Perché Faccio la Dieta e Non Dimagrisco?

Ultima modifica 30.06.2020
INDICE
  1. Introduzione
  2. Compliance
  3. Principi
  4. Difficoltà

Introduzione

Perché faccio la dieta e non dimagrisco? È forse la domanda più frequente alla quale dietisti e personal trainer si trovano a dover rispondere.

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In linea di massima, se la persona che segue la dieta è in sovrappeso e la strategia tecnicamente corretta, non "dovrebbero" manifestarsi particolari difficoltà nella riduzione ponderale della massa grassa. Certo, tutto questo subordina all'onestà ed alla consapevolezza di chi si cimenta nella dieta per dimagrire – può sembrare un'ovvietà, ma non lo è affatto.

Compliance

Mancata compliance alla dieta: perché è sbagliato non informare il dietista?

La sincerità degli utenti, con sé stessi e con i professionisti che li seguono, non è assolutamente da dare per scontata; tuttavia, su questo aspetto non è possibile intervenire. Determinazione e rettitudine sono infatti elementi necessari alla buona riuscita della terapia e, anche se al professionista si richiedono capacità di motivazione – che vanno dal semplice counseling, all'empowerment, fino alla presentazione di un "modello-esempio" da seguire – da solo non può colmare mancanze di questo genere.

L'atteggiamento omertoso sul decorso fallimentare della dieta non è infatti così raro. Le persone provano vergogna nel confessare di non avere la giusta motivazione e temono il giudizio del terapeuta. Tuttavia, in questo modo non vengono forniti i presupposti essenziali per migliorare la situazione. Non è infatti detto che questa mancanza dipenda solo dal paziente; talvolta, è sufficiente incrementare la gradevolezza dei cibi o aumentare di poco le calorie giornaliere per riscoprire una maggior fedeltà al progetto.

Avere difficoltà nel rispettare una dieta dimagrante, quindi, non è una colpa. La strategia potrebbe anche non risultare essenzialmente corretta, il periodo potrebbe non essere quello giusto e potrebbero sussistere difficoltà collaterali sottovalutate. In tal caso, ognuno dovrebbe porsi una domanda: "Ora, quanto tempo e risorse avrei da dedicare al raggiungimento di questo obbiettivo?". Per di più, se la necessità di dimagrimento non ha motivi di salute, bensì solo estetici, è anche giusto attribuirle l'importanza che merita.

Abbiamo già parlato di correttezza della strategia, altresì definibile dieta o schema nutrizionale dimagrante. Come dovrebbe essere una dieta dimagrante? Nel prossimo paragrafo indicheremo quali principi cardine dovrebbe possedere una dieta dimagrante.

Principi

Per essere efficacie e salutare, una dieta per dimagrire dovrebbe possedere alcuni principi inalienabili. Quindi, se fai la dieta e non dimagrisci, potresti commettere uno o più errori fondamentali. Entriamo più nel dettaglio.

I° principio di una dieta dimagrante: ipocalorica

Per mettere l'organismo in condizioni di smaltire i grassi contenuti nel tessuto adiposo – che, come sappiamo, costituisce una riserva di energia – è fondamentale creare un bilancio calorico negativo; molto sinteticamente, il bilancio calorico è il risultato della seguente operazione aritmetica:

ENERGIA IN (assunta con gli alimenti) – ENERGIA OUT (spesa nelle attività metaboliche, basali e motorie)

Se il risultato è pari a zero o addirittura positivo, ovvero se le calorie introdotte con cibi e bevande sono maggiori di quelle consumate, il corpo non utilizzerà i grassi di riserva – anzi, nel caso di un bilancio positivo tenderà ad accumularne. Se il risultato corrisponde a un valore negativo, avviene una decurtazione delle scorte lipidiche.

Una dieta che non fornisce tutta l'energia necessaria per mantenere la stabilità del peso, riducendolo, viene definita dieta IPOcalorica. Ovviamente, questa proprietà è strettamente soggettiva, perché individuale è il consumo energetico.

Complice la disinformazione collettiva, molti ritengono che la dieta ipocalorica sia un metodo superato, perché stressante e nocivo, in quanto si teme possa ridurre il metabolismo basale e intaccare i volumi muscolari. Sbagliato. Ammesso che si possano verificare tali effetti indesiderati, accadrebbero con restrizioni energetiche importantissime, che scendono ben oltre il cosiddetto metabolismo basale – calorie spese in condizioni di totale riposo, in veglia, senza digestione, termogenesi, sudorazione o qualsivoglia attività cerebrale o fisica. Una dieta può essere ipocalorica anche solo dell'1%.

Poi, talvolta chi critica il sistema della restrizione nutrizionale, suggerisce che il metodo più sicuro ed efficacie sarebbe piuttosto quello di aumentare il movimento. Ora, fermo restando che in assenza di un adeguato protocollo di attività motoria è senza dubbio consigliabile intraprenderlo, il risultato non cambia. Certo è che facendo sport si ottengono anche molti altri benefici, sia a livello salutistico, ma anche nel calo ponderale; ad esempio, l'attività fisica rinvigorisce i muscoli, crea debito di ossigeno e migliora l'utilizzo metabolico dei carboidrati, il che contribuisce ad aumentare il dispendio energetico e a ottimizzare la destinazione dei nutrienti assunti. Tuttavia, il principio rimane lo stesso: un bilancio calorico negativo. Molti replicano che, in questo modo, si ha il vantaggio di mangiare di più, a vantaggio dell'apporto di nutrienti essenziali. D'altro canto la necessità di vitamine, grassi essenziali, amminoacidi essenziali e minerali aumenta con l'incremento dell'impegno fisico dovuto allo sport. Come se non bastasse, muoversi di più comporta anche un innalzamento dell'appetito, con il quale bisognerà fare i conti a tavola.

Per approfondire: Sport per Dimagrire

II° principio di una dieta dimagrante: proporzionata e calibrata

Abbiamo già detto che la dieta dimagrante dev'essere strettamente personalizzata, poiché il dispendio calorico è dettato soprattutto dalle caratteristiche di: sesso (correlato all'entità delle masse muscolari), età, spessore dello scheletro, proporzioni dello stesso e livello di attività motoria (lavorativa, sportiva e ricreativa).

In linea generale, la calibratura di una dieta ipocalorica viene fatta sul dimagrimento teorico, potenziale o preventivamente stimato di circa 3 chilogrammi al mese (±700 g o al massimo 1 kg). Per ottenere un effetto simile, è necessario calcolare il dispendio calorico giornaliero – composto da metabolismo basale sommato al livello di attività fisica – e decurtarlo quindi del 30 % (ad ogni -10 % corrisponde, circa, il dimagrimento di 1 kg).

Togliere ulteriore energia significherebbe in primo luogo rendere lo schema alimentare poco ragionevole, quindi difficile da seguire, aumentando le possibilità di abbandono precoce. Poi, risulterebbe più stressante per l'organismo, affaticandolo e aumentando le possibilità di carenze nutrizionali. Non da meno, comprometterebbe le prestazioni sportive, lavorative e certe volte anche l'umore.

Inoltre, non si creda che il rapporto tra calorie sottratte e grasso adiposo utilizzato sia totalmente lineare. Si giunge ad un punto in cui, forse per saturazione delle vie metaboliche, il reclutamento dei lipidi di riserva non aumenta più e si accentua invece la neoglucogenesi dagli amminoacidi.

III° principio di una dieta dimagrante: equilibrata

Parlare solo di calorie, a volte, può essere fuorviante. Carboidrati, proteine e lipidi – i tre macronutrienti con funzione energetica – andrebbero assunti in una certa percentuale. Le linee guida suggeriscono una netta prevalenza di carboidrati – in rapporto di circa 4 o 5 a 1 tra complessi e semplici – seguiti dai lipidi totali – ¼ saturi e ¾ insaturi, con il 2,5 % di essenziali e semi-essenziali omega 3 e omega 6 – e infine dalle proteine – meglio se 1/3 delle quali di provenienza animale. Inoltre, il colesterolo totale non deve superare i 200 mg / die, la fibra dovrebbe attestarsi intorno ai 30 g / die e l'acqua totale in misura di pressappoco 1 ml / kcal assunta con i cibi.

IV° principio di una dieta dimagrante: ben ripartita

Secondo le abitudini della popolazione italiana, la dieta dovrebbe comprendere una colazione, due spuntini secondari, un pranzo e una cena; ognuno di questi pasti ha una funzione, ragion per cui la percentuale di calorie da attribuirgli è relativamente diversa. Ovviamente questo può cambiare molto a seconda delle abitudini personali – turni lavorativi, attività sportiva collocata in orari strani ecc; tuttavia, in linea generale si suggerisce di fornire: 15% dell'energia a colazione, 5% nello spuntino di metà mattina e metà pomeriggio, 40% a pranzo e 35% a cena.

V° principio di una dieta dimagrante: a medio termine

Una dieta dimagrante, proprio in merito alla sua natura "potenzialmente stressante", non deve essere protratta a lungo termine, o peggio a tempo indeterminato.

Dati per scontati tutti i crismi sopra citati, una dieta ipocalorica propriamente detta andrebbe seguita per non più di 24 settimane; scaduto il termine, deve seguire una fase di mantenimento o stabilizzazione nella quale mente e corpo hanno la possibilità di recuperare dalla "fatica" di tale processo. Ovviamente la dieta da seguire sarà di tipo normocalorico e non dovrà comportare un aumento ponderale.

Poi, se la condizione lo richiede, è possibile riprendere con il dimagrimento – anche se sarebbe consigliabile ridurre il periodo a 4 mesi. Il tutto si può ripetere fino al raggiungimento dell'obbiettivo.

I lettori non commettano l'errore di pensare che questa strategia possa risultare troppo lenta. In 6 mesi si può dimagrire fino a 18 kg, un risultato tutt'altro che trascurabile.

VI° principio di una dieta dimagrante: gradevole

La gradevolezza della dieta è senz'altro un dettaglio da non trascurare. Infatti, se così non fosse, alla fatica dell'abituarsi a mangiare meno, si sommerebbe la difficoltà nel consumare solo cibi non graditi. Questo compromette significativamente una buona riuscita del metodo.

Ovviamente in una dieta ipocalorica dimagrante non può essere integrato tutto ciò che si desidera, un po' per ragioni di educazione alimentare, ma anche per le maggiori difficoltà nel mantenere un equilibrio nutrizionale che ciò comporterebbe.

Per approfondire: Dieta Ipocalorica

Difficoltà

Difficoltà nel dimagrire: perché?

È molto difficile a dirsi. Nel complesso, le difficoltà potrebbero essere suddivise in due macro-gruppi:

  • Dieta-dipendenti
  • Personali.

Queste ultime, poi, si potrebbero ulteriormente ripartire in:

  • Consapevoli
  • Inconsapevoli

o anche in:

  • Modificabili
  • Non modificabili.

Le difficoltà nel dimagrimento dieta-dipendenti sono una totale responsabilità di chi ha costruito la strategia e vanno ricercate sovrapponendo le sue caratteristiche specifiche ai principi di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente.

Le difficoltà personali al dimagrimento invece, dipendono sostanzialmente dal comportamento o dalla fisicità del soggetto. Quelle consapevoli riguardano principalmente l'attitudine a sgarrare di frequente, o a perdere l'abitudine di calibrare le porzioni, o alla necessità di mangiare spesso fuori casa ecc. Quelle inconsapevoli invece, derivano principalmente da una mancanza di istruzione sul da farsi; i casi più frequenti riguardano: la stima dell'olio usato per condire – il famoso "filo d'olio", che spesso diventa una "cascata torrenziale" – la sostituzione errata dei cibi – ad esempio, rimpiazzare dei fiocchi di latte light con una mozzarella, che contiene quasi il triplo delle calorie – ecc. Ciò può essere imputabile ad una scarsa accuratezza di chi ha prodotto la dieta nell'esplicare tutti i dettagli del caso, oppure a un atteggiamento superficiale dell'utente.

Esistono poi le difficoltà personali modificabili e non modificabili. Tra quelle modificabili, ad esempio, troviamo le consapevoli e le inconsapevoli citate, poiché è sufficiente correggere certi comportamenti inadeguati per aggiustare il tiro e ottenere il dimagrimento preventivato – anche se talvolta non è poi così semplice. Quelle non modificabili invece, riguardano ostacoli metabolici e dello stile di vita con i quali bisogna fare i conti ma che non possono essere alterati. I più diffusi riguardano le necessità lavorative, come mangiare in mensa, dover saltare i pasti, trasferirsi spesso all'estero ecc. Raramente però, esistono anche casi di difficoltà personali non modificabili a base organica, che quindi riguardano la funzionalità corporea. Ad esempio, donne con ovaio policistico, persone fortemente insulino resistenti, soggetti con masse muscolari particolarmente ridotte e che non possono svolgere attività fisica ecc avranno certamente maggiori difficoltà – anche se questo non vuol dire che il dimagrimento debba corrispondere a zero, ma solo che sia inferiore alle aspettative.

Queste sono le ragioni che più frequentemente non consentono un adeguato dimagrimento. Esistono poi infinite combinazioni dei casi sopra citati e quasi sempre il fallimento ha una ragione multifattoriale. Detto questo, il consiglio migliore rimane quello di affidarsi a un professionista qualificato, che potrà seguire il dimagrimento fino alla fine, e dopo il quale sarà in grado di stilare anche una dieta per il mantenimento del risultato ottenuto.

Autore

Riccardo Borgacci

Riccardo Borgacci

Dietista e Scienziato Motorio
Laureato in Scienze motorie e in Dietistica, esercita in libera professione attività di tipo ambulatoriale come dietista e personal trainer