La translucenza nucale, in sigla NT, è un test di screening che valuta il rischio di anomalie cromosomiche durante i primi stadi di vita fetale.
Statisticamente parlando, l'interpretazione dei risultati della translucenza nucale permette di identificare il 75-80% dei feti colpiti da sindrome di Down, con una percentuale di falsi positivi del 5-8%. In pratica, quindi, su cento feti malati se ne individueranno 75-80 (a seconda delle fonti), mentre da cinque ad otto feti su 100 risulteranno falsamente soggetti ad un'anomalia genetica. Come chiariremo meglio in seguito, fortunatamente, ancor più elevato sarà il numero di feti che - attraverso ulteriori indagini - si riveleranno perfettamente sani nonostante la translucenza nucale abbia rilevato un alto rischio di anomalie cromosomiche.
Oltre ad indicare un rischio aumentato di trisomia 21 e di altre malattie cromosomiche più rare (come la trisomia 18), la translucenza nucale consente di quantificare la probabilità che il feto sia portatore di alcune malformazioni scheletriche e cardiache.
Quando si esegue?
La Translucenza nucale si esegue tra la 11a e la 14a settimana di gravidanza, sottoponendo l'utero della gestante ad una serie di onde sonore non percepibili dall'orecchio umano (ultrasuoni). Queste onde, assolutamente innocue sia per la madre che per il feto, vengono variamente riflesse dai tessuti in relazione alla loro densità, quindi captate dalla stessa sonda che le ha generate, convertite in un segnale elettrico ed elaborate da un calcolatore per fornire immagini dei tessuti esaminati.
Nella regione posteriore del collo fetale esiste un'area che non riflette gli ultrasuoni, quindi anecogena e translucente; in questa zona troviamo un piccolo accumulo fisiologico di liquido fra la cute ed i tessuti paravertebrali sottostanti. La raccolta di questo fluido inizia a comparire intorno alla 10a settimana di gravidanza ed aumenta di spessore nelle settimane successive, per poi diminuire fino ad annullarsi dopo la 14a settimana.
Translucenza nucale: significato clinico
Gli studiosi hanno notato come l'eccessivo spessore di questa zona di translucenza (detta plica nucale) sia riconducibile ad un aumentato rischio di Sindrome di Down o di altre patologie cromosomiche.
In linea generale, maggiore è lo spessore della translucenza nucale e maggiore è il rischio che il feto sia affetto da anomalie cromosomiche (in particolare da sindrome di Down e meno frequentemente da trisomia 13 o 18). Nonostante ciò, l'incremento della translucenza nucale non è sempre correlato a patologie, ma può essere un evento momentaneo; inoltre, quando ha significato patologico può anche essere presente in assenza di difetti cromosomici, ad esempio a causa di cardiopatie, alterazioni metaboliche con ipoprotidemia, anemie congenite o acquisite (infezioni), displasie scheletriche ecc.
Quando si parla di translucenza nucale, è importante ricordare che stiamo sempre e comunque parlando di un test di screening, e non di un esame diagnostico vero e proprio. Il risultato dell'esame, quindi, non ci dice se il feto è sano o malato, ma solamente le probabilità che lo sia. In altre parole, la negatività riduce il rischio ma non lo azzera, mentre la positività NON implica necessariamente che il feto sia affetto da malattia; piuttosto, impone ulteriori accertamenti diagnostici, che si realizzeranno tramite l'esame cromosomico su cellule fetali dopo villocentesi od amniocentesi; queste indagini, in genere, non si eseguono direttamente come primo esame, perché gravate da un piccolissimo ma non trascurabile rischio di aborto (0,5-1%).
Trattandosi di una metodica di screening, l'esito dell'esame non parla di positività o negatività, ma - grazie all'ausilio di un software elaborato dalla Fetal Medicine Foundation (Londra) e alla valutazione di altri parametri (età materna, peso, fumo ecc.) - esprime il rischio in termini statistici percentuali (ad esempio 1 caso patologico possibile su 1000 o un caso patologico possibile su 100). Se dallo studio emerge un profilo di rischio positivo, quindi, il referto non dev'essere confuso con la capacità del test di individuare feti interessati dalla sindrome di Down. Piuttosto, significa che tra tutti quei casi per cui l'esame referta "attenzione, esiste un certo rischio che impone ulteriori accertamenti", rientra anche una determinata percentuale di feti effettivamente interessati da sindrome di down (in questo caso il 75-80%). Alla successiva indagine amniocentica o villocentica, quindi, la stragrande maggioranza dei feti si confermerà priva di qualsiasi anomalia cromosomica; questo perché generalmente vengono inviate a queste indagini le gestanti con profilo di rischio uguale o superiore ad 1:250 (una o più probabilità su 250 che il feto sia malato).
Per migliorare l'affidabilità della translucenza nucale come metodica di screening precoce della sindrome di Down, l'esame viene oggi integrato con il cosiddetto duotest, che consiste nel simultaneo dosaggio ematico della gonadotropina corionica (subunità beta - β-hCG) e della PAPP-A (pregnancy-associated plasma protein = proteina plasmatica A associata alla gravidanza).
Un aumento della β-hCG ed una diminuzione della PAPP-A nel sangue venoso materno, sono considerati indice di un aumentato rischio di Sindrome di Down.
Le concentrazioni di queste due sostanze (PAPP-a e B-hCG) - moltiplicate per il rischio intrinseco dipendente dall'età materna, e integrate con il dato ecografico della translucenza nucale - permettono di riconoscere fino al 90% dei casi di Sindrome di Down, con una percentuale di falsi positivi del 5%. Pur trattandosi di percentuali di tutto rispetto, quando il rischio stimato è consistente, viene sempre e comunque suggerito di sottoporsi ad ulteriori esami diagnostici invasivi. L'indagine citogenetica fetale, eseguita tramite villocentesi od amniocentesi, potrà quindi escludere (come succede nella maggior parte dei casi) o confermare definitivamente, la Sindrome di Down, la Trisomia 18 ed altre anomalie cromosomiche.
L'esame della translucenza nucale può essere associato anche all'esame ecografico dell'osso nasale. Esaminare il profilo del feto durante l'ecografia, tra la 11a e la 14a settimana, ha infatti implicazioni importanti nello screening, poiché in questo periodo circa il 60-70% dei feti affetti da sindrome di Down non mostra un osso nasale visibile.
Una translucenza nucale elevata, anche quando il test combinato (ecografia + bi-test) risulta negativo, può associarsi ad un incremento del rischio di anomalia strutturale fetale (in particolare, come già ricordato, a carico del cuore). In tal caso è consigliabile un'ecografia di 2° livello da eseguirsi a 16 e/o 20-22 settimane di gestazione, con particolare riferimento allo studio del cuore.
NOTA BENE: L'integrazione del duotest con la translucenza nucale prende il nome di test combinato.
Come si esegue l'esame di translucenza nucale? Quanto dura? E' doloroso?
Talvolta l'esame può durare più di 30-45 minuti, a causa della necessità di effettuare più misurazioni con il feto in posizioni ben stabilite. Per lo stesso motivo, alla paziente può essere chiesto di tossire o di cambiare posizione, in modo da determinare lo spostamento del feto per una corretta scansione. L'esame è talvolta ostacolato da particolari condizioni, quali obesità materna o voluminosi fibromi della parete anteriore dell'utero.
E' indispensabile che la rilevazione della translucenza nucale sia effettuata da operatori esperti e qualificati, in modo che la successiva analisi del rischio possa essere standardizzata, precisa ed attendibile.
La misurazione ecografica della translucenza nucale può essere eseguita per via transaddominale o transvaginale; in quest'ultimo caso, l'esame consente di ottenere una migliore risoluzione dell'immagine ed una corretta scansione, ma può anche provocare un certo fastidio alla gestante.