia, psicologia e di teoria dell'allenamento al singolo caso – quindi alla persona e al quadro clinico.

Il trainer potrà quindi assicurarsi maggiori probabilità di successo grazie alla "duttilità", allontanandosi dalla pratica comune di usare per ogni cliente modelli e stereotipi d'allenamento tutti uguali.

La pratica del fitness e di un qualsiasi altro sport (se praticato con serenità e tecnicamente correttamente) ha la peculiarità di migliorare la situazione psico-fisica della persona. Per lo sportivo dilettante, non alla ricerca esasperata della "prestazione", diventa fondamentale anche il momento di aggregazione che lo sport rappresenta. Per quanto riguarda il fitness parliamo di uno sport per tutti, uno sport "non classista", che non ci obbliga a comprare costose attrezzature e ci impegna ad iscriverci in club esclusivi.

L'obbiettivo del trainer sarà perciò cercare di rendere la pratica sportiva per il soggetto displasico la più agevole e funzionale possibile, in un'ottica di crescita sociale e relazionale e in termini di miglioramento o quanto meno di non peggioramento della patologia.

Infine è doveroso dire che la preparazione teorica del trainer diventa fondamentale anche per sapere dove il proprio operato termina e per avere la lucidità di appoggiarsi a personale medico e terapisti specializzati.

Anatomia

L'articolazione dell'anca o articolazione coxofemorale, che unisce il femore al bacino, è un'enartrosi – la testa del femore si muove nell'acetabolo (vedi figura1).

Un tessuto liscio e morbido, la cartilagine, ricopre le due superfici. La cartilagine ha la principale funzione di far scivolare le due superfici articolari l'una sull'altra e di distribuire al meglio i carichi che agiscono sull'anca.

Muscoli, legamenti e tendini circondano l'articolazione dell'anca. I muscoli si attaccano all'osso tramite un robusto tessuto, il tendine. Le due ossa sono legate l'una all'altra mediante nastri fibrosi chiamati legamenti.

figura 1 Shutterstock
Articolazione coxo-femorale normale

All'interno dell'articolazione e intorno ai legamenti è presente una sottile membrana che produce il liquido sinoviale di lubrificazione.

Durante il movimento, la cartilagine ialina (quella sulla superficie ossea articolare) permette lo scivolamento delle due superfici l'una sull'altra, i muscoli imprimono forza al movimento, i legamenti e i tendini sono di supporto ai muscoli e il liquido sinoviale riduce gli attriti.

Displasia Congenita dell'Anca

La displasia congenita dell'anca è un'anomalia congenita dello sviluppo delle componenti dell'articolazione dell'anca, che porta alla progressiva perdita dei normali rapporti anatomici tra femore e bacino.

A carico dell'acetabolo le alterazioni sono una ridotta profondità della cavità cotiloidea e sfuggenza del tetto cotiloideo; a carico della testa del femore le malformazioni sono un eccessivo valgismo del collo femorale, antiversione del collo femorale e ritardo nella comparsa del nucleo di ossificazione della testa femorale.

Colpisce 2 neonati su 1000, soprattutto femmine. È spesso evidente l'ereditarietà di questa malattia.

Se la diagnosi viene fatta precocemente, è possibile ottenere un normale sviluppo dell'articolazione grazie all'uso di appositi tutori nei primi mesi di vita. Se invece non viene trattata, la displasia congenita dell'anca porta inevitabilmente ad un quadro di artrosi importante, con sovvertimento della normale anatomia dell'anca (vedi figura 2).

displasia con artrite a destra Shutterstock
displasia con artrite a destra

Nell'adulto si possono verificare due condizioni, a seconda che l'anca sia lussata o meno:

  • Nel primo caso, i problemi sono più spesso a carico della colonna (iperlordosi) e del ginocchio (valgo), che vengono costretti ad un sovraccarico funzionale di compenso;
  • Nel secondo caso, un'anca sub-lussata o centrata ma con un acetabolo poco profondo (displasia residua) può sviluppare precocemente un'artrosi severa, che differisce da quella primaria per la grave limitazione della rotazione esterna e per l'importante accorciamento dell'arto.

Coxoartrosi

L'artrosi dell'anca o coxartrosi è una patologia frequente e altamente invalidante.

Nella stragrande maggioranza dei casi non se ne conosce la causa (coxartrosi idiopatica), in altri casi l'artrosi può essere la conseguenza di traumi all'anca o di alterazioni congenite come la displasia congenita dell'anca. Nella forma primitiva colpisce soggetti di età superiore ai 65 anni.

L'artrosi è caratterizzata da un progressivo danneggiamento della cartilagine articolare, fino ad arrivare alla perdita dello spazio libero tra le due ossa dell'articolazione.

Queste, non più protette dalla cartilagine, vanno incontro ad usura.

Quale Approccio

Secondo Carl Rogers ogni individuo possiede forti spinte verso la crescita, la salute, l'adattamento; verso cioè quello che si definisce realizzazione di sé (tendenza attualizzante).

Secondo questo principio, il cliente è nella stessa posizione del trainer. La caratteristica peculiare di tale approccio è che pone l'esperienza del cliente, del trainer e il presente immediato della loro relazione, al centro dell'attenzione in ogni incontro.

Il trainer tenta di collocare il suo lavoro il più vicino possibile all'esperienza del cliente nella relazione presente. L'esperienza dell'individuo viene presa seriamente senza nessuna precondizione, ma semplicemente com'è nell'immediato: come la persona è divenuta ed è attraverso le sue relazioni, ciò che è al presente e come è capace di divenire in un futuro prossimo. Questo include il divenire della persona, come è nelle relazioni, come è al momento attuale e come riesce a svilupparsi ulteriormente nel suo futuro.

In questo approccio si dà fiducia alla capacità del cliente di essere capace di vivere la propria vita e di affrontare i problemi contando sulle proprie risorse, nel caso in cui possa vivere una relazione dove siano presenti certe condizioni facilitanti. Tutto ciò comporta la rottura con l'immagine e la funzione tradizionali del trainer come esperto dei problemi del cliente. Al contrario, il trainer si considera collaboratore e compagno che cresce insieme al cliente in un processo di incontro da-persona-a-persona.

L'essenza più evidente di questi presupposti, è che non vi è una teoria preconcetta alla quale doversi adattare, alla quale dover cercare di corrispondere. Non vi è una verità oggettiva a cui dover fare riferimento, l'unica verità è il vissuto della persona in difficoltà. Secondo questo pensiero, ogni individuo è l'unico a possedere la chiave di sé stesso, ossia la propria consapevolezza di sé e quindi le risposte alle proprie domande e le soluzioni dei propri problemi. In questa ottica il fuoco dell'attenzione è centrato sulla dimensione esistenziale del rapporto che si instaura tra due o più persone. Ed è proprio l'intensità della qualità del rapporto che permette alle persone ed ai gruppi di comunicare efficacemente, svilupparsi, evolversi, risolvere problemi, esprimere al massimo le proprie potenzialità, crescere.

Perché si instauri una buona relazione in un'ottica di miglioramento e crescita è necessaria la comprensione empatica del trainer del mondo interiore del cliente e della sua comunicazione. L'empatia è la capacità del trainer di vedere il vissuto del cliente come se fosse il cliente stesso. È importante comunque che la condizione del "come se" non venga persa perché l'empatia è capacità di ascolto, di lettura delle emozioni dell'altro e non identificazione del terapeuta con il cliente.

In Palestra

L'allenamento in palestra di un soggetto displasico prenderà in considerazione il miglioramento della mobilità articolare, del tono muscolare e di tutte le capacità condizionali e coordinative, in modo da poter garantire le attività quotidiane senza particolari problemi o limitazioni.

I muscoli estensori della regione lombare del busto, in particolare il quadrato dei lombi e sacrospinale, se eccessivamente tonici e "accorciati" tendono a ruotare il bacino in anteroversione, quindi ad accentuare la lordosi lombare, situazione molto comune in un soggetto displasico.

Al contrario, i muscoli flessori del busto (retto dell'addome, obliquo interno, obliquo esterno) e i muscoli estensori delle cosce (piriforme, grande gluteo, bicipite femorale, semitendinoso, semimembranoso, grande adduttore) bilanciano l'azione degli estensori del busto agendo nella retroversione del bacino.

Ci concentreremo perciò su esercizi a corpo libero e con macchinari che interessino i suddetti muscoli.

Per quanto riguarda il lavoro sui glutei analizziamo il movimento di estensione della coscia sul bacino: l'estensione è il movimento che porta l'arto inferiore posteriormente al piano frontale. Come per la flessione, la sua ampiezza è differente a seconda che sia di tipo attivo o passivo e che avvenga a ginocchio flesso o esteso. I valori tipici per un'estensione attiva sono: 20 ° e 10 ° rispettivamente per ginocchio esteso e ginocchio flesso.

Prediligeremo quindi l'estensione a ginocchio esteso per dare più stabilità all'articolazione dell'anca e permetterci un lavoro in maggiore sicurezza.

Per quanto riguarda l'addome andremo a lavorare con le gambe tese in appoggio alla spalliera (inclinazione > 45 °): tale posizione verrà assunta per consentire ad un soggetto con un addome non allenato di tonificare quest'ultimo senza "aiutarsi" con l'azione dei muscoli della coscia e dello psoas iliaco che interviene nella flessione della coscia sul bacino (posizione "classica" per il crunch).

I primi esercizi che si possono eseguire saranno perciò i seguenti:

  • Flesso estensioni del piede (contrazione, allungamento tricipite della sura, tibiale, peroneo);
  • A gamba estese flettere il ginocchio e l'anca senza sollevare il tallone da terra;
  • Contrazioni isometriche del quadricipite femorale. Mantenere la contrazione per 6 -10'' con un riposo di 4-5'' fra le ripetizioni;
  • Contrarre il muscolo quadricipite e mantenendolo contratto, sollevare l'arto inferiore di circa 20 cm. Rimanere in tale posizione per 8-10'';
  • Contrazioni isometriche dei glutei da posizione prona. Mantenere la contrazione per 6 -10'' con un riposo di 4-5'' fra le ripetizioni;
  • Abduzioni scivolando su una superficie liscia senza staccare l'arto inferiore dal suolo appoggio ad una sedia, poltrona o ad una sbarra alla parete;
  • Flessioni d'anca a meno di 90° mantenendo la posizione per alcuni secondi,
  • Estensioni d'anca senza inarcare la schiena, mantenendo la posizione alcuni secondi;
  • Abduzioni d'anca mantenendo il ginocchio e il piede dritti;
  • Crunch a terra con gambe tese in appoggio alla spalliera;
  • Crunch su obliqui con gambe tese in appoggio alla spalliera;

In un secondo tempo si potranno aggiungere all'allenamento: Estensioni d'anca con elastico.

  • Abduzioni d'anca con elastico;
  • Flessioni d'anca con elastico;
  • Standing Leg curl;

Verranno quindi inizialmente eseguite 12-15 ripetizioni per 2 serie, che verranno gradualmente aumentate fino a 4.

Si potrà in seguito sostituire gli elastici con cavigliere da chilo. Sarà bene in questo periodo eseguire anche 10 minuti di bike ad inizio e fine allenamento, tenendo la sella molto alta oppure iniziando con la pedalata all'indietro.

Bibliografia

  • Università di Palermo - Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Legale - "displasia congenita dell'anca" Tommasos Vincenzo Bartolotta
  • Numair J, Joshi AB, Murphy JC, Porter ML, Hardinge K. Total hip arthroplasty for congenital dysplasia or dislocation of the hip. Survivorship analysis and long-term results. J Bone Joint Surg Am. 1997 Sep;79(9):1352-60.
  • Rogers C., "La terapia centrata sul cliente", Martinelli, Firenze 1970.
  • Rogers C., "Libertà nell'apprendimento", Giunti-Barbera, Firenze 1973.
  • Fabio Grossi - Tesi di perfezionamento "L'istruttore di fitness: un approccio "rogersiano"

Autore

Riccardo Borgacci

Riccardo Borgacci

Laureato in Scienze motorie - indirizzo Tecnico Sportivo Laureato in Dietistica
Laureato in Scienze motorie e in Dietistica, esercita in libera professione attività di tipo ambulatoriale come dietista e personal trainer