Biotecnologie: i bioreattori e la sintesi di princìpi attivi

Ultima modifica 31.12.2015

I biofermentatori o i bioreattori contenenti il terreno liquido, possono avere differenti volumetrerie: da 100 ml a diversi litri; tali contenitori vengono adattati ad una coltura in vitro e collegati a sistemi meccanici, che garantiscano l'adeguata crescita ed aereazione delle cellule. Le possibili modalità meccaniche di agitazione sono diverse: dall'agitazione a palette a quella per insufflazione d'aria. La diversificazione strutturale dei bioreattori viene giustificata dallo scopo ultimo del processo: la miglior resa in produzione di princìpi attivi; infatti, in natura, le piante sintetizzano metaboliti secondari in relazione a condizioni di stress ambientale di qualsiasi tipo; più questi sono intensi e più la pianta assume interesse officinale; perciò l'agitazione meccanica mediante pale rappresenta in molti casi uno stress sufficiente a stimolare le cellule a produrre i princìpi attivi di interesse biotecnologico.
I metaboliti secondari rappresentano il meccanismo di relazione che la pianta instaura con l'ambiente che la circonda. Analogamente a quanto accade in natura, in laboratorio si cerca di ricreare le ottimali condizioni di stress, che spesso risultano sensibilmente diverse da quelle riscontrabili in natura, poiché diversi sono gli strumenti a disposizione. In ogni caso, la condizione ricreata nella coltura in sospensione è finalizzata non solo alla produzione di princìpi attivi, ma anche alla determinazione di quei fattori di stress che inducono le cellule alla produzione di metaboliti secondari.

Le colture all'interno del bioreattore devono essere adeguatamente sottoposte a varie sollecitazioni, che mimino elementi stimolanti la produzione di metaboliti secondari. I bioreattori sono strutturati in modo tale da determinare differenti tipologie di ciclo cellulare. Così come accade nel terreno solido, prima di indurre le cellule a produrre metaboliti secondari, bisogna infatti stimolarne la moltiplicazione; ciò consente di ottenerne un numero cospicuo ed adeguato alla sintesi dei princìpi attivi.

Nell'allestimento di un terreno liquido si procede a concretizzare i seguenti passaggi:

1. Inoculo cellulare nel terreno liquido.
2. Condizioni di coltura adeguate alla moltiplicazione cellulare: il tipo di terreno e la modalità di coltivazione in un opportuno bioreattore devono consentire l'ottenimento della biomassa desiderata.
3. Condizioni di coltura adeguate alla produzione di princìpi attivi; il terreno di coltura viene modificato e la coltura viene sottoposta a sollecitazioni meccaniche, ciò comporta un forte rallentamento dei fenomeni duplicativi a favore della produzione di metaboliti secondari.

È bene ricordare che, per qualsiasi tipo di coltura in vitro, al momento dell'inoculo segue un preciso percorso di crescita: dapprima la cellula si stabilizza nel nuovo terreno di coltura, dopodiché inizia a percepire gli stimoli derivati dai costituenti del terreno. Ad una fase di adattamento segue una fase di crescita esponenziale, in cui le cellule crescono notevolmente di numero in un ristretto arco di tempo; a questa fase di crescita esponenziale succede una fase di crescita stazionaria, che si manifesta nel momento in cui almeno uno degli elementi costitutivi del terreno si esaurisce. Il raggiungimento della fase stazionaria determina il passaggio della coltura dallo stadio duplicativo a quello produttivo. A questo livello il biotecnologo induce il mantenimento della fase stazionaria, o meglio produttiva, mentre minimizza la crescita numerica, per fare in modo che le cellule producano metaboliti secondari il più a lungo possibile. Per riuscirci, si variano i costituenti del terreno, soprattutto gli ormoni e le condizioni di coltura, come pH, temperatura, aereazione, luce ed elicitazione (strumento di induzione di stress fisico o biologico sulle cellule).



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