Esami della prostata
Prima
di iniziare il nostro percorso, è importante
sottolineare che la diagnosi precoce è un’arma formidabile per ridurre al
minimo i rischi di problemi seri alla prostata. Ciò vale sia per i tumori e
l'iperplasia prostatica benigna, sia per le relative conseguenze sulla vita
sessuale e sulla fertilità maschile. A tal proposito, vi ricordo che il tumore
della prostata è attualmente il tumore più diffuso tra gli uomini. In
particolare, sono gli uomini che hanno superato i 50 anni di età a correre i
maggiori rischi, non solo per il carcinoma della prostata, ma anche per quanto
riguarda l’ipertrofia prostatica. Per questo motivo, dopo i 50 anni,
l'esecuzione di specifici esami per indagare la salute della prostata è
fortemente raccomandata, anche in assenza di sintomi. Inoltre, in presenza di
un qualsiasi problema alla prostata o alla sfera genito-urinaria, in genere, la
buona abitudine di rivolgersi all'urologo - che è lo specialista di riferimento
per le vie urinarie e l’apparato genitale maschile - dovrebbe essere diffusa
anche nei giovani adulti. Fatta questa doverosa premessa, andiamo a vedere nel
dettaglio quali sono gli esami utili per valutare le condizioni di salute della
prostata.
Per
una corretta e precoce diagnosi delle patologie prostatiche, l’urologo può
avvalersi di diversi esami. Tra questi, i più noti e a volte temuti sono il
dosaggio del PSA, l’esplorazione digito-rettale
della prostata, l’ecografia prostatica trans-rettale ed eventualmente la
biopsia della prostata. Grazie a questi esami è spesso possibile diagnosticare le
patologie della prostata in una fase precoce, non ancora complicata e per
questo facilmente trattabile. Basti
pensare all’importanza che assume la diagnosi precoce nel caso di un tumore
della prostata; in simili circostanze, identificare la malattia quando è ancora
agli stadi iniziali assicura quasi sempre una guarigione completa. Proprio per
questo motivo, l'esplorazione rettale e il dosaggio del PSA rappresentano test
di screening oncologico. A tal proposito, apro una piccola parentesi. Vi
ricordo che lo screening è una strategia che prevede l’esecuzione di esami
medici a tappeto su una specifica popolazione considerata a rischio, allo scopo
di identificare una particolare malattia nelle sue fasi più precoci. Ad
esempio, per quanto riguarda la popolazione femminile, il Pap test è un metodo
di screening impiegato per identificare il carcinoma del collo dell'utero,
mentre la mammografia è indicata per diagnosticare il tumore della mammella. Nello
specifico, l'esecuzione del Pap test è consigliata ogni tre anni a partire dai
25 anni di età, mentre la mammografia è consigliata a tutte le donne che hanno
compiuto i 50 anni di età ogni 2 anni. Un esame di screening comune sia agli
uomini che alle donne è quello per il cancro al colon; nello specifico, a
partire dai 50 anni di età si suggerisce normalmente la ricerca del sangue occulto
nelle feci una volta l'anno, che può essere sostituita da una sigmoidoscopia
una volta ogni 5 anni oppure da una colonscopia ogni 10 anni. Per quanto
riguarda il tumore alla prostata, la validità dello screening è ancora oggetto
di dibattito. Accanto agli indiscutibili benefici della diagnosi precoce vanno
infatti considerati i rischi di sovra-trattamento, quindi il rischio di
trattare anche tumori prostatici che non richiederebbero trattamento, poiché caratterizzati
da una progressione talmente lenta da non influire sulla sopravvivenza del
paziente. Simili trattamenti si rivelano non solo inutili, ma addirittura
controproducenti, in quanto aumentano i costi di sanità pubblica e sono fonte
di ansie, preoccupazioni e possibili complicanze post-intervento per il
paziente.
Ad
ogni modo, l'esplorazione digitale rettale della prostata e il dosaggio del PSA
fanno spesso parte della visita urologica di routine e dovrebbero essere comunque
sempre effettuati in alcune categorie di
pazienti “a rischio” per familiarità, sintomatologia urinaria ed etnia. Per
concludere, ci tengo a precisare che screening non è sinonimo di diagnosi; gli
esami di screening, infatti, hanno lo scopo di individuare in una popolazione
considerata a rischio gli individui in cui tale rischio è più consistente. In
altre parole, risultare positivi ad un esame di screening indica semplicemente
che è opportuno sottoporsi ad ulteriori indagini mediche. Saranno poi questi
ulteriori esami a confermare o a smentire la presenza della malattia.
L'esame
più semplice, ma anche più discusso per indagare la salute della prostata è il
dosaggio nel sangue del cosiddetto antigene prostatico specifico, o più
semplicemente PSA. Un semplice prelievo di sangue permette di misurare i suoi
livelli plasmatici. Vi ricordo che il PSA è un enzima prodotto dalle cellule
della prostata con lo scopo di mantenere fluido il liquido seminale. Anche in
condizioni di normalità, nel sangue è riscontrabile una piccola quantità di PSA.
Tuttavia, quando tali valori superano la soglia dei 4 nanogrammi per ml di
sangue rappresentano un campanello di allarme per un possibile malfunzionamento
della prostata. In particolare, livelli elevati di PSA o livelli crescenti nel
tempo potrebbero indicare numerose condizioni, tra cui una prostatite (che è l'infiammazione
della prostata), un’ipertrofia prostatica benigna o un tumore della prostata.
Questo perché le cellule ghiandolari malate, infiammate o tumorali producono
più PSA rispetto alle cellule normali. Attualmente, il PSA è usato come “marcatore”
per il carcinoma prostatico, ma è importante sottolineare che il test non è
sufficientemente accurato per escludere o confermare la presenza di una
neoplasia. Basti pensare che una eiaculazione entro 48 ore dalla prova può dare
origine a risultati falsamente positivi; in altre parole genera aumenti del PSA
non dipendenti da un disturbo reale a carico della prostata. Per questo motivo,
il test del PSA deve essere sempre interpretato nel contesto del quadro clinico
del paziente e deve essere associato e completato dall’esplorazione rettale. Vediamo
ora in cosa consiste quest'ultimo esame.
L’esplorazione
rettale è la procedura diagnostica più semplice, immediata e forse temuta per
controllare lo stato della prostata. Rappresenta, infatti, un accertamento
indispensabile per lo studio di qualsiasi patologia prostatica. L’esplorazione
rettale consente di identificare, al tatto, eventuali alterazioni della
ghiandola. Durante la visita urologica, il medico - protetto da un guanto in
lattice lubrificato - introduce delicatamente un dito nel retto del paziente. In
questo modo può palpare la superficie posteriore della ghiandola prostatica e i
tessuti circostanti per valutarne l’aumento di volume, la consistenza e l’eventuale
presenza di noduli sospetti. Al tatto, il tessuto sano della prostata è morbido
e regolare. Per fare un paragone, ha quasi la consistenza del tessuto dove il
pollice si unisce al palmo della mano. Viceversa, il tessuto tumorale si
presenta solido, duro e irregolare alla palpazione. Purtroppo, l’esplorazione
rettale non riesce sempre a dimostrare la presenza di un tumore della prostata;
come il PSA non può quindi essere utilizzata per stabilire una diagnosi certa. Pertanto,
se la ricerca del PSA e l’esplorazione rettale fanno emergere il sospetto di
tumore, si procede con indagini mirate per formulare una diagnosi sicura.
La
prima di queste indagini è rappresentata dall’ecografia trans-rettale. Si
tratta di un semplice esame eseguito introducendo un trasduttore ecografico nel
retto del paziente, per ottenere uno studio dettagliato della morfologia
prostatica. L’ecografia trans-rettale è in grado di documentare l’aumento
volumetrico della ghiandola, di definire i suoi margini, di evidenziare i segni
di infiammazione sia acuta che cronica e di localizzare eventuali zone sospette
per la neoplasia prostatica.
L’unico
esame in grado di definire con certezza la diagnosi di tumore è la biopsia della
prostata. Questo esame può essere eseguito per via trans-rettale o per via
trans-perineale, cioè attraverso la regione compresa tra il retto e lo scroto. La
metodica, eseguita in anestesia locale e sotto guida ecografica, prevede l'inserimento
di un ago sottile nella prostata. In questo modo il medico può prelevare un
numero variabile di campioni, indicativamente 10-12, provenienti da diverse
aree della ghiandola e soprattutto da eventuali zone sospette. I campioni così raccolti
vengono poi sottoposti ad esame istologico al microscopio per accertare la
presenza di cellule neoplastiche. In questo modo, la biopsia consente di
confermare la presenza del tumore prostatico e permette di determinare il tipo,
la posizione e lo “stadio” della neoplasia, cioè la sua gravità ed estensione.
Se
durante l'esame del campione prostatico vengono rilevate cellule neoplastiche e
se esiste una significativa probabilità che il tumore si sia diffuso dalla prostata
ad altre parti del corpo, possono essere raccomandati ulteriori accertamenti. Il
medico, in particolare, deve procedere a valutarne l’indice di malignità, cioè stabilire
quanto le cellule tumorali risultano alterate rispetto a quelle del normale tessuto.
Tanto più le cellule cancerose differiscono dalle cellule normali, tanto più il
tumore risulterà aggressivo. Per quantificare questo dato, che risulta
indispensabile per stabilire strategie terapeutiche adeguate, viene utilizzato
il sistema di classificazione di Gleason, dal nome del patologo statunitense
che lo ha definito. Per stabilire l’estensione del tumore, quindi per definire
la stadiazione, possono rendersi necessari altri esami come l’ecografia, la
Tomografia Computerizzata (TC), la Risonanza Magnetica Nucleare e la
scintigrafia ossea. Queste indagini valutano quanto il tumore è diffuso e se
coinvolge linfonodi vicini, tessuti circostanti o altri organi anche distanti
dalla prostata.