Push up: come si fa, a cosa serve ed errori comuni
Il push up (push-up), in italiano "piegamenti sulle braccia" – o, impropriamente, "flessioni" – è l'esercizio a corpo libero più famoso al mondo.
Assieme ai crunch (addominali), alle accosciate (squat a corpo libero) e alle trazioni alla sbarra (pull-up o pull up), va a costituire la "base" per un allenamento callistenico completo.
In questo breve ma esaustivo articolo cercheremo di spiegare correttamente a cosa serve, ovvero quali muscoli allena, e come si fa in maniera corretta; non mancheremo di elencare, inoltre, gli errori tecnici più comuni.
Come si fa un push up?
Brevemente, l'esecuzione corretta del push up classico potrebbe essere così riassunta:
- Assumere una posizione prona (sdraiato a faccia in giù), con i gomiti flessi molto vicini al torace;
- I palmi delle mani sono a terra, appena sotto la spalla (dritte, con il dito medio perfettamente in linea con l'avambraccio);
- Le scapole sono parzialmente addotte e depresse - e mantenendo una perfetta stabilità del corpo;
- I piedi sono vicini (larghezza del bacino) appoggiati al suolo sulle punte;
- La variante facilitata prevede di appoggiare le ginocchia, anziché le punte dei piedi;
- La testa è dritta, con lo sguardando davanti a sé o a 45°; la cervicale non è iperestesa;
- Inspirare ed eseguire una spinta, passando ad una posizione di plank a braccia tese;
- Ripercorrere il gesto al contrario, senza appoggiare il corpo a terra – ma sfiorando comunque il pavimento – ed eseguire un nuovo piegamento.
È fondamentale assicurarsi di stabilizzare il corpo, mettendo in tensione la muscolatura addominale, dei glutei, i flessori dell'anca, e inspirando profondamente prima del gesto o all'inizio della discesa;
Attenzione! La respirazione può essere gestita in due modi: eseguendo dei cicli completi nella fase di plank (braccia distese) e tenendo la Valsalva durante l'intero movimento; oppure inspirando in discesa ed espirando in salita.
Biomeccanica
Partiamo dal presupposto che sarebbe meglio parlare dei piegamenti sulle braccia "al plurale", poiché innumerevoli sono le varianti ad oggi conosciute e anche piuttosto diffuse.
La postura e la tecnica, com'è deducibile, incidono e non poco sul grado di difficoltà, su tipo di stimolo applicato e – con riferimento agli obbiettivi – sulla adeguatezza del protocollo d'allenamento impostato.
Prima di tutto, il push up è un esercizio di callisthenics basato sul movimento di spinta.
Dal punto di vista anatomo funzionale, questo gesto implica soprattutto:
- flessione (sollevamento) e adduzione sul piano orizzontale dell'omero, con coinvolgimento prevalente del gran pettorale e del deltoide, soprattutto anteriore;
- estensione del gomito (avambraccio), con coinvolgimento prevalente del tricipite brachiale.
Inoltre, il push-up richiede una spiccata stabilizzazione del corpo in posizione di plank, con massiccio coinvolgimento dell'intero core.
Non per nulla, vengono considerati "secondariamente" stimolati dai piegamenti sulle braccia i muscoli: retti dell'addome, obliqui e trasversi (addominali), lo psoas-iliaco (o ileo-psoas) e retto femorale (uno dei quattro capi del quadricipite), glutei.
Peraltro, come vedremo sotto, per un'esecuzione impeccabile del push up è fondamentale avere un buon controllo scapolare, in particolare nei movimenti di adduzione e depressione, rispettivamente applicati dai muscoli: trapezio (alcuni fasci), piccolo romboide, grande romboide e dentato anteriore. Il piccolo pettorale facilita la depressione delle spalle.
Cosa fanno i push up?
I potenziali vantaggi e i benefici del push up dipendono, prima di tutto, dal livello di preparazione fisica del soggetto che li esegue.
In un soggetto per nulla o poco condizionato, inserire i piegamenti sulle braccia nella routine di allenamento è senza dubbio un valido sistema per aumentare la forza e la massa del gran pettorale, del tricipite e della spalla anteriore; secondariamente, inoltre, permetterebbero anche di sensibilizzare il controllo sulle scapole, sul bacino, sui glutei e sul core.
In un soggetto già forte ed allenato, invece - che esegue regolarmente distensioni in panca ad alta %1RM e dip alle parallele con sovraccarico - i push-up costituiscono più che altro un esercizio finisher o una modalità di scarico attivo.
L'unica eccezione è costituita dai push up con sovraccarico, solitamente costituito da dischi di ghisa appoggiati sulla schiena, o da uno zaino apposito per zavorre, che permette di raggiungere alti tempi sotto tensione muscolare (TUT) con un buon livello di attivazione neurale e di tensione muscolare.
Quante flessioni al giorno per ottenere risultati?
Nell'ottica di un atleta callistenico, è bene svolgere quanti più push-up possibile – a prescindere dalla ripartizione tra set e rep.
D'altro canto, ai soggetti che usano i piegamenti sulle braccia per ottenere dei risultati estetici, consigliamo di aggirarsi intorno a due-tre allenamenti per microciclo (non di meno), purché il livello di tensione muscolare risulti sufficientemente critico da indurre cambiamenti di natura ipertrofica.
Se i push-up vengono usati come unico esercizio per il petto, è bene cercare di mantenere un volume allenante complessivo di almeno 90 rep complessive; se il livello è già buono, e non si fa uso di sovraccarichi, meglio 120-150.
Il rapporto tra il numero di rep utili e di set cambia in base alla metodica, ovvero se si intende lavorare a cedimento oppure a buffer; e anche se si lavora con i sovraccarichi oppure no.
Ricordiamo che, nei soggetti evoluti, i push up determinano un basso impegno neurale, ragione per la quale sarebbe intelligente sfruttarne quantomeno l'impatto metabolico sul tessuto muscolare. Ecco perché rappresentano soprattutto un finisher.
Superato il tetto delle 4 decine per ogni set, può avere senso – anche per uno sportivo callistenico – ricorrere alle zavorre.
Errori da non commettere nel push up
Gli errori più frequenti nell'esecuzione del push up sono:
- Iper-estendere la cervicale o avvicinare il mento allo sterno;
- Partire con le mani in posizione scorretta: troppo avanti o indietro, troppo aperte o chiuse; troppo ruotate all'esterno o all'interno;
- Tenere i gomiti larghi;
- Non attivare correttamente le scapole: sia per difetto (lasciandole troppo aperte ed elevate), ma anche per eccesso – il che determinerebbe un inarcamento della schiena;
- Trascurare la compattezza del core e la stabilità del bacino: sia per difetto, inarcando la schiena verso il basso o verso l'alto (sedere in su), sia per eccesso – il che determinerebbe una perdita di controllo sulle scapole;
- Eseguire il piegamento senza aver inspirato.
Altri tipi di push up
Le tipologie di push up sono davvero moltissime.
La prima variabile è senza dubbio costituita dalla presa, cioè dalla posizione delle mani:
- Presa stretta o a diamante: per maggiore enfasi sullo stimolo dei tricipiti e sui fasci clavicolari del gran pettorale;
- Presa larga: per minor coinvolgimento del tricipite, ma la riduzione del range di movimento (ROM) non è considerata un vantaggio;
- Presa singola: è estremamente faticosa e pochi riescono ad applicarla; richiede una modifica dell'assetto e della balistica, che cambia il tipo di stimolo ottenuto;
- Presa avanzata: come avviene nelle distensioni in panca piana, dovrebbe migliorare lo stimolo sui fasci alti del gran pettorale e sul deltoide anteriore.
La seconda variante è l'inclinazione del busto, che prevede di alzare i piedi appoggiandoli su una panca o una pila di step. Maggiore è l'inclinazione, maggiore è l'entità del carico, più lo stimolo si focalizza sull'alto pettorale e sul deltoide anteriore.
La terza variante riguarda le facilitazioni. Chi non riesce ad eseguire correttamente i push up, può tranquillamente ridurre la "leva" appoggiando le rotule anziché l'avampiede. Per diminuire ulteriormente l'intensità, possiamo creare un angolo più o meno enfatizzato tra schiena e cosce (portando il sedere in su). La variante più "easy" è in ginocchio (angolo delle cosce a 90°).
I piegamenti sulle braccia possono anche essere eseguiti con dei sovraccarichi sulla schiena, ad esempio costituite da un gilet zavorrato.