Ultima modifica 25.11.2019

Quarta Parte


ERITROPOIETINA (EPO), FATTORE INDOTTO DALL'IPOSSIA (HIF) E IPERVENTILAZIONE


L'EPO è da tempo riconosciuta come il regolatore fisiologico della produzione di globuli rossi. Viene prodotta soprattutto nel rene in risposta all'ipossia e al cloruro di cobalto.
La maggior parte delle cellule, esposte all'ipossia, si pone in uno stato di quiescenza riducendo di circa il 50-70% la sintesi di mRNA. Alcuni geni, come il fattore indotto dall'ipossia, vengono invece stimolati.
HIF è una proteina contenuta nel nucleo cellulare che svolge un ruolo fondamentale nella trascrizione genica in risposta all'ipossia. E' infatti un fattore di trascrizione che codifica per le proteine coinvolte nella risposta ipossica ed è fondamentale per la sintesi dell'eritropoietina.

In condizioni di ipossia la via del sensore di ossigeno (per molte cellule è rappresentato dal citocromo aa3) è bloccata, quindi HIF aumenta. Gli eventi che si succedono a valle del sensore per attivare l'espressione del gene dell'EPO richiedono una nuova sintesi proteica e la produzione di specifici fattori di trascrizione. Nel nucleo inizia la trascrizione del gene dell'EPO sul cromosoma.
Epo e alturaI livelli di EPO in condizioni di ipossia aumentano in maniera significativa a 3000 m dopo 114 minuti e a 4000m dopo 84 minuti. I valori medi passano da 16.0 a 22.5 mU/ml (3,000 m) e da 16.7 a 28.0 mU/ml (4,000 m). Al termine dello stimolo ipossico i livelli di EPO continuano a salire per circa 1.5 h e 3 h e poi si riducono con un un'emivita media di circa 5.2 h.
L'iperventilazione si manifesta a riposo già a partire dai 3400 m circa (proporzionalmente alla quota raggiunta). L'ipossia acuta stimola i chemocettori (in particolare i glomi carotidei), sensibili all'abbassamento della PO2 nel sangue arterioso, i quali possono fare aumentare la ventilazione sino al 65% circa.
Dopo alcuni giorni di permanenza in quota si instaura la cosiddetta "acclimatazione ventilatoria", caratterizzata da evidente aumento della ventilazione polmonare a riposo.
L'esercizio fisico, sia in ipossia acuta che cronica, determina iperventilazione molto più elevata che a livello del mare; la causa sarebbe da ricercare in un potenziamento dell'attività dei chemocettori e dei centri respiratori provocata dalla ridotta pressione parziale di O2.
Infine va rilevato che il costo energetico della ventilazione polmonare aumenta in quota per effetto dell'iperventilazione. Infatti secondo quanto riportato in studi condotti da Mognoni e La Fortuna nel 1985, a quote variabili fra 2300 e 3500 m, è stato riscontrato un costo energetico per la ventilazione polmonare da 2.4 a 4.5 volte superiore che a livello del mare (a parità di sforzo).
Il valore medio del pH del sangue in condizioni di normossia è di 7,4. L'iperventilazione che compare nell'ascensione ad alta quota, oltre ad avere l'effetto di aumentare la quantità di ossigeno disponibile per i tessuti, provoca un aumento dell'eliminazione di anidride carbonica con l'espirazione. Il conseguente calo della concentrazione ematica di CO2 determina uno spostamento del pH ematico verso l'alcalinità aumentando fino a valori di 7,6 (alcalosi respiratoria).

Il pH del sangue è influenzato dalla concentrazione ematica degli ioni bicarbonato [HCO3-], che rappresentano la riserva alcalina dell'organismo. Per compensare l'alcalosi respiratoria, nel corso dell'acclimatazione l'organismo aumenta l'escrezione di ione bicarbonato con le urine, riportando i valori del pH ematico a livello normale. Questo meccanismo di compenso dell'alcalosi respiratoria che si verifica nel soggetto perfettamente acclimatato ha come conseguenza la riduzione della riserva alcalina, quindi del potere tampone del sangue nei confronti ad esempio dell'acido lattico prodotto durante l'esercizio fisico. E' noto infatti che nell'acclimatato si ha una notevole riduzione della "capacità lattacida".
Dopo circa 15 giorni di permanenza in quota si verifica un aumento progressivo della concentrazione dei globuli rossi nel sangue circolante (poliglobulia), tanto più marcato quanto più elevata è la quota, raggiungendo i massimi valori dopo circa 6 settimane. Tale fenomeno rappresenta un ulteriore tentativo da parte dell'organismo di compensare gli effetti negativi dell'ipossia. Infatti, la ridotta pressione parziale d'ossigeno nel sangue arterioso provoca un'aumentata secrezione dell'ormone eritropoietina che stimola il midollo osseo ad incrementare il numero di globuli rossi, così da permettere all'emoglobina in essi contenuta, di trasportare una maggiore quantità di O2 ai tessuti. Inoltre insieme ai globuli rossi aumentano anche la concentrazione di emoglobina [Hb] ed il valore dell'ematocrito (Hct), cioè del volume percentuale di cellule del sangue in rapporto alla sua parte liquida (plasma). L'aumento della concentrazioni di emoglobina [Hb], si oppone alla riduzione della PO2 e, in occasione di lunghe permanenze a quote elevate, può aumentare del 30-40%.

Anche la saturazione di O2 dell'emoglobina subisce modificazioni con l'altitudine pssando da una saturazione del 95% circa a livello del mare all'85% tra i 5000 e i 5500 m di altitudine. Questa situazione crea seri problemi nel trasporto di ossigeno ai tessuti, in particolare durante il lavoro muscolare.
Sotto lo stimolo dell'ipossia acuta la frequenza cardiaca aumenta, per compensare con un maggior numero di battiti al minuto, la minore disponibilità di ossigeno, mentre cala la gittata sistolica (diminuisce cioè la quantità di sangue che il cuore pompa ad ogni battito). Nell'ipossia cronica la frequenza cardiaca ritorna ai valori normali.

La massima frequenza cardiaca da sforzo subisce per effetto dell'ipossia acuta una riduzione limitata e scarsamente influenzata dalla quota. Nel soggetto acclimatato invece la massima frequenza cardiaca da sforzo risulta molto ridotta in misura proporzionale alla quota raggiunta.


Es.: MAX F.C. da sforzo a livello del mare : 180 pulsazioni al minuto
MAX F.C. da sforzo a 5000 m : 130-160 pulsazioni al minuto


La pressione arteriosa sistemica presenta transitorio aumento in ipossia acuta, mentre nel soggetto acclimatato i valori sono simili a quelli registrati a livello del mare.
L'ipossia sembra esercitare un'azione diretta sulla muscolatura delle arterie polmonari, provocando vasocostrizione e determinando un aumento significativo della pressione arteriosa nel distretto polmonare.
Le conseguenze dell'altitudine sul metabolismo e sulle capacità di prestazione non si possono schematizzare facilmente, esistono infatti parecchie variabili da considerare, legate alle caratteristiche individuali (es. età, condizioni di salute, tempo di permanenza, condizioni di allenamento e abitudine alla quota, tipo di attività sportiva) ed ambientali (es. altitudine della regione in cui si effettua la prestazione, condizioni climatiche).
EPOChi va in montagna deve considerare insieme ai problemi legati all'altitudine, le possibili variazioni meteorologiche (e di temperatura in particolare), responsabili dell'accentuazione dei disturbi provocati dall'ipossia. L'ipossia causa diverse anomalie funzionali sul tessuto nervoso, tra queste le alterazioni psichiche e comportamentali sono piuttosto frequenti tra coloro che svolgono attività fisica in montagna, anche a quote modeste. Tali disturbi possono essere caratterizzati tanto da euforia quanto da depressione del tono dell'umore associata ad apatia e astenia. Tali variazioni dell'umore iniziano a manifestarsi, secondo Zchislaw Ryn, già a quote relativamente basse (1500-2500 metri s.l.m.), fin dai primi giorni di permanenza in montagna, persistono alcune ore o alcuni giorni, e scompaiono spontaneamente. Lo stesso Ryn ritiene che in alcuni casi tali disturbi possano essere permanenti.
Per quanto riguarda gli effetti sul metabolismo energetico, si può affermare che l'ipossia provoca, una limitazione tanto a livello dei processi aerobici che di quelli anaerobici. E' noto infatti che, tanto in ipossia acuta che cronica, la massima potenza aerobica (VO2max) diminuisce proporzionalmente con l'aumentare della quota. Tuttavia fino a circa 2500 m di altitudine, la prestazione atletica in alcune prestazioni sportive, come la corsa dei 100 m e dei 200 m, o gare di lancio o di salti (in cui i processi aerobici non sono interessati) migliora leggermente. Tale fenomeno è collegato alla riduzione densità dell'aria che permette un leggero risparmio energetico.
La capacità lattacida dopo uno sforzo massimale in ipossia acuta, non si modifica rispetto al livello del mare. Dopo acclimatazione invece subisce un'evidente riduzione, verosimilmente a causa della diminuzione del potere tampone dell'organismo in ipossia cronica. In queste condizioni infatti l'accumulo di acido lattico causato da un esercizio fisico massimale, porterebbe ad una eccessiva acidificazione dell'organismo, che non potrebbe essere tamponata dalla riserva alcalina ridotta per effetto dell'acclimatazione.
Generalmente escursioni fino a 2000 m di quota non richiedono, per soggetti in buone condizioni di salute e di allenamento, particolari precauzioni. Nel caso di escursioni particolarmente impegnative, conviene raggiungere la quota il giorno prima, in maniera da permettere all'organismo di avere un minimo adattamento alla quota (che può causare tachicardia e tachipnea moderate), così da consentire l'attività fisica senza eccessivo affaticamento.
Quando si intende raggiungere altitudini tra i 2000 e i 2700 m, le precauzioni da seguire non si discostano molto dalle precedenti, è consigliabile solo un periodo di adattamento alla quota un po' più lungo (2 giorni) prima di iniziare un'escursione, o in alternativa raggiungere la località gradualmente, possibilmente con le proprie risorse fisiche, facendo iniziare l'escursione da una quota che si avvicini a quelle in cui si soggiorna abitualmente.
Se si compiono escursioni impegnative di più giorni ad altitudini che vanno dai 2700 ai 3200 m s.l.m., le ascensioni devono essere frazionate in più giorni, programmando una salita alla massima quota seguita da rientro a quote più basse.
Il ritmo di marcia durante le escursioni deve essere costante e di bassa intensità per evitare fenomeni di insorgenza precoce della fatica dovuta all'accumulo di acido lattico.
Bisogna inoltre avere sempre ben presente che già ad altezze superiori ai 2300 m, sostenere allenamenti alla stessa intensità di quelli a livello del mare è praticamente impossibile, e con l'aumentare della quota si riduce proporzionalmente l'intensità degli esercizi. A quote intorno ai 4000 m, per esempio, i fondisti possono sopportare carichi allenanti intorno al 40 % del VO2 max rispetto a quelli a livello del mare che sono intorno al 78% del VO2 max. Oltre i 3200 m le escursioni impegnative di diversi giorni, consigliano di soggiornare a quote inferiori ai 3000 m per un periodo di tempo variabile da qualche giorno a 1 settimana, tempo per l'acclimatazione utile ad evitare o per lo meno ridurre i problemi fisici prodotti dall'ipossia.
E' necessario prepararsi all'escursione con un allenamento adeguato all'intensità ed alle difficoltà dell'escursione, per non rischiare di mettere a repentaglio la propria incolumità e quella di chi ci accompagna, oltre che quella di eventuali soccorritori.
La montagna è un ambiente straordinario di cui è possibile vivere molteplici aspetti, abbandonandosi ad esperienze uniche e personali, come la soddisfazione intima di avere con i propri mezzi attraversato e raggiunto luoghi magici, godendo di ambienti naturali splendidi, lontano dal caos e dall'inquinamento delle città.
Alla fine di un'escursione impegnativa, le sensazioni di benessere e di serenità che ci accompagnano ci fanno dimenticare le fatiche, i disagi e i pericoli che a volte abbiamo affrontato.
Bisogna sempre avere presente, che i rischi in montagna possono essere moltiplicati dalle caratteristiche particolari ed estreme dell'ambiente stesso (quota, clima, caratteristiche geomorfologiche), per cui semplici passeggiate nei boschi o escursioni impegnative devono sempre essere programmate in maniera conseguente e proporzionata alle condizioni fisiche e alla preparazione tecnica di ogni partecipante, organizzandosi in modo responsabile e lasciando da parte inutili competizioni.
Nel complesso, gli studi indicano quindi che, dopo l'acclimatazione, si verifica un significativo aumento dell'emoglobina (Hb) e dell'ematocrito (Hct), i due parametri più semplici e più studiati. Scendendo nei dettagli, tuttavia, ci si accorge che i risultati sono tutt'altro che univoci, sia a causa dei differenti protocolli utilizzati, sia per la presenza di fattori "confondenti". É noto, ad esempio, che l'acclimatazione all'ipossia provoca una riduzione del volume plasmatico (VP) e conseguentemente un incremento relativo dei valori di Hct. Questo processo potrebbe essere dovuto ad una perdita di proteine dal plasma, ad un incremento della permeabilità capillare, alla disidratazione o ad un aumento della diuresidiuresi. Inoltre, durante esercizio fisico, avviene una ridistribuzione del VP che passa dal letto vascolare all'interstizio muscolare, a causa di un aumento della pressione osmotica tissutale e di una maggiore pressione idrostatica capillare. Questi due meccanismi suggeriscono che, in atleti già acclimatati all'alta quota, il volume plasmatico possa ridursi in maniera significativa durante esercizi strenui condotti in ipossia.
Lo stimolo ipossico (naturale o artificiale) di durata adeguata produce, quindi, un reale incremento della massa eritrocitaria, seppure con una certa variabilità individuale. Ai fini del miglioramento della performance, tuttavia, è probabile che intervengano altri adattamenti periferici, come una maggiore capacità da parte del tessuto muscolare di estrarre ed utilizzare ossigeno. Questa affermazione è vera sia in soggetti sedentari che in atleti, purché questi ultimi riescano ad allenarsi con carichi di lavoro di intensità adeguata per rimanere competitivi.
Concludendo, si può affermare che l'esposizione a condizioni climatiche diverse da quelle abituali rappresenta un evento stressante per l'organismo; l'alta quota costituisce una sfida non solo per l'alpinista ma anche per il fisiologo ed il medico.







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