Idoneità agonistica per atleti con alterazioni e patologie cardiovascolari

Ultima modifica 21.01.2020

[Fonti articolo: Barry J. Maron e Jere H. Mitchell]


Un importante aspetto dell'attività competitiva consiste nel verificare se l'atleta sia in grado di esercitare il proprio giudizio, la propria valutazione libera e indipendente per interrompere l'attività sportiva nel caso sia necessario. Ad esempio, sintomi quali le vertigini, le lipotimie, la dispnea o il dolore precordiale o qualunque altro sintomo minaccioso collegabile a malattie cardiache, osservati come conseguenza o durante l'attività sportiva competitiva, sono difficilmente distinguibili in maniera attendibile, dall'atleta stesso, dai normali disturbi di un'intensa attività fisica. È inoltre importante notare che, a causa delle circostanze particolari e delle pressioni dello sport competitivo in generale, spesso l'atleta non è in grado di interrompere l'attività fisica, anche quando si presentino obiettive necessità mediche di interromperla.
Un atleta può essere considerato competitivo indipendentemente dall'età e dal livello di attività sportiva praticata; ciò include l'età giovanile, le competizioni a livello di scuole inferiori, di college, a livello professionistico e di sport nella categoria masters o veterani. Le linee guida non sono state formulate per essere applicate alle attività sportive di tipo ricreativo non agonistico, e non devono costituire una limitazione per partecipare a programmi di riabilitazione cardiaca. Tuttavia, ci si rende conto che è molto probabile che alcuni medici utilizzino queste linee guida anche per atleti che partecipano a sport non competitivi e per soggetti non atleti, il cui lavoro comporta attività particolarmente vigorose e intense come i vigili del fuoco o gli infermieri impegnati nelle emergenze. Questo processo richiederà la definizione di criteri certi e di estrapolazioni corrette per valutare le differenze esistenti, nell'intensità dell'allenamento, tra atleti competitivi e persone che svolgano attività fisicamente molto pesanti.
Tuttavia dobbiamo sottolineare che la prevalenza di malattie cardiovascolari in una popolazione di giovani che pratica sport è molto bassa. Inoltre, benché il rischio preciso di morte improvvisa negli atleti con cardiopatie associate non sia noto, è comunque senza dubbio basso. Infatti è documentato che il numero degli atleti competitivi che muoiono di morte prematura ogni anno è ridotto, particolarmente quando si consideri l'ampio numero di atleti, di tutte le età, che partecipano alle molteplici attività sportive possibili. Almeno 5 milioni di giovani sono attivamente coinvolti in sport competitivi negli Stati Uniti a livello di High School (scuola media), di College (Liceo), e a livelli professionistici, e questo senza includere quelli che partecipano a programmi sportivi nella prima giovinezza, nella scuola elementare o a livello di Masters nell'età adulta.
Se la morte improvvisa negli atleti è un evento raro, perché dovremmo considerarlo un rilevante tema medico di discussione? Questo probabilmente è dovuto al fatto che pensiamo che gli atleti competitivi rappresentino la parte più sana e la più attiva della nostra società, per i quali eventi cardiaci drammatici sembrano del tutto improbabili. Di conseguenza, questi eventi drammatici diventano simbolici, sollevano problemi importanti, sfidano le conoscenze del medico e richiamano sempre immediata attenzione. La risonanza, inoltre, di questi eventi drammatici è di solito aumentata, in quanto amplificata dai mass media; ma l'interesse è di solito molto elevato poiché lo sport è diventato un lavoro molto vantaggioso dal punto di vista economico, e consente spesso agli atleti di raggiungere fama e celebrità. Per queste ragioni la morte improvvisa di un atleta può avere un impatto molto evidente sulla sensibilità del pubblico e al tempo stesso sugli atteggiamenti della professione medica.
Sono disponibili solo pochi dati certi che dimostrino come l'esercizio fisico molto intenso predisponga l'atleta, con alterazioni cardiovascolari, a una morte che altrimenti non sarebbe accaduta. D'altra parte non è dimostrato che l'interruzione dell'attività sportiva necessariamente prolunghi la vita. Quindi è possibile che il giudizio medico possa talvolta obbligare alcuni atleti a interrompere l'attività sportiva, in maniera ingiustificata e non necessaria. Questo naturalmente non è giustificato, poiché l'atleta trae, dall'attività sportiva, una considerevole sicurezza in se stesso, confidenza nei propri mezzi, benessere fisico oltre a un ritorno economico. Va sottolineato, inoltre, che le linee guida, che permettono all'atleta di praticare carichi definiti di attività fisica, proposte in questo documento, sono generalmente abbastanza rigide.
Tuttavia esse sono presentate nel contesto delle linee guida, quindi non dovrebbero essere considerate immodificabili o assolutamente limitative. Un medico, con un il suo bagaglio conoscitivo sulla severità della patologia cardiaca del singolo atleta, sulla risposta psicologica dello stesso alla gara competitiva e la conoscenza di altri fattori clinici, rilevanti dal punto di vista medico, può infatti scegliere di rendere meno limitative queste linee guida in alcuni casi selezionati.




A cura di: Lorenzo Boscariol


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