Ultima modifica 26.02.2020

Generalità

Il trattamento della leucemia mieloide cronica (LMC) include diverse opzioni terapeutiche, in grado di mantenere sotto controllo la malattia per prolungati periodi di tempo. L'esecuzione di analisi di routine, sul sangue e sul midollo osseo, e la valutazione frequente di uno specialista ematologo od oncologo, consentono di monitorare la progressione della neoplasia.

Terapia Leucemia Mieloide CronicaPurtroppo, anche se è possibile controllarla efficacemente tramite un'adeguata terapia, la leucemia mieloide cronica non scompare mai del tutto.
Dai risultati delle indagini mediche (emocromo, test citogenetici e molecolari) è possibile capire:

  • Il grado di efficacia del trattamento nel tempo e l'evoluzione della risposta alla terapia;
  • Se la malattia non è più responsiva ai farmaci (resistenza alla terapia).

Monitoraggio e risposta alla terapia

Il corretto monitoraggio del decorso della patologia è fondamentale per verificare l'efficacia della terapia e per poter, di conseguenza, intervenire tempestivamente in caso di fallimento della cura.
L'analisi citogenetica e le indagini di biologia molecolare sono utilizzate, oltre che a scopo diagnostico, anche per valutare il grado di risposta al protocollo terapeutico e per evidenziare l'eventuale persistenza di malattia dopo trattamento (studio della malattia minima residua):

  • Risposta Ematologica Completa: quando la terapia inizia a produrre un effetto, il numero di cellule leucemiche si riduce. I test ematologici non sono più in grado di rilevare i cloni aberranti, ma questo è possibile con l'analisi citogenetica.
  • Risposta Citogenetica Completa: si ottiene quando non si evidenzia più la presenza del cromosoma di Philadelphia (Ph) mediante analisi citogenetica convenzionale (approccio standard per monitorare la risposta al trattamento) oppure con ibridazione fluorescente in situ (FISH), tecnica che valuta la percentuale di cellule del midollo osseo Ph+. L'analisi di citogenetica, eseguita su campione di midollo osseo agoaspirato, rappresenta anche l'unico metodo per determinare la presenza di eventuali alterazioni cromosomiche, addizionali al cromosoma Philadelphia, con ruolo prognostico.
  • Risposta Molecolare Completa: si raggiunge quando l'analisi molecolare non è in grado di rilevare l'espressione del gene ibrido BCR/ABL. La terapia si è dimostrata efficace e i segnali molecolari, che promuovono la produzione delle proteine bcr-abl, sono così bassi da non poter essere rilevati neppure con test altamente sensibili come quelli molecolari. L'aumento dei livelli di trascrizione, in corso di monitoraggio, può indicare la perdita di risposta al trattamento.

Il raggiungimento di questi esiti rappresenta un risultato molto importante: molti studi dimostrano che i pazienti, con risposta citogenetica e molecolare completa, hanno una probabilità molto elevata di sopravvivere a lungo, senza progressione della malattia alla fase accelerata e/o blastica.
Molti fattori possono influenzare l'efficacia della terapia e per questo motivo, negli stadi iniziali, si consiglia di procedere a test dopo 3, 6, 12 e 18 mesi.
Le informazioni sinora ottenute dagli studi clinici, che definiscono la risposta ottimale e il fallimento a diversi tempi della terapia, hanno portato alla formulazione di uno schema di monitoraggio, che deve essere seguito per la corretta gestione del paziente (indicazioni proposte da European Leukemia-Net):


Tempo trascorso dall'inizio del trattamento Tappe fondamentali della risposta ottimale alla terapia Indagini da eseguire
3 mesi Risposta ematologica completa: il numero di globuli bianchi e di piastrine si normalizza, non sono rilevati blasti e la milza è di dimensioni normali. Emocromo
Risposta citogenetica minore: la % di cellule portatrici di cromosoma Philadelphia+ scende al 65%. Analisi citogenetica convenzionale e FISH
6 mesi Risposta citogenetica maggiore: la % di cellule con cromosoma Philadelphia+ è inferiore al 35%. Analisi citogenetica convenzionale e FISH
12 mesi Risposta citogenetica completa: non sono rilevate cellule Philadelphia+ nel sangue o nel midollo osseo. Analisi citogenetica convenzionale e FISH
18 mesi Risposta molecolare completa: le indagini con PCR rilevano sono livelli molto bassi dei geni di BCR/ABL. Analisi molecolare quantitativa su sangue periferico (PCR)

Il medico ematologo (o oncologo) potrà stabilire alcuni obiettivi e verificare l'efficacia della terapia nel caso clinico specifico, in quanto i pazienti reagiscono in modo diverso alla terapia e non tutti riescono a raggiungere le tappe fondamentali terapeutiche ottimali entro il periodo di tempo previsto.

Opzioni terapeutiche

Il principale obiettivo del trattamento per la LMC consiste nell'ottenere la remissione molecolare completa: la malattia è controllata dal trattamento (anche se non scompare del tutto) ed il numero di cloni patologici prodotti è sufficientemente limitato da non provocare alcun sintomo. Anche se per la maggior parte delle persone non è possibile eliminare completamente le cellule leucemiche, il trattamento può aiutare a raggiungere una remissione a lungo termine della malattia.

Gli obiettivi terapeutici possono comprendere:

  • Limitare la manifestazione dei sintomi della leucemia mieloide cronica;
  • Ripristinare i normali parametri relativi alla conta delle cellule ematiche;
  • Ridurre il numero di cellule leucemiche positive per il cromosoma Philadelphia (Ph+) e i segnali molecolari (trascritti di BCR/ABL);
  • Mirare alla scomparsa dei cromosomi Philadelphia+ (risposta citogenetica completa).

Farmaci antiblastici convenzionali

Alcuni farmaci antiblastici, quali il busulfano (alchilante) e l'idrossiurea (inibitore specifico della sintesi del DNA), sono stati utilizzati, soprattutto in passato, per ottenere la citoriduzione e il controllo della malattia in fase cronica. Il trattamento convenzionale ha determinato un miglioramento della qualità di vita, ma non è stato in grado di cambiare in modo significativo la storia naturale della malattia, né di prevenirne la progressione alla fase accelerata/blastica.

Interferone-alfa ricombinante

Dai primi anni '80, l'introduzione nella pratica clinica degli interferoni ha permesso di osservare, oltre alla riduzione e alla normalizzazione della quota granulocitaria, il raggiungimento della negativizzazione dei test citogenetici e molecolari, inducendo una maggiore durata della fase cronica, con conseguente riduzione dell'evoluzione in fase accelerata e/o blastica. L'interferone-alfa ha ridimensionato il ruolo della terapia convenzionale della LMC: tale farmaco è in grado di indurre una risposta citogenetica completa nel 20-30% dei pazienti, interferendo in maniera specifica con la traduzione dei segnali proliferativi nelle cellule Ph+ ed inibendo la moltiplicazione delle cellule progenitrici tumorali. L'interferone-alfa agisce anche con un meccanismo indiretto sulla sopravvivenza delle cellule leucemiche, diminuendo la loro adesione cellulare ed amplificando l'attività delle cellule del sistema immunitario.

Una limitazione all'impiego di questo farmaco è data dalla sua tossicità non trascurabile. Gli effetti collaterali dell'interferone comprendono affaticamento, febbre e perdita di peso. Allo scopo di migliorare i risultati raggiunti, l'interferone è stato associato ad altri agenti citotossici. Soltanto l'associazione dell'interferone con la citosina arabinoside (ARA-C) ha dimostrato di offrire risultati migliori rispetto al solo interferone, senza però un evidente vantaggio in termini di sopravvivenza.

Trapianto di midollo osseo allogenico

Il trapianto di cellule staminali da un donatore sano compatibile con il ricevente (trapianto allogenico) ha rappresentato per anni l'indicazione terapeutica più frequente e ancora oggi costituisce l'unico trattamento in grado di eradicare definitivamente la neoplasia.
Questa procedura, se eseguita in fase cronica, può consentire una sopravvivenza libera da malattia di cinque anni in circa il 50% dei casi.
Il trapianto di midollo osseo allogenico comporta una prima fase di distruzione di tutte (o quasi) le cellule Ph+ attraverso una terapia di condizionamento (chemioterapia in combinazione con irradiazione corporea totale), seguita dalla ricostituzione del midollo emopoietico da parte delle cellule staminali del donatore infuse. Inoltre, i linfociti del midollo del donatore concorrono a controllare e/o eliminare le eventuali cellule Ph+ con un effetto immuno-mediato detto "reazione del trapianto contro la leucemia" (graft versus leukemia). La risposta alla terapia può essere monitorata mediante la valutazione della scomparsa o meno delle alterazioni molecolari tipiche della leucemia mieloide cronica. Il trapianto di midollo allogenico rappresenta il trattamento terapeutico in grado di "guarire" la LMC, ma purtroppo comporta una quota d'insuccessi per tossicità fatale e/o recidiva. Questa procedura, infatti, è assai impegnativa e può essere influenzata dall'età del paziente e dalla precocità del trapianto (mesi o anni dalla diagnosi di fase cronica): a causa della sua potenziale pericolosità, è praticabile soltanto in pazienti di età inferiore ai 55 anni, senza ulteriori patologie concomitanti. Il trapianto allogenico costituisce, quindi, una reale opportunità terapeutica soltanto per una minoranza dei pazienti con LMC (considerando anche le difficoltà di trovare un donatore compatibile di cellule staminali).
Più recentemente, nei soggetti con leucemia mieloide cronica non eleggibili per l'allotrapianto (età, mancanza di donatore, rifiuto ecc.) è stato proposto l'autotrapianto. Il midollo osseo del paziente, reinfuso dopo un'adeguata terapia intenzionalmente citocida per le cellule Ph+ (con antiblastici+ interferone), si ricostituirebbe con una ri-espansione prevalente delle cellule Ph-.

Imatinib mesilato (Glivec ®)

La storia dei trattamenti della leucemia mieloide cronica è stata rivoluzionata dall'introduzione del primo inibitore delle tirosin chinasi (Imatinib mesilato), che ha contribuito notevolmente a migliorare la qualità di vita dei pazienti.
L'Imatinib è un inibitore specifico di BCR/ABL, progettato dopo la comprensione della biologia molecolare della malattia e utilizzato nella terapia della leucemia mieloide cronica Ph+.
Il farmaco è in grado di indurre la remissione citogenetica molecolare completa nell'80-90% dei pazienti ed è attivo anche nelle neoplasie mieloidi con eosinofilia e coinvolgimento di PDGRF (fattore di crescita derivato dalle piastrine, mitogeno sierico coinvolto in molti stati patologici, che promuove la chemiotassi e la capacità proliferativa).
Imatinib blocca selettivamente l'attività tirosin chinasica di BCR/ABL mediante un meccanismo inibitorio dell'ATP: il farmaco lega la molecola ad alta energia (ATP) disponibile nel dominio specifico della chinasi BCR/ABL, impedendo la fosforilazione di altri substrati e bloccando la cascata di reazioni che sarebbero responsabili del processo di generazione dei cloni leucemici Ph+. La dose utilizzata di tale molecola (imatinib metisilato) varia da 400 mg/die a 800 mg/die in rapporto alla fase della malattia e alla risposta. Attualmente, è il farmaco di prima scelta per il trattamento della LMC a causa della sua notevole efficacia. Gli effetti collaterali, reversibili con la sospensione e/o riduzione della dose, possono essere diversi (aumento delle transaminasi, nausea, eruzioni cutanee, ritenzione di liquidi ecc.).
Sono stati osservati casi che presentano nel tempo una resistenza al farmaco (ad esempio i pazienti con malattia in fase avanzata) e sono stati identificati criteri biologico-clinici per definire il tipo di risposta al trattamento. I meccanismi responsabili di questa resistenza sembrano essere molteplici (mutazioni del dominio chinasico, amplificazione/over-espressione di BCR/ABL, evoluzione clonale...). In questi casi proseguire la terapia con l'Imatinib non è più appropriato.
Per pazienti in queste condizioni le opzioni possibili sono:

  • Il trapianto allogenico;
  • La terapia convenzionale (idrossiurea, busulfano ecc.);
  • L'interferone;
  • La terapia sperimentale (con inibitori delle tirosin chinasi di 2a generazione).

Inibitori delle tirosin chinasi di 2a generazione

Il fallimento della terapia con Imatinib è associato alla progressione della leucemia mieloide cronica in fase accelerata e/o blastica e comporta una prognosi particolarmente negativa. Negli ultimi anni la ricerca farmacologica ha consentito di utilizzare, nella pratica clinica, inibitori delle tirosin chinasi di seconda generazione, attivi nei pazienti che hanno sviluppato una resistenza all'Imatinib: Dasatinib (Sprycel ®) e Nilotinib (Tasigna ®) sono utilizzati nei pazienti con LMC in fase cronica e/o in progressione refrattari al Glivec ® e sono in grado di re-indurre risposte ematologiche, citogenetiche e molecolari complete e persistenti. Numerosi studi hanno dimostrato, però, che il clone Ph+ - a causa della sua instabilità genetica - può sviluppare mutazioni del dominio chinasico BCR/ABL e dimostrarsi resistente ai diversi farmaci inibitori. Altre molecole in fase sperimentale (inibitori di 3a generazione) sono mirate a specifici target della leucemia mieloide cronica; in particolare, sono in grado di sensibilizzare le cellule leucemiche Ph+ che presentano specifiche mutazioni (esempio: Mk-0457 per LMC resistente e con mutazione T315I, che interessa direttamente il sito di legame con l'Imatinib).



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Autore

Giulia Bertelli

Giulia Bertelli

Biotecnologa Medico-Farmaceutica
Laureata in Biotecnologie Medico-Farmaceutiche, ha prestato attività lavorativa in qualità di Addetto alla Ricerca e Sviluppo in aziende di Integratori Alimentari e Alimenti Dietetici