Ipertrofia prostatica benigna
L’ipertrofia
prostatica benigna, nota anche come prostata ingrossata, IPB o più
correttamente come iperplasia prostatica benigna, è un ingrandimento
volumetrico della prostata. Si parla più correttamente di iperplasia perché questo
ingrossamento della ghiandola è dovuto ad un aumento del numero di cellule che la
costituiscono. Aldilà delle sottigliezze, l'aspetto più importante da
sottolineare è che l'ingrossamento della prostata è causato da una
proliferazione fisiologica del tutto benigna. A differenza di un tumore, infatti,
l'IPB comprime i tessuti circostanti senza infiltrarli ed origina
principalmente dalla porzione centrale della ghiandola. Nelle persone che
soffrono di iperplasia prostatica benigna, la prostata può arrivare a superare
anche di due o tre volte le sue normali dimensioni. Dopo diversi anni e in
assenza di trattamento, questa ghiandola può addirittura raggiungere le
dimensioni di un pompelmo. Come mostrato in figura, vi ricordo che la prostata
è posta come un manicotto intorno all’uretra, che è il canale che trasporta
l’urina dalla vescica all’esterno. Non sorprende dunque come l'aumento di
volume della prostata finisca col comprimere l’uretra. Tale compressione può creare
problemi nel passaggio dell’urina, provocando così diversi sintomi fastidiosi a
carico delle vie urinarie.
L’iperplasia
prostatica benigna è un’alterazione molto frequente, soprattutto negli uomini più
anziani. Infatti, stiamo parlando di una tipica malattia età-dipendente; in
particolare, l'iperplasia prostatica benigna inizia a svilupparsi dopo i 40
anni e si manifesta prevalentemente dopo i 50. L’incidenza aumenta
proporzionalmente con l’avanzare dell’età, raggiungendo i massimi livelli nell’ottava
decade di vita. Si stima infatti che tra i 70 e gli 80 anni l'iperplasia prostatica
benigna colpisca fino all’80% della popolazione maschile.
Stabilito
che l’iperplasia prostatica benigna accompagna il normale processo di
invecchiamento, passiamo ora all'analisi delle cause e dei fattori
predisponenti. Purtroppo, non si conoscono ancora con esattezza le cause dell’ipertrofia
prostatica benigna. Tuttavia, è ormai assodato che sono implicate delle modifiche
nell’equilibrio ormonale, tipiche dell’invecchiamento. Con l’avanzare dell’età,
infatti, la ghiandola tende spontaneamente a modificare la propria consistenza
e volume in risposta a variazioni ormonali e all’azione di numerosi fattori di
crescita. Ad esempio, il rilascio di piccole quantità di estrogeni e l’incremento
del diidrotestosterone, che è un metabolita del testosterone, sembrano favorire
la comparsa dell'IPB.
Per
quanto riguarda la sintomatologia associata, l’aumento di volume della prostata
è lentamente progressivo. L’insorgenza dei sintomi è, quindi, generalmente
graduale e, di norma, abbiamo visto che avviene dopo i 40 anni. Tuttavia, l’ipertrofia
prostatica benigna non sempre evolve con la medesima modalità e velocità. Occorre
inoltre aggiungere che l’aumento di volume della prostata non necessariamente
determina disturbi rilevanti e in molti casi non si avvertono sintomi. Quando
presenti, l’ipertrofia prostatica benigna può portare a sintomi di tipo irritativo
ed ostruttivo. Esempi di sintomi irritativi associati all’ipertrofia prostatica
benigna sono il bisogno urgente di urinare e l’aumento della frequenza delle
minzioni diurne e notturne, che in termini medici sono definiti rispettivamente
pollachiuria e nicturia. Accanto alle difficoltà nell’iniziare a urinare, gli
altri sintomi quasi sempre presenti sono: minzione intermittente, diminuzione
della forza del getto urinario, minzione lenta e dolorosa (che i medici
chiamano stranguria), sensazione di incompleto
svuotamento vescicale e sgocciolamento dopo aver terminato di urinare. La
crescita della prostata, che restringe sempre più l’uretra, può creare problemi
al corretto deflusso urinario. Di conseguenza il soggetto deve aumentare la
pressione necessaria per svuotare la vescica. A causa di questo superlavoro, la
parete vescicale tende pian piano ad
indebolirsi e nel tempo è possibile addirittura arrivare alla ritenzione
urinaria acuta, ovvero all’impossibilità di svuotare la vescica. Ovviamente, si
tratta di un’urgenza urologica, che richiede il posizionamento di un catetere
vescicale. Un’ostruzione prolungata dell’uretra può addirittura compromettere
la funzione renale. Altra complicanza da considerare è lo svuotamento
incompleto della vescica, che determina il ristagno di un residuo urinario in
cui possono proliferare i batteri e sedimentare eventuali aggregati
cristallini. Per questo motivo, l'iperplasia prostatica benigna espone ad un
maggior rischio di infezioni urinarie e calcoli renali.
In
presenza di sintomi suggestivi di una IPB, la prima cosa da fare è rivolgersi
al proprio medico. Tramite una visita urologica è infatti possibile accertare
la reale presenza di un’ipertrofia prostatica ed escludere altre patologie che
possono manifestarsi con sintomi simili, come una prostatite od un tumore. Per
quanto riguarda la diagnosi, vi rimando al precedente video sugli esami della
prostata. Possiamo comunque riassumere che per un corretto studio della
malattia sono sicuramente necessari una visita urologica ed alcuni esami
clinici mirati. Tra questi vi ricordo l’esame delle urine, il dosaggio dell’antigene
prostatico specifico (o PSA) nel sangue, e l’esplorazione digito-rettale della
prostata. Il PSA serve a valutare la possibilità che sia presente un tumore
maligno, mentre l’esplorazione rettale fornisce informazioni su volume e
consistenza della ghiandola. L’esame delle urine, invece, consente di
verificare la funzionalità renale o la presenza di infezioni. Per determinare
la natura e l’entità dell’anomalia alla prostata, il paziente può essere
sottoposto ad esami più approfonditi, come l’uroflussometria e l’ecografia
prostatica trans-rettale, seguita da biopsia. L’uroflussometria misura la
velocità del flusso urinario e il volume di urina emessa durante la minzione,
quindi fornisce un’idea, seppur grossolana, dell'eventuale danno alla vescica. La
biopsia prostatica consente invece di confermare od escludere la presenza di un
tumore maligno.
Quando
l’iperplasia prostatica benigna non provoca disturbi al paziente, può essere semplicemente
monitorata nel tempo. Al contrario, in presenza di complicanze si rende obbligatorio
il trattamento farmacologico o chirurgico. Per quanto riguarda i farmaci,
esistono due categorie terapeutiche principali,
che sono gli alfa-bloccanti e gli inibitori della 5-alfa-reduttasi. Gli alfa-bloccanti,
come alfuzosina, doxazosina, tamsulosina e terazosina, riducono il tono
muscolare a livello della prostata e del collo vescicale. In sostanza rilassano la prostata facilitando il passaggio
dell’urina nell’uretra. Gli inibitori della 5-alfa-reduttasi, come la finasteride
e la dutasteride, agiscono invece in modo differente. Questi farmaci inibiscono
la crescita volumetrica della prostata, sopprimendo la stimolazione degli
androgeni. In pratica, agiscono bloccando la trasformazione del testosterone
nella sua forma attiva, il diidrotestosterone (DHT), che partecipa all’ingrossamento
della prostata. In modo analogo, seppur con efficacia modesta, agiscono anche
alcuni fitoterapici, come gli estratti di Serenoa repens (nota anche come palmetto
seghettato o Saw palmetto) e gli estratti di semi di zucca e di pigeo africano.
I
problemi maggiori del ricorso ai farmaci per la cura dell'ipertrofia prostatica
benigna sono legati ai possibili effetti collaterali. Tra questi vi sono deficit
erettivi, eiaculazione retrograda e ginecomastia per gli inibitori della
5-alfa-reduttasi, mentre ipotensione, emicrania, vertigini, cefalea e astenia sono comuni
tra gli utilizzatori di alfa bloccanti. Un altro problema comune è che l'efficacia di questi
farmaci tende a diminuire con l'uso a lungo termine. Quando la terapia
farmacologica risulta inefficace, si ricorre alla chirurgia. La
scelta del tipo di procedura a cui sottoporre il paziente affetto da IPB
sintomatica si basa essenzialmente sulle dimensioni dell’adenoma prostatico da
rimuovere. La
tecnica più utilizzata è la resezione endoscopica transuretrale o TURP. Come
dice il nome, si tratta di una riduzione della prostata eseguita mediante
endoscopia, cioè senza incisioni. In pratica, uno speciale strumento viene
introdotto nel canale urinario attraverso il pene per tagliare “a fette” l’adenoma
prostatico. In questo modo è possibile rimuovere la parte interna della
prostata aumentata di volume. Tecniche alternative - meno invasive ma spesso di
efficacia ancora da confermare - si prefiggono di
distruggere parte del tessuto ghiandolare senza danneggiare quello che rimarrà
in sito. A tale scopo, a seconda della metodica utilizzata, si concentrano raggi laser, onde
radio, microonde o sostanze chimiche direttamente all'interno della prostata. L'idoneità
o meno di queste tecniche alternative è influenzata soprattutto dall'entità
dell'ipertrofia prostatica; in genere, tanto maggiore è il grado di iperplasia
e tanto più invasivo sarà l'intervento. Ad esempio, nel caso le dimensioni
della prostata risultino eccessive è necessario procedere con un intervento a
cielo aperto, chiamato adenonectomia. Questo intervento prevede l’asportazione
dell’intero adenoma prostatico mediante un’incisione cutanea, trans-vescicale o
retropubica. La rimozione chirurgica parziale o totale della prostata può
comportare per i pazienti alcune complicazioni. Tra queste, quella che in genere preoccupa di più i
pazienti è il rischio di disfunzione erettile. Tuttavia, secondo recenti studi tale
rischio è da considerarsi nullo o addirittura inferiore rispetto ai pazienti
che scelgono di non operarsi. Un effetto avverso sessuale molto frequente dopo
chirurgia è invece l’eiaculazione retrograda; in pratica, durante
l’eiaculazione il liquido seminale, anziché fuoriuscire dall’uretra, refluisce
in vescica determinando infertilità.