Ultima modifica 28.02.2020

Generalità

Il termine amebiasi identifica una generica presenza del parassita Entamoeba histolytica all'interno dell'organismo; tale presenza può essere sostanzialmente asintomatica ed innocua, e in tal caso si parla di infezione amebica commensale, oppure produrre lesioni dei tessuti accompagnate a sintomi severi, primo fra tutti la dissenteria. In quest'ultimo caso si parla di malattia amebica.

Amebiasi Entamoeba histolyticaEntamoeba histolytica è un agente infettivo protozoario capace - a differenza delle altre specie del genere Entamoeba - di penetrare la parete del colon e generare patologia sia locale che extraintestinale (ad esempio ascessi epatici necrotici).

Epidemiologia e Contagio

Si stima che a livello mondiale circa il 10% della popolazione ospiti nel proprio intestino specie di Entamoeba; nella maggior parte dei casi tale infezione è sostenuta dalla specie E. dispar (innocua), mentre solo un caso su dieci è associato alla specie potenzialmente patogena Entamoeba histolytica. Quest'ultima, a sua volta, genera malattia amebica in circa il 10% dei casi ogni anno.

La diffusione della malattia è favorita dalle scarse condizioni igieniche e dai climi caldo umidi; così, se negli Stati Uniti d'America circa il 4% della popolazione ospita nel proprio intestino un parassita del genere Entamoeba, in alcuni Paesi in via di sviluppo tale percentuale può superare il 30%. All'interno della stessa popolazione sono maggiormente esposti al rischio di amebiasi i maschi omosessuali (per il maggior rischio di contagio) ed i soggetti immunocompromessi (per il calo delle difese immunitarie, ad es. sieropositivi, malnutriti o pazienti in cura con immunosopressivi o antineoplastici). In quest'ultimo caso è altresì maggiore il rischio che l'infezione commensale evolva in patologia amebica; analogo discorso nelle età estreme della vita, durante la gravidanza e l'allattamento.

Come anticipato, la trasmissione dell'amebiasi può avvenire per via sessuale, in seguito a contatti orali-anali ed oro-genitali (fa quindi parte delle malattie sessualmente trasmissibili). Ad ogni modo, la via di trasmissione più comune è quella oro-fecale, quindi legata all'all'ingestione di acqua o di alimenti (soprattutto frutta e verdura) contaminati da materiale fecale contenente cisti amebiche (stadio di quiescenza del microorganismo). Queste cisti possono sopravvivere a lungo nell'ambiente esterno: a temperature comprese tra i 12 ed i 15°C, per esempio, conservano la capacità infettiva per almeno 12 giorni all'interno delle feci, e per parecchie settimane all'interno delle acque. Una volta ingerite, le cisti superano senza problemi la barriera acida dello stomaco e si insidiano a livello del colon dove, favorite dalla disidratazione delle feci danno origine a 4 trofozoiti ciascuna. Questi ultimi, che rappresentano la forma "attiva" e mobile del parassita, si nutrono di batteri e tessuti; una volta emessi all'esterno attraverso le feci, i trofozoiti sopravvivono solo per pochi minuti e, anche se ingeriti, verrebbero uccisi dai succhi gastrici.

Considerato che, nella maggior parte dei casi, l'infezione amebica è asintomatica, l'amebiasi può essere trasmessa non solo da soggetti malati, ma anche dai cosiddetti "ospiti sani" che - pur senza presentare alcun segno della patologia - espellono cronicamente cisti con le feci anche per alcuni anni.

Sintomi

Per approfondire: Sintomi Sindrome Amebiasi


Dopo un periodo di incubazione, variabile da pochi giorni ad alcuni mesi o anni (è solitamente di 2-4 settimane), l'amebiasi può presentarsi con quadri clinici di severità variabile dalla diarrea cronica moderata, alternata a periodi di stipsi, alla dissenteria grave acuta fulminante. Tale sintomo è dovuto all'attacco diretto dei trofozoiti amebici alle cellule del colon, che - quando importante - può causare diarrea ematica e presenza di muco nelle feci. A ciò si aggiunge un corredo di sintomi secondari di intensità variabile a seconda della gravità dell'infezione: flatulenza, febbre più o meno elevata, anemia, mucorrea, perdita di peso, debolezza, tenesmo rettale, nausea e dolori addominali crampiformi.

Per l'alternanza di periodi di stipsi con altri di stitichezza, l'amebiasi non dissenterica può essere confusa con la sindrome del colon irritabile o con la diverticolite. La dissenteria amebica può invece essere confusa con la shighellosi, la salmonellosi, la schistosomiasi o la colite ulcerosa

Grazie alla sintesi di proteasi specifiche, le amebe sono potenzialmente in grado di aggredire la matrice extracellulare ed aprirsi un varco nella parete intestinale, entrando nel circolo portale attraverso il quale raggiungono il fegato, dove possono causare ascessi epatici necrotici. Il paziente affetto da amebiasi può quindi lamentare una dolorabilità su fegato (con epatomegalia) e colon ascendente.

Dagnosi

La conferma diagnostica si ottiene attraverso l'individuazione di cisti amebiche in campioni fecali. In alternativa, la diagnosi può essere posta tramite proctoscopia: un esame invasivo endoscopico del retto e dell'ultimo tratto del colon, durante il quale si osservano le pareti intestinali e se ne asportano piccoli campioni (in genere corrispondenti alle lesioni infettive) per l'analisi di laboratorio. Anche i test sierologici, tramite ricerca di anticorpi specifici nel sangue, possono essere utili nella diagnosi dell'amebiasi.

Cura e farmaci

Il trattamento dell'amebiasi dipende dalla severità dell'infezione.

In genere, nei pazienti sintomatici la terapia d'elezione è rappresentata dall'antibiotico metronidazolo, assunto per os (5-10 giorni di terapia con 750 mg al dì per gli adulti, e 35-50 mg/kg/die in 3 dosi frazionate per i bambini).

Gli antidiarroici, in genere, non sono raccomandati; piuttosto è importante la terapia re-idratante idrosalina di supporto per compensare le perdite idriche ed elettrolitiche diarroiche.

Ai pazienti asintomatici che eliminano cisti attraverso le feci viene in genere prescritto un ciclo di diloxanide furoato orale (500 mg/die per 10 giorni negli adulti o 20 mg/kg/die in 3 dosi frazionate nei bambini).


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Prevenzione del contagio

Particolare attenzione dev'essere posta nel rispetto delle essenziali norme igieniche per evitare le patologie a trasmissione oro-fecale; quando si soggiorna in Paesi tropicali o sub-tropicali in via di sviluppo:

  • bere soltanto acqua sicura, ovvero acqua che sia stata bollita, o disinfettata con cloro o iodio, o acqua minerale imbottigliata, la cui bottiglia venga aperta in vostra presenza
  • evitare il ghiaccio, a meno che non si sia assolutamente sicuri che esso è stato prodotto con acqua sicura
  • consumare soltanto cibo che sia stato cotto accuratamente e che sia ancora caldo nel momento in cui viene servito
  • proteggere gli alimenti dagli insetti molesti per mezzo di reticelle, o in appositi contenitori
  • refrigerare immediatamente dopo la preparazione i cibi che non vengono consumati subito
  • evitare frutti di mare e pesce crudi
  • evitare di consumare verdure e frutta cruda, a meno che non siano state lavate, sbucciate, preparate da voi stessi: ricordando il detto: cuocilo, sbuccialo, o lascialo stare
  • bollire il latte non pastorizzato prima di consumarlo
  • evitare gelati e dolci alla crema che potrebbero essere stati confezionati con latte non pastorizzato o avere subito ricontaminazione
  • assicurarsi che i cibi acquistati da venditori ambulanti siano stati completamente ed accuratamente cotti in vostra presenza e non contengano parti crude
  • lavare sempre accuratamente le mani dopo essere stati al gabinetto e prima di mangiare.