Epatite C - Video: Cause Sintomi Diagnosi Cure

Ultima modifica 25.02.2020

Conosciamo più da vicino l’epatite C, considerata una fra le più gravi malattie infettive che interessano il fegato. Durante la lezione cercheremo di capire insieme il motivo di tale affermazione.

Il virus responsabile dell’epatite C (detto anche HCV, dall'inglese Human Hepatitis C virus) viene trasmesso principalmente attraverso il sangue di una persona infetta. Una volta entrato nell’organismo, questo virus attacca il fegato, provocandone l’infiammazione. L’epatite C può manifestarsi sotto forma di epatite acuta, ma nella maggior parte dei pazienti è asintomatica o si manifesta con sintomi lievi e poco specifici, simulando un'influenza passeggera. Nonostante questo aspetto apparentemente rassicurante, in una grande percentuale dei casi, stimata fino all’85%, l'epatite C continua comunque a minare a poco a poco la salute del fegato. Ciò significa che l’infezione può passare inosservata ed il virus può così persistere nel fegato, continuando a danneggiarlo gravemente fino a rendere necessario il trapianto d'organo nei casi più estremi. Non solo. Oltre ad evolvere in una patologia di lunga durata, l’epatite C cronica, dopo molti anni può condurre alla cirrosi epatica e al tumore del fegato.

Il virus dell’epatite C, come abbiamo appena visto, viene trasmesso principalmente attraverso il sangue di una persona infetta. Il contagio per via ematica, quindi, può essere agevolato dalla condivisione di siringhe per l’inoculo di droghe per via endovenosa, ma anche dall’utilizzo di strumentazioni mediche o estetiche non adeguatamente sterilizzate. Le trasfusioni di sangue hanno rappresentato fino agli anni ‘90 il fattore di rischio prevalente per la diffusione dell’agente patogeno. Tuttavia, dopo l’introduzione dello screening obbligatorio del sangue, il tasso di incidenza dell'epatite C associata alle trasfusioni si è quasi azzerato. Poco frequente, ma comunque possibile, è la trasmissione dell’infezione attraverso i rapporti sessuali non protetti. Più a rischio sono, invece, i rapporti tra uomini omosessuali, specie se sieropositivi. Come per molte altre malattie a trasmissione sessuale, infatti, il rischio di contagio aumenta se c'è esposizione al sangue, come nei rapporti sessuali energici, nei rapporti anali, nel fisting o nel sesso durante il ciclo mestruale. Infine, l'epatite C può essere trasmessa per via verticale, cioè da madre infetta al figlio durante la gravidanza o il parto.

L’epatite C ha un periodo di incubazione medio abbastanza lungo; mediamente è di 5-10 settimane, con un intervallo variabile da 2 settimane a 6 mesi. Come ricordato nella precedente diapositiva, la maggior parte delle persone affette da epatite C non riscontra alcun sintomo o presenta manifestazioni vaghe e aspecifiche, quindi facilmente confondibili con quelle di altre patologie. In effetti, molte persone non si accorgono di aver contratto l'epatite C, almeno fino a quando, dopo anni o addirittura decenni dall’infezione, emergono importanti danni al fegato. Ricordiamo, infatti, che il rischio maggiore connesso all’epatite C è proprio la cronicizzazione della malattia. In altri individui, durante le prime fasi dell'epatite, si manifestano malessere generalizzato, debolezza, febbre, vaghi disturbi addominali, nausea, inappetenza, dolori muscolari e, talvolta, articolari. In alcuni casi compare l’ittero, che ricordiamo essere la colorazione giallastra della cute e delle sclere oculari. Nella fase acuta, un decorso fulminante e fatale si osserva molto raramente.

Secondo le statistiche mediche, il 20-30% circa delle persone con epatite C in forma acuta guarisce completamente. Abbiamo tuttavia più volte evidenziato come la complicanza più frequente e temibile sia rappresentata dalla cronicizzazione dell’infezione. Nelle fasi iniziali, anche per molti anni, l’epatite C cronica è spesso associata a sintomi aspecifici, tra cui spiccano uno stato di fatica e malessere persistente. Dopo molti anni, indicativamente 15-30 dall’infezione, l’epatite cronica può progredire verso la cirrosi epatica. La cirrosi è il risultato della continua riparazione dei danni al tessuto epatico provocati dal virus; tale processo sfocia in una fibrosi, cioè nella formazione di tessuto cicatriziale, non funzionale, al posto di quello sano. L'estensione progressiva della fibrosi conduce ad un’insufficienza epatica, in pratica il fegato non è più in grado di svolgere le funzioni richieste dall'organismo. Oltre a causare moltissime complicazioni, la cirrosi epatica può agevolare lo sviluppo della complicanza più grave e temibile dell'epatite C. Mi riferisco al carcinoma epatico.
La diagnosi dell’epatite C si basa sulla ricerca dell’RNA virale e degli anticorpi diretti contro gli antigeni del virus. Quindi, è sufficiente il prelievo di un campione di sangue, da sottoporre a vari esami sierologici e molecolari. La reazione polimerasica a catena (detta PCR), in particolare, consente la quantificazione dell’RNA virale circolante, che è un indice di infezione attiva. Inoltre, permette l’identificazione del genotipo virale responsabile. In alcune occasioni, dalle analisi del sangue effettuate per ricercare un possibile problema al fegato, emergono delle alterazioni persistenti di alcuni enzimi epatici, come le transaminasi alte. In questo caso, è buona norma proseguire gli accertamenti per escludere o confermare l’infezione da virus dell’epatite C. Inoltre, nel caso il medico sospetti una grave compromissione della funzionalità del fegato, potrebbe suggerire l'esecuzione di una biopsia epatica per accertare con maggior precisione l’entità del danno provocato dal virus.

Come abbiamo visto, in rari casi, l’infezione può risolversi senza bisogno di alcuna terapia. Quando invece l'epatite C cronicizza, come accade nella maggior parte dei casi, il trattamento, prevede la combinazione di due farmaci antivirali, chiamati interferone alfa pegilato e ribavirina. Questo protocollo terapeutico consente di inibire la replicazione del virus e di limitare il danno epatico. Chiaramente il protocollo verrà personalizzato dal medico ed eventualmente modificato per adattarsi al singolo caso. L’efficacia della terapia con interferone alfa e ribavirina è condizionata sia dalle caratteristiche del virus, che da quelle dell’ospite. Nel complesso, tali farmaci sono in grado di contrastare efficacemente l’epatite C in circa il 50-80% dei pazienti trattati, soprattutto se la terapia è iniziata precocemente. Coloro che purtroppo sviluppano cirrosi o carcinoma epatico, invece, possono necessitare di un trapianto di fegato. Indipendentemente dal protocollo terapeutico adottato dal medico, viene sempre fortemente consigliata l'astensione dal consumo di alcool e l'adozione di una dieta sobria priva di eccessi. Inoltre, sempre sotto consiglio medico, va posta particolare attenzione all'utilizzo di farmaci potenzialmente tossici per il fegato, come il paracetamolo.

Ad oggi, sebbene siano in corso diverse sperimentazioni, non è ancora disponibile un vaccino che protegga contro il virus dell’epatite C. La mancanza di un vaccino è dovuta soprattutto alla variabilità delle proteine superficiali del virus, contro le quali non si riesce ad ottenere una protezione anticorpale efficace. L’unico modo per prevenire l’infezione consiste nel rispettare le norme igieniche generali e nell’evitare, per quanto possibile, i fattori di rischio. La prevenzione consiste, pertanto, nell’uso di siringhe monouso e nell’evitare lo scambio di oggetti igienici personali, quali spazzolino da denti, forbicine e rasoi. Inoltre, chi decide di farsi fare un piercing o un tatuaggio, dovrebbe accertarsi che gli strumenti usati siano sterilizzati. Infine, come abbiamo visto, in determinate circostanze, l’epatite C può essere trasmessa anche attraverso contatti sessuali, suscettibili di provocare lesioni. È pertanto fondamentale rispettare la prima regola del sesso sicuro, cioè usare correttamente il preservativo durante i rapporti sessuali, soprattutto quando sono occasionali.