Guarigione delle ferite: come avviene? Tutte le fasi

Guarigione delle ferite: come avviene? Tutte le fasi
Ultima modifica 22.07.2022
INDICE
  1. Generalità
  2. Riparazione per prima intenzione
  3. Riparazione per seconda intenzione
  4. Evoluzione del processo riparativo
  5. Biologia cellulare della guarigione delle ferite
  6. Tessuto di granulazione
  7. Fase cicatriziale
  8. Fattori che influenzano la guarigione
  9. Bibliografia

In questo articolo parleremo dei meccanismi che regolano la guarigione delle ferite, cercando di semplificare i concetti più difficili, in modo da soddisfare le necessità anche di chi non può contare su un'ampia base di conoscenze specifiche.

Ovviamente, non ometteremo la terminologia specifica e saremo comunque sufficientemente accurati. Nell'ultimo paragrafo inoltre, elencheremo la bibliografia essenziale per chi volesse approfondire alcuni passaggi.

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Generalità

Cito- e istologia, e introduzione alle fasi della guarigione

La guarigione delle ferite rappresenta la capacità del nostro organismo di riparare un tessuto leso. Essa può aver luogo per rigenerazione (le cellule danneggiate sono sostituite con cellule dello stesso tipo), oppure per sostituzione con tessuto connettivo (fibrosi).

Nel primo caso in genere la riparazione non da luogo ad esiti cicatriziali di rilievo, mentre nel secondo caso si ha la formazione di una cicatrice permanente.

A parte pochissimi tessuti quasi esclusivamente costituiti da cellule non proliferanti, la grande maggioranza degli altri tessuti è costituita da diverse popolazioni cellulari, alcune delle quali attivamente proliferanti, altre quiescenti ma che possono entrare in proliferazione, ed altre ancora assolutamente incapaci di proliferare.

Le cellule, in base alla loro capacità replicativa, possono essere classificate in cellule labili (in attiva proliferazione), stabili (normalmente quiescenti ma in grado di riprendere la proliferazione), e perenni (definitivamente uscite dal ciclo cellulare e pertanto incapaci di proliferare).

Questa suddivisione permette anche di classificare i tessuti del nostro organismo, in base all' origine istologica, in tessuti labili, stabili o perenni.

Sono tipicamente labili gli epiteli di rivestimento, gli epiteli mucosecernenti, e le cellule emopoietiche. In questi tessuti la capacità proliferativa risiede in un ricco corredo di cellule staminali che mantengono intatta la capacità di intraprendere differenti cammini differenziativi.

Sono tipicamente stabili le cellule parenchimali degli organi ghiandolari (fegatorenipancreas), le cellule mesenchimali (fibroblasti e cellule muscolari lisce), gli endoteli vascolari.

Sono cellule perenni i neuroni e le cellule muscolari, scheletriche e cardiache.

La capacità delle cellule labili e stabili di proliferare non implica di per sé la ricostituzione dell'architettura tissutale normale nel corso processo di riparazione. Ciò dipende dal fatto che, perché venga ristabilita una normale citoarchitettonica, occorre che le cellule proliferanti possano stabilire un intimo rapporto con le strutture connettivali, ed in particolare con la membrana basale,  nel caso per esempio dei tessuti epiteliali.

La distruzione della membrana basale altera profondamente la polarità di crescita e le relazioni reciproche delle cellule epiteliali, e ciò rende molto difficile ripristinate l'originaria architettura tissutale.

Nel caso delle cellule (e dei tessuti) perenni, una modesta attività proliferativa è presente nel muscolo striato scheletrico, ad opera delle cellule satelliti periferiche, ma raramente si ha una rigenerazione efficiente. Frequentemente si ha riparazione del danno con formazione di cicatrice fibrosa. Nel sistema nervoso centrale infine i neuroni danneggiati vengono sostituiti dalla proliferazione delle cellule gliali.

Nella guarigione delle ferite si ha sempre la più o meno estesa formazione di una cicatrice fibrosa, dovuta proprio al ruolo cardine del tessuto connettivo nel ristabilire la continuità tissutale interrotta. La modalità di guarigione della ferita determinerà se la cicatrice sarà più o meno ampia, più o meno visibile all' ispezione esterna, o più o meno lesiva delle proprietà meccaniche del tessuto.

Come vedremo più oltre, la riparazione delle ferite è un processo fortemente affine alla risposta infiammatoria (anzi alcuni la considerano una sorta di "infiammazione fisiologica"), la cui risoluzione (compresi gli esiti cicatriziali) è inevitabilmente influenzata dall' intensità, dalla durata e dagli elementi cellulari dominanti.

I meccanismi biochimici e molecolari sono qualitativamente sempre gli stessi, e lo stesso anche il significato biologico: ristabilire, prima temporaneamente e poi stabilmente, l'integrità tissutale.

Nel processo complessivo di riparazione, possono essere riconosciute tre componenti in parte funzionalmente e temporalmente separate: la fase dell' emostasi, la fase dell'infiammazione e quella della rigenerazione.

E' importante tuttavia sottolineare che queste componenti possono essere separate solo molto schematicamente, e che nella gran parte dei casi sono al contrario intimamente interconnesse.

Storicamente è invalsa l'abitudine (da far risalire probabilmente alla tradizione medico-chirurgica medioevale) di identificare due modalità per la guarigione delle ferite: per prima intenzione o per seconda intenzione (dove l' intenzione è quella idealmente  "manifestata" dalla ferita a seguire l'una o l'altra strada).

E' importante sottolineare che queste due modalità differiscono essenzialmente per l'entità dei fenomeni riparativi, ma non per i meccanismi coinvolti, che sono fondamentalmente gli stessi.

La guarigione per prima intenzione è quella di gran lunga più favorevole: la ferita è pulita (non infetta), a margini netti, ravvicinati, giustapposti, con scarsa perdita di sostanza. Nel caso delle ferite chirurgiche o di quelle accidentali suturate, i margini sono accuratamente accostati con l' uso di punti di sutura, una procedura che ulteriormente agevola la riparazione.

La guarigione per seconda intenzione è tipica di quelle ferite caratterizzate da estesa perdita di sostanza o infezioni batteriche. In questo caso viene evocata un' intensa risposta infiammatoria, e si ha una massiccia produzione di tessuto di granulazione per riparare l' estesa perdita di sostanza.

Entrambi questi fenomeni alterano profondamente il normale processo riparativo e provocano importanti esiti cicatriziali.

Riparazione per prima intenzione

La prima fase è quella dell' emostasi. L'emorragia provocata dalla lesione dei tessuti viene tamponata da tre processi, inizialmente sequenziali e poi contemporanei.

Subito dopo la lesione tissutale, si produce una transiente vasocostrizione arteriosa dovuta in larga misura ad un riflesso vasocostrittore neurogeno, ma in parte anche al rilascio locale di endotelina.

Segue poi l'attivazione piastrinica (a volte indicata anche come emostasi primaria), quindi la fase coagulativa vera e propria che porta alla formazione del coagulo di fibrina (emostasi secondaria).

Le piastrine sono elementi circolanti altamente reattivi. Il fattore più importante nel prevenire la loro attivazione è l'integrità strutturale e funzionale dell' endotelio. Tuttavia in seguito a traumi la lesione dell' endotelio scopre la matrice extracellulare subendoteliale (extracellular matrix, ECM) che innesca l'adesione piastrinica ed i fenomeni seguenti (attivazione, aggregazione, secrezione).

Inoltre, l'attivazione della cascata della coagulazione (vedi oltre) porta alla produzione di trombina, che è un ulteriore fattore solubile di attivazione delle piastrine. Anche la semplice adesione al collagene subendoteliale, in assenza di fattori stimolatori solubili, è un potentissimo fattore di attivazione piastrinica.

In seguito all'attivazione le piastrine vanno incontro alla reazione di rilascio (secrezione) che porta alla liberazione di mediatori preformati che potenziano ulteriormente l'aggregazione e la formazione del coagulo. Tra questi il più potente è l'adenosindifosfato (ADP) che è accumulato all' interno dei granuli densi. Inoltre, viene innescata la sintesi di agenti vasocostrittori con attività aggregante, come il trombossano A2 (TXA2).

Nell'emostasi è molto importante anche la deformazione delle piastrine (shape change) che porta alla fusione dei singoli elementi in una massa vischiosa amorfa che stabilizza ulteriormente il coagulo primario.

L'adesione, aggregazione ed attivazione piastriniche sono indissolubilmente legate alla cascata coagulativa vera e propria. Infatti la formazione del coagulo in seguito a lesioni vascolari è dovuta non solo alla stimolazione delle componenti intrinseca ed estrinseca della coagulazione, ma anche alla esposizione sulla membrana delle piastrine di fosfolipidi con attività pro-coagulante.

Il punto finale di questo processo è la produzione e la stabilizzazione del coagulo al fine di occludere la lesione vascolare ed impedire la fuoriuscita di sangue.

Contestualmente alla fase piastrinica, vengono attivate anche la via intrinseca ed estrinseca della coagulazione.

La via intrinseca è innescata dall' attivazione del fattore XII (fattore di Hageman) a contatto con il collagene subendoteliale, mentre la via estrinseca è innescata dalla tromboplastina tissutale (fattore tissutale) liberata dai tessuti lesi. Questo fattore è costitutivamente presente sulla membrana di cellule di diversa origine istologica (fibroblasti, cellule muscolari lisce, trofoblasto placentare) o può essere prodotta sotto stimolo da cellule endoteliali e fagociti mononucleati.

La tromboplastina non è esclusivamente rilasciata in seguito a lisi cellulare, ma può esserlo anche in seguito a stimolazione di recettori di membrana della famiglia TLR (Toll-Like Receptors) (per esempio nel corso di sepsi). In questo caso, la tromboplastina viene veicolata nell' ambiente pericellulare da vescicole lipidiche particolari denominate microparticelle del diametro compreso tra 200 nm ed 1 mm (microparticles) che permettono di concentrarne grandi quantità in uno spazio molto limitato, e perciò di esaltarne gli effetti.

La cascata coagulativa culmina con la degradazione del fibrinogeno in fibrina, la cui rete polimerica intrappola poi gli elementi figurati del sangue formando così il tipico coagulo.

A sottolineare ulteriormente la stretta interazione tra piastrine e cascata coagulativa, il fibrinogeno è importante anche nell'aggregazione piastrinica. Infatti, in condizioni quiescenti il recettore del fibrinogeno espresso sulla membrana delle piastrine (una glicoproteina di membrana denominata GpIIb-IIIa), ha una bassissima affinità per il fibrinogeno stesso, ed è incapace di legarlo. Tuttavia, in presenza di ADP (secreto dalle piastrine stesse) questo recettore subisce una variazione conformazionale che ne aumenta l' affinità e gli permette di legare efficacemente il fibrinogeno. In questo modo è possibile formare un solido legame tra piastrine adiacenti e stabilizzarne l' interazione.

Il coagulo è fondamentale non solo, ovviamente per l' emostasi immediata, ma anche per la successiva riparazione della lesione, infatti i leucociti intrappolati al suo interno, ed attivati in seguito all' adesione con la rete di fibrina e con le altre cellule adiacenti, rilasciano mediatori infiammatori precoci e tardivi. Questi mediatori, insieme con i prodotti di degradazione della fibrina, esercitano una potente azione chemiotattica sui leucociti del sangue e su quelli residenti nell' interstizio tissutale. Inoltre, vengono secreti fattori di crescita e di differenziamento essenziali per le fasi successive dell' angiogenesi e della ricostituzione dell' integrità tissutale.

Il coagulo occlude la lesione e blocca rapidamente l'emorraggia. La superficie esposta all'aria si disidrata e si indurisce, accrescendo così la resistenza ai traumi esterni.

Entro le prime ore i margini della ferita vengono infiltrati dai neutrofili che costituiscono un denso aggregato cellulare soprattutto alla periferia del coagulo.

Entro 24-48 ore l' infiltrato cellulare polimorfonucleato viene gradatamente sostituito dai macrofagi e contemporaneamente inizia la proliferazione ed il differenziamento delle cellule connettivali (fibroblasti e miofibroblasti), delle cellule endoteliali e dell'epitelio di rivestimento che portano da un lato alla formazione del tessuto di granulazione e dall' altro alla riepitelizzazione della ferita.

Entro 72 ore la sostituzione dei polimorfonucleati con i macrofagi è pressoché completa ed inizia la formazione del tessuto di granulazione. Allo stesso tempo, l' attivazione dei fibroblasti ai margini della ferita porta alla deposizione di fibrille collagene, prevalentemente disposte parallelamente all' incisione, e pertanto non ancora in grado di ristabilire la continuità tissutale attraverso la lesione.

La formazione di tessuto di granulazione procede ancora per i primi cinque-sei giorni seguenti al trauma, e poi, all' inizio della seconda settimana, decresce per essere sostituita dalla deposizione di tessuto collagene.

Alla regressione del tessuto di granulazione si accompagna le scomparsa dei vasi neoformati che ne sono componente essenziale. All' ispezione esterna la regressione del tessuto di granulazione è segnalata dall' impallidimento della ferita.

Entro 4-5 settimane la cicatrizzazione è ultimata, con la scomparsa pressoché completa dell' infiltrato infiammatorio, il perfezionamento della riepitelizzazione, e l'organizzazione delle fibrille connettivali in senso trasversale, così da ricostituire una stabile continuità tissutale attraverso la lesione.

Il processo di maturazione del tessuto cicatriziale prosegue tuttavia per almeno 2-3 mesi (vedi oltre). Gli annessi cutanei non rigenerano, ed infatti tutte le cicatrici (nell' uomo ma non per esempio nel coniglio) sono prive di peli e di ghiandole sudoripare. Inoltre, data la scarsa capacità rigenerativa dei melanociti, spesso le cicatrici sono ipopigmentate.

Riparazione per seconda intenzione

Nel caso delle ferite caratterizzate da estesa perdita di sostanza o infette, e pertanto complicate da un'importante risposta infiammatoria, la rigenerazione delle cellule parenchimatose non è di per sé sufficiente a ricostituire l'integrità tissutale durante le prime fasi della riparazione, ma è necessaria una massiccia produzione di tessuto di granulazione che ha il compito di riempire la vasta area di perdita di sostanza compresa tra i due margini (non affrontati) della ferita.

In questo caso la riepitelizzazione è più prolungata e meno efficiente e la deposizione di fibre connettivali più cospicua.

Gli esiti cicatriziali delle ferite che vanno incontro a riparazione per seconda intenzione sono dettati dalle caratteristiche intrinseche del processo riparativo che richiede una intensa attività delle cellule infiammatorie (per la rimozione delle cellule necrotiche, dei detriti tissutali, dell' esteso coagulo), ed un' estesa formazione di tessuto di granulazione, con la concomitante produzione di ECM e vasellini neoformati.

In genere maggiore è l'estensione del tessuto di granulazione maggiore è l'estensione della cicatrice connettivale. Un fenomeno rilevante del processo di riparazione, presente anche nella guarigione per prima intenzione ma molto più rilevante in quello per seconda intenzione, è la contrazione della ferita, tanto più importante quanto più estesa è stata la perdita di tessuto e la formazione di tessuto di granulazione.

La contrazione può essere molto cospicua arrivando in alcuni casi a ridurre la superficie della lesione anche al 10% di quella originaria, ed è dovuta sia alla disidratazione del coagulo (soprattutto alla superficie esposta all' aria), sia all' azione dei miofibroblasti.

Evoluzione del processo riparativo

La "maturazione" della cicatrice è un processo che prosegue ben oltre la fase, morfologicamente più appariscente, della sostituzione del tessuto di granulazione e della riepitelizzazione.

Il tessuto connettivale deposto nella fase di riassorbimento del tessuto di granulazione va incontro ad un'estesa riorganizzazione che ne modifica le proprietà biochimiche e meccaniche.

Inizialmente i fibroblasti depongono collagene di tipo III che viene poi sostituito da collagene di tipo I. Anche la deposizione di acido ialuronico raggiunge un picco durante le prime 24-48 ore, per poi declinare.

Sembra che ci sia una relazione inversa tra rapidità di cessazione della sintesi di acido ialuronico ed estensione del tessuto fibroso cicatriziale, nel senso che una rapida inibizione della sintesi di acido ialuronico sembra predisponga alla formazione di una cicatrice fibrosa più estesa.

Scarsa è la deposizione di fibre elastiche. La resistenza meccanica di una ferita in fase di riparazione è ovviamente inferiore di quella del tessuto sano. Si valuta che del corso della prima settimana sia circa il 10%, per poi crescere fino al 70-80% dopo 3 mesi.

Non viene mai ripristinata la resistenza meccanica originaria.

Biologia cellulare della guarigione delle ferite

La riparazione delle ferite è un processo coordinato e complesso che vede la partecipazione di tutti i processi biochimici e molecolari fondamentali coinvolti nella crescita e nel differenziamento cellulare.

Una volta esaurite le fasi iniziali, emostatica ed infiammatoria acuta, la storia naturale della ferita è dettata dall'infiltrato infiammatorio cronico (riassorbimento e rimodellamento tissutale), dalla deposizione di ECM, e dall' angiogenesi. Queste fasi tardive hanno la loro origine e ragion d'essere nell' insieme di mediatori prodotti localmente durante la formazione del coagulo e nel corso del precoce infiltrato infiammatorio acuto.

Le piastrine contengono due tipi di granuli secretori, granuli densi (dense bodies) e granuli alfa, in cui sono accumulati numerosi agenti in grado di stimolare o modulare l' infiammazione (serotoninaistaminaeparinaadrenalinanucleotidi), nonché fattori di crescita come il fattore di crescita derivato dalle piastrine (platelet-derived growth factor, PDGF) ed il fattore di crescita trasformante b (transforming growth factor-b, TGF-b).

L'attivazione piastrinica nel coagulo porta ad un rilascio esplosivo e fortemente localizzato di questi mediatori che agiscono così non solo sui leucociti a loro volta imprigionati nel coagulo, ma anche sulle cellule del connettivo sub endoteliale circostante.

Questi mediatori, oltre alla loro ben nota attività sul tono e sulla permeabilità vascolare, stimolano il reclutamento e l' attivazione dei granulociti polimorfonucleati, dei fibroblasti, dei monociti/macrofagi e delle cellule dendritiche, in questa sequenza temporale.

Anche i fibrinopeptidi prodotti dall' azione della trombina sul fibrinogeno (e la trombina stessa) stimolano la chemiotassi dei leucociti, la produzione di specie radicaliche e la esocitosi dei granuli secretori, mentre il fattore di Hageman attivato agisce sul chininogeno e sul sistema del complemento per produrre chinine vasoattive e fattori attivati del complemento (C5a, C3a etc).

L'infiltrato leucocitario in sede di riparazione tissutale diviene una importantissima fonte non solo di addizionali mediatori chimici preformati o di neosintesi, ma anche di fattori di crescita e di enzimi in grado di degradare la ECM.

Oltre ad enzimi ad attività degradativa contenuti nei granuli specifici, azzurrofili o terziari (elastasi, collagenasi, e gelatinasi), i neutrofili producono anche citochine e chemiochine quali il fattore di necrosi tumorale (tumor necrosis factor-a, TNF-a) le interleuchine-1a e 1b (IL-1a,  e IL-1b), le proteine chemiotattiche per i monociti 1 e 2 (monocyte chemiotactic protein, MCP-1 ed MCP-2), la proteina infiammatoria macrofagica 1a (macrophage inflammatory protein, MIP 1a).

Ci sono indicazioni che i neutrofili possano anche produrre fattori di crescita per cellule connettivali e per i cheratinociti, come per esempio i fattori di crescita per i fibroblasti 1, 2 e 5 (fibroblast growth factor,FGF, 1, 2 and 5, il cui livello di espressione aumenta circa 10 volte nel tessuto in riparazione), e l' FGF-7, noto anche come fattore di crescita per i cheratinociti (keratinocyte growth factor, KGF) il cui livello di espressione aumenta di ben 160 volte.

La fase riparativa è ulteriormente potenziata dall' arrivo dei macrofagi. Queste cellule sono una fonte di fattori di crescita e di modulazione cellulare ancora più importante dei neutrofili.

In particolare, oltre ad IL-1 e TNF-a, i macrofagi producono il TGF-b, il PDGF, il fattore di crescita insulino simile (insulin-like growth factor, IGF). Di questi fattori di crescita, il TGF-b è probabilmente il più importante nel processo di riparazione, per i suoi potenti effetti su quasi tutte le cellule coinvolte nel processo riparativo e non solo sui fibroblasti. Infatti, il TGF-b a basse concentrazioni ha una forte azione inibitoria sulla crescita cellulare, mentre ad alte concentrazioni stimola la proliferazione. Inoltre ha un potente effetto chemiotatico sulle cellule che prendono parte alla costituzione del tessuto di granulazione, stimola la deposizione di ECM e ne inibisce la degradazione. In definitiva, il TGF-b emerge come uno dei fattori più importanti nel promuovere la formazione del tessuto di granulazione.

Un altro fattore chiave nella formazione del tessuto di granulazione sono le metallo proteasidella matrice (matrix metallo proteases, MMPs), un insieme di enzimi degradanti il connettivo con un ruolo chiave nell'infiammazione e nella riparazione tissutale, di cui i macrofagi sono una fonte rilevante.

Nel corso del processo di riparazione delle ferite questi enzimi sono sottoposti ad un accurato processo di attivazione/disattivazione per permettere il rimodellamento del tessuto neoformato e la formazione della cicatrice.

Vari fattori di crescita, citochine e ormoni stimolano (PDGF, IL-1, TNF-a) o inibiscono (TGF-b, corticosteroidi) la sintesi di MMPs modulandone l' espressione genica, mentre la plasmina provoca l' attivazione proteolitica dei precursori (proMMPs).

Una volta attivate le MMPs vengono rapidamente inibite dagli inibitori tissutali delle proteasi (tissue inhibitors of metallo proteases, TIMPs).

I macrofagi sono anche una delle sorgenti principali di attivatore del plasminogeno (urokinase-type plasminogen activator, uPA), il fattore responsabile dell' attivazione del plasminogeno, che a sua volta è il precursore ubiquitario della plasmina, il più importante enzima fibrinolitico.

Con la secrezione di uPA incomincia il processo di degradazione del coagulo ed inizia la fase di formazione del tessuto di granulazione.

Tessuto di granulazione

Il tessuto di granulazione, che origina dai margini della ferita ed è costituito da fibroblasti, miofibroblasti, cellule infiammatorie, ECM e soprattutto vasellini neoformati, è così definito per l' aspetto granuloso impartito alla sua superficie proprio dalla ricca trama di gettoni vascolari neoformati che lo caratterizzano.

La ricca componente vascolare e le alte concentrazioni di mediatori vasoattivi, provocano la formazione nel tessuto di granulazione di un ricco essudato infiammatorio, che lo rende fortemente edematoso.

Nella formazione del tessuto di granulazione, e più in generale nel processo di riparazione della ferita, una fase cruciale è costituita dall'angiogenesi. Per angiogenesi si intende quel processo attraverso cui i vasi pre-esistenti producono per gemmazione vasellini neoformati.

L'angiogenesi è un processo fondamentale non solo nella riparazione delle ferite, ma anche nell' infiammazione cronica, nella risposta tissutale all' ipossia e nella crescita tumorale, ed il meccanismo coinvolto è sempre fondamentalmente lo stesso.

Schematicamente l'angiogenesi procede attraverso le seguenti fasi:

  1. produzione di uno stimolo angiogenetico locale;
  2. digestione proteolitica della membrana basale dei vasi vicini per permettere la gemmazione e la migrazione delle cellule endoteliali nell' interstizio cellulare;
  3. proliferazione delle cellule endoteliali lungo la nuova direttrice di migrazione con formazione di gettoni endoteliali solidi;
  4. inibizione della proliferazione ed induzione del differenziamento dei gettoni cellulari solidi in tubi capillari;
  5. reclutamento e differenziamento delle cellule periendoteliali.

Nonostante vari fattori di crescita possano esercitare una più o meno rilevante azione angiogenetica, non c'è dubbio che il fattore più importante, almeno nella vita adulta, è il fattore di crescita dell'endotelio vascolare (vascular endothelium growth factor, VEGF).

Il VEGF è prodotto da virtualmente tutte le cellule in condizioni di ipossia, ed infatti sappiamo che la risposta angiogenetica è una delle prime riposte locali alla deprivazione di ossigeno. Tuttavia, il gene vegf non è direttamente responsivo all' ipossia, ma la sua trascrizione è stimolata da un fattore addizionale denominato fattore indotto dall' ipossia-1 (hypoxia-induced factor-1, HIF-1).

Questo suscita un interessante paradosso:

Le ferite non sono in genere ipossiche, pertanto come può essere indotto HIF-1, e di conseguenza VEGF, in queste condizioni?

Probabilmente la soluzione del problema risiede ancora nella componente infiammatoria della rigenerazione, poiché da un lato la trascrizione di HIF-1 può essere anche stimolata da IL-1 e TNF-a, e dall' altro l'espressione di VEGF può essere direttamente indotta dalle specie radicaliche (specie attivate dell' ossigeno) prodotte dalle cellule infiammatorie.

Poiché l'angiogenesi deve essere necessariamente un processo coordinato, vengono secreti anche fattori con attività inibitoria sulla motilità e sulla proliferazione e con azione differenziativa. Tra questi particolarmente importanti sono le angiopoietine e l'endostatina, un frammento C-terminale del collagene 18.

L'angiogenesi è un processo che ricostituisce una rete vascolare tridimensionale, e pertanto è controllata anche dall' interazione tra cellule endoteliali e ECM. In particolare le integrine (soprattutto avb3) hanno un ruolo importante nel determinare la polarità di crescita e la stabilizzazione dei vasellini neoformati.

A partire dalla seconda settimana il tessuto di granulazione viene gradualmente riassorbito, le rete vascolare scompare ed aumenta la deposizione di tessuto collagene.

Durante la transizione da tessuto di granulazione a cicatrice fibrosa si ha un profondo rimodellamento tissutale determinato dalla rimozione controllata di alcuni tessuti (per esempio endotelio vascolare o collagene di tipo III) e la deposizione di altri tessuti come ad esempio il collageno di tipo I. In questo processo hanno un ruolo centrale le MMPs e varie citochine, tra cui il TGF-b che stimola la sintesi non solo di collagene ma anche degli inibitori delle proteasi.

Fase cicatriziale

La riparazione delle ferite nell' adulto e nei tessuti fetali presenta una rimarchevole differenza:

  • nell' adulto il processo è essenzialmente riparativo, cioè inevitabilmente associato alla formazione di una cicatrice fibrosa;
  • nel feto il processo è rigenerativo, cioè non accompagnato da cicatrice fibrosa o contrazione della ferita.

Il fattore discriminante sembra essere la presenza della reazione infiammatoria nella riparazione della ferita nell' adulto e la sua assenza nel feto. Infatti si può dimostrare sperimentalmente che l'induzione di una risposta infiammatoria locale nel corso della riparazione di ferite nel feto causa la formazione di cicatrice fibrosa, e viceversa l' applicazione di anticorpi neutralizzanti contro alcuni fattori di crescita come il TGF-b ed il PDGF durante la riparazione nell' adulto riduce la formazione della cicatrice. Queste osservazioni hanno ovvie implicazioni nel trattamento delle ferite.

Nella fase di sostituzione del tessuto di granulazione i fibroblasti la cui migrazione è stata facilitata dall' essudazione di proteine plasmatiche attraverso la parete dei vasellini neoformati, proliferano e depositano quantità sempre maggiori di collageno.

Nel giro di una o due settimane il tessuto di granulazione viene convertito in una cicatrice costituita da fibroblasti, fibre collagene (soprattutto di tipo I), scarse fibre elastiche.

Alla fine la regressione dei vasi è quasi totale con la trasformazione del roseo e delicato tessuto di granulazione in una pallida cicatrice fibrosa.

La formazione di cicatrici fibrose, più o meno estese, è una conseguenza inevitabile di qualsiasi lesione tissutale.

Il tessuto fibroso cicatriziale presenta sempre un'organizzazione più disordinata del tessuto originario, e questo può dar luogo a danni estetici o funzionali rilevanti, e nel caso di lesioni profonde può gravemente alterare la funzionalità viscerale (fibrosi polmonarecirrosi epatica, ostruzione intestinale).

In alcuni casi il processo riparativo può assumere aspetti così esuberanti da produrre cicatrici ipertrofiche e cheloidi. In genere si parla di cheloidi quando il processo cicatriziale esuberante ha le caratteristiche dell' irreversibilità e si estende al di là dei margini della lesione.

I cheloidi sono più frequenti tra le popolazioni asiatiche ed africane, mentre le cicatrici ipertrofiche non sembrano avere una particolare distribuzione etnica o geografica. Istologicamente nei cheloidi si osserva un ricco infiltrato cellulare e soprattutto un'eccessiva accumulazione di ECM, composta prevalentemente di collagene di tipo III e di acido ialuronico.

In effetti i fibroblasti isolati da cheloidi sintetizzano acido ialuronico molto più attivamente dei fibroblasti isolati da cicatrici normali ed hanno un' alterata risposta al TGF-b. La patogenesi dei cheloidi è ignota, ma è probabile che alla base ci sia un'alterata funzionalità immunitaria che, nel corso della riparazione della lesione iniziale, genera un microambiente citochinico anomalo. Per esempio è documentata l'infiltrazione di linfociti CD4+ e cellule dendritiche attivate nel derma papillare delle cicatrici ipertrofiche.

In alcuni casi le ferite non mostrano tendenza alla cicatrizzazione spontanea. Queste lesioni a lenta o assente rimarginazione danno luogo a vere e proprie ulcerazioni.

La cronicizzazione è dovuta alla alterazione del normale processo di riparazione. Ciò può dipendere dalla scarsa risposta infiammatoria iniziale che porta ad una ridotta produzione di tessuto di granulazione ed a una ridotta migrazione di cellule epiteiali a ricoprire la ferita.

Oppure una persistente contaminazione batterica può mantenere un sostenuto stimolo infiammatorio acuto, così da impedire il fisiologico instaurarsi della fase infiammatoria cronica e la successiva fase di sostituzione del tessuto di granulazione con tessuto connettivo.

Istologicamente, nelle ulcere si osserva una forte degradazione della ECM, soprattutto nella componente dei glicosoaminoglicani, in particolare l'acido ialuronico, ed inoltre l' attività metalloproteinasica è aumentata e la concentrazione locale di TIMPs è ridotta.

Nella cute perilesionale è presente un ricco infiltrato di neutrofili e macrofagi, mentre è ridotta la presenza di cellule del Langerhans.

Fattori che influenzano la guarigione

Numerosi fattori sistemici e locali influenzano la guarigione delle ferite.

  • lo stato nutrizionale (per es. la carenza di vitamina C che notoriamente riduce la sintesi di collagene);
  • la presenza di dismetabolismi (per es. il diabete mellito che è noto provocare un ritardo nella guarigione);
  • deficit circolatori dovuti ad aterosclerosi o stasi venosa;
  • disendocrinie (per es. gli ormoni glucocorticoidi hanno un ben documentato effetto inibitorio sull' infiammazione e sulla sintesi del collagene).

Il sito della lesione è anche un importante fattore influenzante la guarigione:

  • ferite in aree riccamente vascolarizzate tendono a guarire più rapidamente di quelle in aree poco vascolarizzate.
  • la presenza di eventuali corpi estranei di norma impediscono una normale guarigione, ma la singola più importante causa di ritardo è sicuramente l' infezione della ferita.

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