- Perché è difficile mantenere la dieta
- Cosa intendiamo per dieta
- Restrizione dietetica
- Perché non mantengo la dieta
- Meccanismi psicologici
- Effetti "ironici" del controllo
- L’effetto "What-the-Hell" (WTHE)
- Il Goal Conflict Model of Eating
- Effetto di violazione del limite (LVE)
- Reazioni fisiologiche
- Difficoltà nel mantenimento della perdita di peso
- L'alimentazione consapevole come alternativa
Perché è difficile mantenere la dieta
Le spinte della società verso un fisico snello hanno permesso il proliferare di diete e portato in particolare le donne, ma sempre più anche gli uomini, a vivere perennemente a dieta, ritenendolo normale. I dati indicano, però, che circa il 5% delle persone che segue una dieta dimagrante riesce a perdere peso senza poi riprenderlo; sembra infatti molto comune riprendere peso corporeo anche dopo una dieta efficace e poche persone riescono a perdere nuovamente peso dopo averlo recuperato.
Non è questione di forza di volontà, ma subentrano meccanismi psicologici e fisiologici importanti.
Cosa intendiamo per dieta
Il termine dieta fa etimologicamente riferimento allo stile di vita, ma viene comunemente considerata l'insieme di regole alimentari finalizzate alla perdita di peso.
Le diete prevedono generalmente una restrizione sia cognitiva sia calorica: infatti le regole prevedono determinate grammature a seconda della tipologia di cibo e categorie di cibi limitate e vietate; questo agisce sia a livello di pensiero, sia a livello fisiologico, innescando una serie di meccanismi che interferiscono con la dieta stessa.
L'approccio tradizionale alla perdita di peso è stato quello di limitare l'assunzione di cibo (cioè "mettersi a dieta") e fare più esercizio fisico. Ci sono prove che la dieta, e in particolare i tentativi di dieta ripetuti (effetto "yo-yo"), possano essere dannosi per la salute sia fisica sia mentale.
Le diete vengono considerate fattori di rischio per lo sviluppo dei Disturbi dell'Alimentazione e della Nutrizione (DNA, precedentemente DCA), proprio in virtù dei comportamenti che promossi.
Nella nostra società vi sono numerosi segnali discordanti, che portano comunque a ignorare i segnali interni di fame e sazietà: vedere continuamente cibo – in tv o sui social - incoraggia a mangiare indipendentemente dalla fame; mentre le diete promuovono il consumo di cibi prescritti in quantità e tempistiche prestabilite, disincentivando l'ascolto della fame.
Restrizione dietetica
La restrizione dietetica può essere di due tipi, cognitiva e calorica: il ridotto apporto calorico giornaliero (in senso nutrizionale) è definito restrizione dietetica calorica, mentre il tentativo di limitare l'alimentazione, indipendentemente dal fatto che si crei un deficit calorico, viene definito restrizione dietetica cognitiva; infatti la persona può imporsi regole dietetiche senza riuscire a rispettarle e in quel caso vi sarà restrizione cognitiva, ma non calorica. Anche in questo caso risulta comunque dannosa, perché causa preoccupazioni per il cibo e l'alimentazione, interferisce con la concentrazione, è emotivamente stressante e danneggia le relazioni; se è presente un disturbo dell'alimentazione, verrà mantenuto, poiché la restrizione incoraggia le abbuffate.
La restrizione cognitiva appare, quindi, come un processo in grado di modificare l'espressione della fame fisiologica: la persona che sperimenta restrizione cognitiva non prova sensazioni nitide di fame o di sazietà e diventa, di conseguenza, ipersensibile ai fattori esterni, emotivi e sociali, finendo per mangiare in base all'ambiente o alle sue credenze.
Perché non mantengo la dieta
Le persone che tentano di controllare ciò che mangiano sembrano avere maggiori probabilità di incorrere in comportamenti legati alla perdita di controllo a fronte di pensieri e sentimenti spiacevoli. Consideriamo che spesso le persone a dieta sperimentano emozioni negative legate a insoddisfazione della propria immagine corporea e la stessa trasgressione alla dieta può indurre emozioni negative e autocritica. Inoltre, per chi è a dieta, mangiare cibi ipercalorici - che sono vietati a causa delle restrizioni - potrebbe essere un modo allettante per provare piacere e ridurre i sentimenti negativi.
Si ipotizza che convinzioni distorte sui benefici della magrezza portino a una dieta rigorosa. La conseguente privazione calorica provoca fame, che aumenta la probabilità di perdita di controllo. Tuttavia, poiché mangiare compulsivamente o mangiare cibi proibiti viola le regole dietetiche, la persona proverà angoscia, senso di colpa, riduzione del livello di autostima o aumento delle preoccupazioni sulla forma del corpo e sul peso. Al fine di compensare gli effetti indesiderati della perdita di controllo, l'individuo può assumere comportamenti compensativi, dal digiuno all'esercizio fisico che diventa eccessivo, fino al vomito o all'uso di lassativi/diuretici. Questi comportamenti sono tipicamente seguiti da una rinnovata determinazione a limitare l'assunzione di cibo.
Al centro di questo modello è l'ipotesi che cognizioni distorte sulla dieta e la magrezza perpetuino la restrizione del cibo e, quindi, il comportamento di alimentazione incontrollata. Un considerevole corpo di prove empiriche supporta questa affermazione, specialmente per le donne. Si ritiene che le immagini mediatiche di donne sempre più ritoccate creino una pressione sociale per essere magre e con ideali lontani dalla realtà. Ciò viene descritto come interiorizzazione dell'ideale di magrezza.
Tale moderazione riguardo al mangiare è evidente nell'anoressia, ma è anche rilevante per persone con bulimia e disturbo da alimentazione incontrollata.
Meccanismi psicologici
Gli individui che seguono una dieta per perdere peso interiorizzano una serie di rigide regole dietetiche che si traducono in un apporto calorico limitato e che, soprattutto in caso di "dieta fai-da-te", rischia di privare il corpo di nutrienti essenziali ed energia. In risposta a questo stato cronico di controllo, arriverà un momento in cui la persona avrà la sensazione di perdita di controllo, a causa di condizioni come stress, stanchezza o per segnali di fame, finendo per trasgredire alle regole imposte.
Le regole dietetiche rigide sono ignorate da questo bisogno fisiologico e l'effetto di violazione spesso si traduce in un'abbuffata oggettiva.
Di conseguenza, la dieta e gli schemi di pensiero correlati sono stati legati alla comparsa e al mantenimento della patologia alimentare: più si sopprimono i pensieri sul cibo, più ci si concentra sul cibo e sul concetto di sé negativo se non si riesce a rispettare la dieta. Presumibilmente, questa ridotta capacità di spostare consapevolmente l'attenzione lontano da certi contenuti cognitivi è dovuto al fatto di essere eccessivamente investito nella credibilità di tali pensieri. Le abbuffate e i comportamenti compensatori sembrano infatti funzionare come tentativi di sopprimere e controllare i comportamenti alimentari, finendo però troppo spesso per portare a un esito indesiderato.
Le persone che si impegnano in restrizioni dietetiche spesso mangiano di più e in modo disinibito quando sperimentano fluttuazioni emotive e agitazione, specialmente quando percepiscono di aver violato la loro dieta.
Molte ricerche hanno sostenuto che le caratteristiche ambientali negative (ad esempio le pressioni per essere magri) possano predire caratteristiche intrapersonali disadattive (ad esempio, enfasi sull'aspetto del corpo), che quindi promuovono la vergogna nei confronti del proprio corpo, che a sua volta predice la sintomatologia del disturbo dell'alimentazione e della nutrizione.
Le caratteristiche ambientali adattive e intrapersonali (come l'accettazione incondizionata della forma del corpo e l'autostima) predirebbero la focalizzazione sulla funzione del corpo anziché sull'aspetto, portando a un'immagine corporea positiva, che a sua volta predirebbe il mangiare intuitivo, avendo come principio il permesso incondizionato di mangiare (ascoltando, appunto, i propri segnali interni).
Effetti "ironici" del controllo
Per mettere in atto la restrizione ed evitare di avvertire fame fuori pasto (che interferirebbe con il proposito), la persona deve mettere in atto un rigido controllo, ma proprio questo tentativo di controllarsi introduce 2 processi:
- un processo operativo che promuove il cambiamento previsto cercando contenuti mentali coerenti con lo stato previsto
- un processo di monitoraggio che verifica se il processo operativo è necessario cercando contenuti mentali incoerenti con lo stato previsto.
Il processo operativo richiede una maggiore capacità cognitiva e normalmente ha effetti cognitivi più pronunciati rispetto al processo di monitoraggio. In condizioni di stress o stanchezza, tuttavia, il processo di monitoraggio può sostituire il processo operativo e quindi aumentare la sensibilità della persona a contenuti mentali che sono "ironicamente" l'opposto di quelli a cui è destinato. La persona ha quindi a mente sia ciò che deve fare, sia ciò che non dovrebbe, prefigurandosi scenari in cui, per esempio, si abbuffa o mangia cibi considerati proibiti. Poco importa, in quel momento, che questo scenario venga giudicato come sbagliato, poiché è come un film che viene continuamente proiettato nella mente e che, alla prima occasione di calo del controllo, rischia di attivarsi con discreta facilità.
Inoltre, la parte più inconscia della nostra mente, quella direttamente legata alle emozioni, funziona per immagini e come puoi rappresentare in immagine "non mangiare i biscotti quando torni a casa?". Finirai per immaginarti mentre li mangi, magari mettendoci poi un divieto sopra, ma comunque immaginando la scena e giocandoti definitivamente quel briciolo di forza di volontà residua.
L’effetto "What-the-Hell" (WTHE)
Il WTHE (traducibile con "Ma che cavolo!") è direttamente correlato all'autoregolazione sequenziale. Questo effetto si verifica quando una persona che ha fallito in un obiettivo iniziale di autoregolazione (per esempio, una persona a dieta che mangia un biscotto), poi rinuncia completamente all'obiettivo e successivamente si impegna in un comportamento incongruente all'obiettivo (mangia dieci biscotti, senza consapevolezza).
Una singola violazione di una regola dietetica può essere considerata un completo fallimento dell'intera dieta. Questo pensiero spesso porta al mangiare compulsivo, che aumenta la credibilità dei pensieri di fallimento.
Il Goal Conflict Model of Eating
Secondo il Goal Conflict Model of Eating la restrizione e la privazione alimentare sono associate a due obiettivi contrastanti: l'obiettivo del godimento del cibo e l'obiettivo del controllo del peso. Secondo questo modello, il cibo ipercalorico ha un forte valore positivo per i mangiatori in restrizione (ne hanno voglia, anche perché vietato), il che rende il cibo ipercalorico qualcosa di altamente desiderato. Tuttavia, questo obiettivo di gustare cibi ipercalorici non è coerente con il loro obiettivo di controllare l'assunzione di cibo. Inoltre, l'obiettivo legato al piacere del cibo inibisce l'obiettivo del controllo del peso, rendendo più probabile il consumo di cibo.
Effetto di violazione del limite (LVE)
Mangiare riduce l'intensità delle emozioni negative e ciò può anche essere espresso in termini di teoria dell'apprendimento: l'esperienza di un'emozione negativa suscita risposte classicamente condizionate (es. desiderio) che sono seguite da una risposta alimentare operante, rinforzata dalla ridotta intensità dell'emozione negativa.
Queste sensazioni, pensieri ed emozioni negative sperimentate in reazione all'interruzione della dieta sembrano rimandare all'effetto di "violazione del limite" (LVE) che si verifica rispetto al consumo di alcol; questa teoria, infatti, nasce dall'osservazione che le persone che si incolpano per aver bevuto troppo sperimentano emozioni negative e, paradossalmente, quelle che si sentono peggio rischiano di bere ancora di più. Allo stesso modo, coloro che sono a dieta e si sentono male dopo aver mangiato cibi proibiti potrebbero mangiare eccessivamente, nel tentativo di sfuggire a pensieri e sentimenti negativi.
Reazioni fisiologiche
Si nota, quindi, come sembri proprio essere la dieta restrittiva a impedire a se stessa di funzionare: nell'ipotalamo, i segnali ormonali del tratto gastrointestinale, del tessuto adiposo e di altri siti periferici sono integrati per influenzare l'appetito e il dispendio energetico; la perdita di peso indotta dalla dieta è accompagnata da diversi cambiamenti fisiologici che incoraggiano il recupero del peso, comprese le alterazioni del dispendio energetico, il metabolismo del substrato e le vie ormonali coinvolte nella regolazione dell'appetito, molti dei quali persistono oltre il periodo iniziale di perdita di peso.
Sono necessarie strategie sicure ed efficaci a lungo termine per superare questi cambiamenti fisiologici e per facilitare il mantenimento della perdita di peso. La perdita di peso, infatti, sembra provocare una pronunciata stimolazione dell'appetito e una riduzione duratura sia del metabolismo basale sia di quello indotto dall'esercizio. Gli adattamenti metabolici, che si verificano con la perdita di peso, si traducono in un aumento della fame con riduzioni discordanti e simultanee del fabbisogno energetico, producendo il cosiddetto gap energetico in cui si desidera più energia di quella normalmente richiesta.
Infatti, nonostante i numerosi approcci terapeutici disponibili, il mantenimento a lungo termine della perdita di peso spesso non ha successo. Il recupero del peso dopo la perdita di peso e un fenomeno fin troppo comune: si stima che circa il 20% delle persone che sperimentano una perdita di peso significativa sia in grado di mantenere il nuovo peso corporeo, anche perché i fattori comportamentali e metabolici sono inestricabilmente intrecciati, ed entrambi pongono ostacoli significativi al mantenimento della perdita di peso a lungo termine.
Difficoltà nel mantenimento della perdita di peso
Mantenere con successo il peso perso è difficile per molte persone, non solo per quelle con sovrappeso o obesità, perché i cambiamenti che avvengono in concomitanza con la dieta provocano un aumento della fame, che è ulteriormente evidenziato dall'aumento del desiderio di cibo in risposta alla perdita di peso indotta dalla dieta, in particolare di cibi con maggiore apporto energetico e un conseguente livello inferiore di sazietà nonostante la sovralimentazione. Ovviamente ciò non vuol dire che il peso e la composizione corporea siano strettamente predeterminati e che il recupero di peso sia un processo guidato interamente dalla biologia; ma è importante prenderne consapevolezza e notare che attualmente non ci sono raccomandazioni dietetiche chiare ed efficaci per mantenere con successo il peso dopo il dimagrimento: esiste infatti una sostanziale variabilità interindividuale in risposta alle diverse regole dietetiche.
Sembra quindi chiaro che dimagrire e mantenere il peso perduto non sia una mera questione di forza di volontà; tra l'altro, la forza di volontà può essere definita come un tentativo di contrastare i desideri naturali, sostituendoli con regole restrittive. E il desiderio di dolci è naturale, normale e abbastanza piacevole, come ricordano Tribole e Resch nel manuale dell'Intuitive Eating (Macmillan, 2012).
Come fare allora? Mangiare intuitivamente, tornando ad ascoltare i segnali del corpo e prendendo consapevolezza degli stimoli intorno a noi, sembra essere una buona risposta.
L'alimentazione consapevole come alternativa
Si ritiene che la consapevolezza e l'ascolto dei segnali interni siano innati e vengono considerati aspetti centrali per il benessere; tuttavia, questa consapevolezza viene spesso soffocata quando le persone stabiliscono e seguono regole (cioè, preventivando quando, cosa e quanto mangiare) che si basano sulle promesse della società secondo cui il controllo alimentare porterà alla perdita di peso e al miglioramento generale della vita. Sostituire i segnali interni di fame e sazietà con regole esterne porta a una disconnessione dall'esperienza interna e a un'innata capacità di regolare l'assunzione di cibo, che ha dimostrato di essere correlata a restrizioni dietetiche, aumento di peso e alimentazione in assenza di fame, ma in risposta a fattori emotivi e situazionali.
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