Ultima modifica 09.02.2017

Pericolosità dell'Amanita Phalloides

Subdola ed equivoca, l'Amanita phalloides è la capostipite dei funghi velenosi altamente mortali: la sua ingestione provoca gravi sindromi d'avvelenamento, con esito infausto nella stragrande maggioranza dei casi (morte nel 70-80%). L'Amanita phalloides provoca il decesso anche dopo la sola ingestione di metà cappello del fungo: a tal proposito, in simili frangenti, si può affermare che la massima di Paracelso (“è la dose che fa il veleno”) non trova un valido riscontro pratico.
Amanita PhalloidesLa pericolosità di Amanita phalloides consiste anche nella spiccata capacità di “mimetizzarsi” ed assumere innumerevoli sembianze: infatti, a causa del marcato polimorfismo, Amanita phalloides appare molto simile ad altre specie, analoga persino a funghi appartenenti a generi diversi. Per il motivo appena descritto, il rischio di generare confusione con altri funghi si rivela esageratamente elevato.

Sinonimi

In gergo comune, l'Amanita phalloides è conosciuta con i nomi più disparati: angelo della morte, ovolo bastardo, Agaricus phalloides, Tignosa verdognola e Tignusa morteada. Il nome della specie (phalloides) è costituito da due parole greche: phallòs (fallo) ed eîdos (forma), appellativo che si addice perfettamente al fungo, vista la caratteristica conformazione fallica del gambo.

Descrizione botanica

La pericolosissima Amanita phalloides è un fungo dalle mille forme; ad ogni modo, presenta caratteristiche specifiche, di seguito elencate:

  • Il cappello esibisce una forma campanulata o conica, talvolta emisferica, di colore variabile dal grigio al giallognolo, e dal brunastro al bianco. In genere, il colorito del fungo sfuma con tonalità sempre più chiare dal centro al margine. Il diametro del cappello varia dai 4 ai 15 cm e può risultare brillante o viscoso in base all'umidità.
  • Il gambo fallico di Amanita phalloides, che tende ad allargarsi man mano che ci si spinge verso il basso, appare con particolarissime striature biancastre o verdognole, paragonabili alla pelle di serpente. Il gambo di Amanita phalloides risulta pieno da giovane, e cavo nel fungo vecchio, ma sempre bulboso alla base.
  • Le lamelle del fungo sono molto fitte e disuguali, libere al gambo.
  • L'anello, localizzato nella zona pre-apicale, è bianco, ed avvolge il gambo come un fazzoletto: nel fungo maturo, l'anello tende a cadere.

La carne di Amanita phalloides risulta marcatamente fibrosa, bianca e soda. Da crudo, l'odore è nullo, talvolta accentuato da note di rosa appassita o di urina; il fungo fradicio emana invece un odore molto sgradevole e fetido, simile all'ammoniaca.
L'angelo della morte cresce facilmente nei boschi frondosi, in prossimità di querce e conifere, soprattutto nei mesi estivi ed autunnali.

Componenti chimici tossici

La tossicità di Amanita phalloides è dovuta a due costituenti chimici: le amantine e le falloidine. Le amantine (alfa e beta) sono peptidi ciclici responsabili del blocco selettivo dell'enzima Rna-polimerasi: la dose letale media (LD50) delle amantine è 0,1 mg/kg [tratto da Dizionario ragionato di erboristeria e di fitoterapia, di A. Bruni, M. Nicoletti]; le falloidine, micotossine a struttura ciclo peptidica sono responsabili di danno epatico e gastrointestinale, provocato dall'inibizione della trascrizione del DNA nelle cellule del fegato. [tratto da wikipedia/]
Il trattamento termico non uccide le tossine: si tratta, infatti, di sostanze termostabili, perciò resistenti anche alla cottura.

Sindrome falloidea da avvelenamento

Nel 70-80% dei casi, il fungo provoca il decesso: si stima che un milligrammo per chilo di peso corporeo sia sufficiente a generare danni irreversibili al fegato. I primi sintomi si avvertono solo dopo 6-12 ore dall'assunzione del fungo, altre volte i segnali di avvelenamento possono presentarsi persino dopo 40 ore. L'intossicazione da Amanita phalloides consiste in quattro fasi distinte: il lasso di tempo coincidente con l'incubazione della tossina è chiamato “fase di latenza”, periodo in cui la molecola velenosa rimane latente nell'organismo. È proprio il lungo intervallo di “attesa” prima della manifestazione dei sintomi a complicare il quadro clinico, che risente in maniera assai negativa del mancato intervento tempestivo.
Dopo 12-40 ore, iniziano i primi disturbi gastrointestinali, caratterizzati principalmente da vomito incontrollabile, sudorazione eccessiva, diarrea e forti dolori addominali (fase gastrointestinale). In questa fase, sono possibili - nonché probabili - complicazioni gravi, quali disidratazione associata ad ipovolemia, insufficienza renale acuta e, talvolta, morte.
La terza fase (epatica) registra un aumento esagerato della transaminasi e della bilirubina, con possibile emorragia interna.
La fase che precede il decesso (insufficienza epatica grave), si manifesta dopo 4-5 giorni dall'assunzione di Amanita phalloides, ed è caratterizzata da valori bassissimi dell'attività protrombinica e necrosi epatica, coma epatico, generalmente associato ad insufficienza respiratoria, coagulopatia, convulsioni ed insufficienza respiratoria.

Rimedi contro l'avvelenamento

Quando l'intossicazione da Amanita phalloides è diagnosticata tempestivamente (fatto del resto piuttosto difficile, visto che i sintomi compaiono dopo molte ore), la morte del soggetto può essere scongiurata. Ad ogni modo, anche se il paziente sopravvive all'avvelenamento da Amanita phalloides, con ogni probabilità dovrà essere sottoposto a trapianto di fegato e/o dialisi.
L'intervento tempestivo comprende la lavanda gastrica- al fine di rimuovere tracce di tossina dallo stomaco e dall'intestino - somministrazione di carbone attivo, in grado di assorbire le molecole velenose, diuresi forzata, emodialisi, plasmaferesi. Probabilmente, alcune sostanze come acido tioctico, silimarina ed acubina sono possibili antidoti, da somministrarsi, chiaramente, nel più breve tempo possibile dopo l'assunzione di Amanita phalloides.

Amanita phalloides: come riconoscerla

Per identificare ed accertare di aver raccolto Amanita phalloides, esiste un metodo piuttosto semplice: dopo aver schiacciato un frammento di fungo in un foglio di carta da giornale, far cadere alcune gocce di acido muriatico sull'impronta lasciata, ponendo attenzione a contrassegnare con una matita il contorno prima che l'umidità lasciata dal fungo si asciughi. La formazione di un alone bluastro dopo 5-10 minuti è segno della presenza dell'amatossina: così facendo, si avrà la conferma che quel fungo è proprio la velenosissima Amanita phalloides.


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