Alzheimer: scoperti i meccanismi che permettono di resistere alla neuro degenerazione

Alzheimer: scoperti i meccanismi che permettono di resistere alla neuro degenerazione
Ultima modifica 15.12.2020
INDICE
  1. Il nuovo studio sull'Alzheimer
  2. Alzheimer e demenze: emergenze sanitarie urgenti
  3. La ricerca dei tre poli universitari

Il nuovo studio sull'Alzheimer

Sembra esserci un'importante novità per quanto riguarda lo studio dell'Alzheimer e la conseguente ricerca: in alcune persone sarebbe presente un meccanismo di difesa innato che permette di resistere alla neuro degenerazione causata da questa malattia, attivando una risposta cerebrale antiossidante.

A scoprirlo sono stati tre team di ricercatori che hanno collaborato nella realizzazione dello studio "Oxidative damage and antioxidant response in frontal cortex of demented and non-demented individuals with Alzheimer's neuropathology", pubblicato sul prestigioso The Journal of Neuroscience.

Le equipe coinvolte nella ricerca provengono dall'University of Texas Medical Branch, dall'Oregon Health & Science University e dall'Università degli Studi di Roma Tre.

Alzheimer e demenze: emergenze sanitarie urgenti

Malattie neuro degenerative come il morbo di Alzheimer sono in costante crescita tra la popolazione mondiale, anche ma non solo, a causa della maggiore longevità degli esseri umani.

L'aumento del numero delle persone affette da queste patologie ha fatto sì che sia il Rapporto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità sia quello di Alzheimer's Disease International eleggessero la ricerca e la lotta per la loro cura come una priorità mondiale di salute pubblica.

Secondo un nuovo studio, l'Alzheimer sarebbe riconoscibile anche da movimenti inconsapevoli.

Casi in costante aumento

A rendere urgente questa presa di coscienza sono anche i numeri: circa 35,6 milioni di persone nel mondo ne risultano attualmente colpite e sono 7,7 milioni i nuovi casi diagnosticati ogni anno, per una media di uno ogni 4 secondi.

Per quanto riguarda l'Italia, secondo quanto riportato dall'Istat, sono circa 1 milione le persone che al momento convivono con una forma di demenza e circa 3 milioni quelle direttamente o indirettamente coinvolte nell'assistenza di pazienti di questo tipo.

Tra le forme comunemente inserite nel concetto di demenza, la più nota e quella dalla più problematica gestione è la malattia di Alzheimer.

L'Alzheimer è una patologia neurologica degenerativa. Rappresenta la forma più comune di demenza progressiva e solitamente compare in età senile e pre-senile.

Sempre in relazione al progressivo invecchiamento della popolazione, le previsioni di molti esperti ipotizzano che il numero di casi già importante potrebbe triplicare nei prossimi 40 anni

Se ciò si verificasse, questo comporterebbe, oltre alle problematiche di tipo medico, costi sociali ed economici elevatissimi.

La ricerca dei tre poli universitari

Lo studio appena pubblicato rappresenta un grande passo avanti per la ricerca perché contribuisce a chiarire gli eventi molecolari alla base della malattia di Alzheimer.

La presenza di meccanismi di difesa innati contro le neuro degenerazioni è stata scoperta in un gruppo di persone che, pur avendo nel proprio cervello le caratteristiche tipiche di questa demenza, non hanno mai sviluppato la malattia, né alcun tipo di declino cognitivo.

Nello specifico, «analizzando casualmente i tessuti cerebrali di quelle persone, che in Oregon si erano sottoposte a screening ed esami medici, si è scoperto che avevano nel cervello le placche di proteina amiloide e tau tipiche dell'Alzheimer, ma non avevano mai mostrato sintomi di demenza», spiega Sandra Moreno, docente di Neurobiologia dello Sviluppo presso il Dipartimento di Scienze dell'Ateneo romano e Direttore di un Master in Embriologia Umana Applicata.

La risposta cerebrale antiossidante che ostacola la nascita dell'Alzehimer

«Nello studio sono stati analizzati 34 campioni di corteccia cerebrale, prelevati dopo la morte, di persone sane, Ndan (Non-Demented with Alzheimer Neuropathology) e colpite da Alzheimer, sia uomini sia donne», spiega Giulio Taglialatela, vice Chairman del Dipartimento di Neurologia e Direttore del Mitchell Center for Neurodegenerative Diseases della UTMB.

«Da ormai diversi anni il nostro gruppo di ricerca a Roma Tre – continua la professoressa Sandra Moreno – si occupa del ruolo dei radicali liberi nella fase di innesco e di progressione della malattia di Alzheimer. Oggi, a seguito dei risultati di questo nuovo studio, possiamo dire di avere un'ulteriore conferma della validità e dell'enorme importanza del nostro lavoro fin qui svolto. Lo studio, infatti, rivela che nei tessuti dei soggetti Ndan sia presente una differente concentrazione delle molecole microRna coinvolta nella risposta antiossidante. Ciò significa che queste persone riescono ad attivare una risposta cerebrale antiossidante efficace per far fronte allo stress ossidativo, che è uno dei meccanismi primari del danno dell'Alzheimer. Questa capacità innata sembra così giustificare le loro abilità cognitive intatte, tanto da mostrare un livello di danno ossidativo ai neuroni più basso rispetto a chi ha l'Alzheimer e molto più simile, invece, ai soggetti completamente sani».

Le prospettive in termini di ricerca e cura

Il lavoro portato avanti dal team di scienziati e ricercatori delle diverse Università consente alle conoscenze sulla malattia dell'Alzheimer di progredire e ribadisce il ruolo della prevenzione dello stress ossidativo, come forma di resistenza alla neuro degenerazione provocata dalla patologia. Tutto questo può gettare le basi per nuovi e più specifici approcci terapeutici verso una patologia sempre più presente nella società odierna. Questi, secondo gli studiosi, saranno presumibilmente basati sull'attivazione delle difese antiossidanti attraverso un intervento mirato alla modulazione di specifiche molecole di microRNA.

Altra novità per quanto riguarda le cure per l'Alzheimer, è che la Fda americana ha approvato un nuovo farmaco.