A cura del Dottor Marcello Serra
La parola stretching è di origine anglosassone e significa stiramento, allungamento. Questo termine è di frequente utilizzo nel mondo dello sport e della palestra, ma non sempre se ne comprende l'importanza e il significato reale. Negli anni lo stretching è stato oggetto di numerosi studi, intorno ai quali sono state sviluppate teorie e tecniche di applicazione. Fondamentalmente è un tipo di attività orientata all'allungamento muscolare, sia con finalità di prevenzione degli infortuni, che di recupero dopo l'allenamento.
Lo stretching, in condizioni non patologiche, si basa sul presupposto che maggiore allungamento ed elasticità muscolari possono voler dire maggiore ampiezza dei movimenti, maggiore forza, maggiore risparmio energetico e maggiore coordinazione.
I primi studi sullo stretching sono nati dalla semplice osservazione del mondo animale e dei comportamenti dell'uomo. Infatti è sufficiente far caso ai gesti di tutti noi appena svegli: ci stiracchiamo, ossia allunghiamo i muscoli che, durante le ore di riposo, si sono "irrigiditi" e "accorciati". È perciò un'esigenza innata quella di allungarci per preparare il fisico ad una nuova giornata.
I muscoli possono essere paragonati a degli elastici che si allungano e accorciano, ma non sono capaci di accorciarsi molto, se prima non sono stati tesi abbastanza. Esempio lampante è il tennista che, prima del servizio, "carica il colpo", o meglio stira intere catene muscolari, per poi contrarle violentemente e colpire la pallina più forte possibile. È per questo che un muscolo rigido diventa debole allo stesso modo di un muscolo eccessivamente stirato.
Per comprendere meglio lo stretching sono adesso necessari dei richiami di anatomia e fisiologia muscolare.
Ogni muscolo striato del corpo umano, a livello macroscopico, è costituito da fibre, formate a loro volta da più miofibrille, le quali in ultimo sono costituite da miofilamenti proteici. Questi ultimi sono di due tipi: actina (più sottili) e miosina, sono sovrapposti e scorrono vicendevolmente.
L'unità funzionale di un muscolo scheletrico è il sarcomero, ai cui estremi, le "linee Z", sono attaccati i filamenti di actina. Nella parte mediana del sarcomero troviamo i filamenti di miosina che, durante la contrazione, trascinano i filamenti di actina grazie a dei "ponti trasversali", avvicinando così le linee Z. La fase eccentrica o di allungamento avviene al contrario, ossia con l'allontanamento delle linee Z dal centro del sarcomero, fino a quando non c'è quasi più sovrapposizione tra i filamenti di actina e miosina.
In assenza di sovrapposizione delle miofibrille, se l'allungamento dovesse perdurare o aumentare, come durante certi esercizi di stretching, la tensione verrebbe a scaricarsi sui tessuti connettivi delle fibre muscolari e del muscolo in genere: reticolo sarcoplasmatico, sarcolemma e endomisio.
Da uno studio del dott. Goldspink condotto presso l'università di Londra si è visto che, dopo lunghi periodi di allungamento muscolare, il fisico è in grado di sintetizzare nuovi sarcomeri, così da ristabilire la "normale" sovrapposizione dei filamenti di actina e miosina all'interno di ciascun sarcomero.
Nei muscoli, nei tendini e nelle articolazioni son presenti numerosi "sensori", che prendono il nome di propriocettori e che si comportano secondo precise regole fisiologiche. Tra questi, sono di interesse per la nostra trattazione, i fusi neuromuscolari e gli organi tendinei del Golgi.
I fusi neuromuscolari sono i più numerosi propriocettori all'interno dei muscoli striati. Essi inviano al Sistema Nervoso Centrale informazioni concernenti il grado di stiramento del muscolo. Ciò permette di selezionare il numero esatto di fibre muscolari che devono contrarsi per vincere una data resistenza. Perciò maggior carico vuol dire maggior numero di fibre muscolari contratte.
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