La metodica "Zone Training" e il protocollo d'allenamento "Ibrido"
Partiamo dal presupposto che la metodica Zone Training, spesso confusa con la tecnica dei 21 colpi, con le stage repetition o con le ripetizioni parziali, è una metodologia di allenamento a sè stante, la quale si fonda su presupposti ben precisi.
Ideata verso la fine degli anni '70 da Brian Johnston, si basa sul concetto di scomporre il ROM completo di un esercizio in più parti (2 o 3, in base all'ampiezza del ROM stesso), al fine di massimizzare l'onere muscolare in ogni parte del ROM (range of motion) appunto.
Si inizia dalla parte del ROM biomeccanicamente più sfavorevole (più difficile per intenderci), per poi proseguire in quella più facile dopo le ripetizioni programmate; questo modo la seconda parte di esercizio, quella teoricamente più facile (favorevole), non sarà più tale, ottenendo un maggior onere muscolare rispetto ad un esecuzione a ROM completo.
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Per fare un esempio pratico, osservate la foto in cui sto eseguendo un curl con manubri da seduto: la parte biomeccanicamente più sfavorevole è quella in cui partendo dalla posizione iniziale (braccia completamente estese) si flettono gli avambracci fino a raggiungere un angolo di 90° con l'omero. Nello specifico, il curl con manubrio o con bilanciere è un classico esempio di "leva interfulcrata", o leva di primo genere, la quale può essere svantaggiosa, neutra o vantaggiosa, ma non intendo tediare chi mi legge con le dissertazioni biomeccaniche, magari affronteremo detto argomento in un articolo a parte. |
Il risultato perseguito in un esercizio in "Zone Training" è quello di creare un maggior coinvolgimento, e conseguente danneggiamento, delle fibre muscolari in un minor numero di serie, ciò si ottiene proprio per via della suddetta massimizzazione dell'onere muscolare in ogni zona del ROM.
La metodica "Zone Training", proprio per i presupposti sulla quale si fonda, ben si sposa con la metodologia HIT (o HeavyDuty). Da qui sono stati sviluppati i protocolli di allenamento denominati "ibridati", i quali, pur sempre basandosi su volumi di lavoro ridotti a vantaggio dell'intensità, combinano le tecniche d'intensità dell'HIT con quelle dello Zone Training.
Pertanto si parla di ibrido perchè non si tratta né di un protocollo di HIT puro, né di uno in zone training, bensì di un programma di allenamento che prende alcune parti da entrambi. Starà poi al tecnico diluire i contenuti allenanti (zone training combinato con serie a prestancaggio, stripping o rest pause ecc.) nella strutturazione del programma di lavoro, in base alle singole necessità e non ultimo all'anzianità di allenamento della persona, cercando di minimizzare lo stress sistemico (programmando adeguata frequenza, volume di lavoro e periodi di scarico) e di massimizzare le risposte adattative.
Nel corso dell'ultimo decennio ho potuto sviluppare un mio piccolo studio statistico su di un campione di circa 400 persone che ho allenato con queste metodologie, riscontrando notevoli guadagni di massa muscolare e forza, vascolarizzazione e densità; ovviamente stiamo parlando di atleti natural, ovvero che non assumono alcun aiuto chimico, pertanto dovendo fare i conti con le bizze del cortisolo ed i tempi fisiologici necessari per i processi compensativi e supercompensativi (per intenderci, va meticolosamente programmato sia il lavoro, che la ciclizzazione dell'intensità e periodi discarico, attivo eo passivo).
Non ultimo sarà di fondamentale importanza (ma questo a prescindere da qualsiasi metodo si segua) scegliere gli esercizi da eseguire in base alla biomeccanica personale, ricordo sempre che esercizio X non significa necessariamente lavoro Y su chiunque, le catene cinetiche a volte sono capricciose e anarchiche (consentitemi la battuta scherzosa), ed il loro lavoro può essere alterato da una postura in disequilibrio, la quale è spesso il risultato del nostro vissuto, ma questa è un altra storia.
Vi invito a leggere i miei articoli presenti in rete e sul portale My-personaltrainer.it (link a fondo pagina).