Epatite A - Video: Cause Sintomi Diagnosi Cure

Ultima modifica 01.04.2020

In questa video-lezione parleremo di una malattia infettiva che colpisce il fegato, sulla quale si sono recentemente accesi i riflettori dopo diversi casi di contagio legati al consumo di frutti di bosco surgelati. Mi riferisco all’epatite A, che rispetto ad altre forme di epatite virale è meno pericolosa, poiché non cronicizza ed è benigna nella maggior parte dei casi.

L’epatite A è una malattia infettiva causata dall’omonimo virus, che aggredisce le cellule del fegato danneggiandole. Questa infezione epatica si contrae per via fecale-orale, prevalentemente attraverso il contatto con altre persone infette o l’ingestione di acqua e cibo contaminati. Dopo circa 15–50 giorni dal momento del contagio, l’epatite A si manifesta con febbre, malessere, ittero (quindi con una colorazione giallastra della cute), inappetenza e nausea. Come anticipato, questa forma di epatite ha generalmente un’evoluzione benigna e, di norma, guarisce spontaneamente senza che il fegato subisca danni permanenti. A differenza dell’epatite B e C, non diventa mai cronica; inoltre, chi guarisce dall’epatite A sviluppa un’immunità permanente che lo protegge da successive infezioni.

Il virus dell’epatite A (noto con l'acronimo HAV, da Human Hepatitis A Virus) prolifera nell'intestino e nel fegato, e viene espulso attraverso la bile e le feci. Il virus è dunque presente negli escrementi delle persone infette già dopo qualche giorno dal contagio e continua ad essere eliminato fino ad una settimana dopo la guarigione. Il picco di contagiosità si registra circa 7-10 giorni prima dell’esordio dei sintomi, quando l'escrezione fecale del virus è massima. Pertanto, la trasmissione dell'epatite A avviene soprattutto per via oro-fecale, attraverso il contatto con un individuo infetto, ad esempio, portando le mani alla bocca dopo avergli stretto la mano od usando le posate da egli manipolate senza che si sia lavato le mani dopo essersi recato alla toilette. Assai comune è anche la trasmissione dell'epatite A attraverso il consumo di acqua o cibi contaminati. Dalle feci e dai liquidi fognari, infatti, il virus può contaminare le falde acquifere e attraverso di esse raggiungere svariate tipologie di alimenti, quali i prodotti della pesca (quindi pesci, molluschi e crostacei), la verdura, la frutta e tutti i prodotti derivati. Scarse condizioni di igiene personale, assieme al mancato rispetto delle norme igieniche di base durante la manipolazione degli alimenti, possono quindi favorire il contagio. L’epatite A può essere trasmessa anche attraverso pratiche sessuali di natura oro-anale. Inoltre, seppur piuttosto raro, è possibile il contagio per via ematica, che avviene, ad esempio, nel caso di trasfusioni o attraverso lo scambio di siringhe usate per l'auto-somministrazione di droghe.

I sintomi dell'epatite A non si presentano immediatamente, ma fanno il loro esordio dopo un periodo di incubazione abbastanza lungo, che varia dai 15 ai 50 giorni. Durante questo periodo di tempo, la patologia è comunque contagiosa. In particolare, l'escrezione dei virus durante il periodo di incubazione favorisce chiaramente la trasmissione della malattia, poiché in questa fase l'individuo è ancora asintomatico, quindi ignaro della propria condizione.
Solo dopo alcune settimane dal contagio, l’epatite A si manifesta con i primi sintomi. In una prima fase compare una sintomatologia che può trarre in inganno, facendo pensare ad una malattia di tipo influenzale; compaiono infatti stanchezza, nausea, vomito e inappetenza, mal di testa, febbre e dolori muscolari e addominali. Successivamente compaiono sintomi e segni suggestivi di un danno epatico, come l’ittero, che consiste nella colorazione giallastra della pelle e della parte bianca dell’occhio. Questo ingiallimento è dovuto all’aumentata concentrazione di bilirubina nel sangue. Il fegato danneggiato, infatti, non è in grado di eliminare questa sostanza, che deriva dalla demolizione dei globuli rossi invecchiati o non più funzionanti. Anche le urine possono diventare scure a causa della bilirubina che si accumula in circolo, mentre le feci diventano chiare. La fase sintomatica dura solitamente da 2 a 10 settimane, sebbene in alcuni casi possa proseguire anche fino a sei mesi. Inoltre, in alcuni soggetti, in particolare nei bambini di età inferiore ai sei anni, l’epatite A può anche non determinare sintomi specifici. Come detto più volte, l'epatite A ha generalmente un’evoluzione benigna e, nella maggior parte dei casi si risolve in poche settimane senza lasciare conseguenze. Inoltre, dopo la guarigione dall’infezione, il paziente sviluppa un’immunità permanente che lo proteggerà da nuove infezioni per tutta la vita. Purtroppo, seppur in rari casi, l’epatite A può anche provocare una grave insufficienza epatica, con esito spesso letale. Queste forme, dette epatiti fulminanti, si manifestano più frequentemente nei pazienti anziani, specie se immunocompromessi o già affetti da un’altra malattia del fegato.

L’epatite A viene diagnosticata attraverso una visita medica nella fase sintomatica. All'indagine clinica si associa l’analisi di un campione di sangue e di feci. Tra questi accertamenti, l’esame del sangue consente di identificare da un lato il genoma del virus e dall'altro gli anticorpi diretti contro il virus. In particolare, la presenza del genoma del virus consente di diagnosticare in maniera precoce la patologia, ancor prima che la risposta immunitaria si attivi. Inoltre, distinguendo i tipi di anticorpi è possibile capire se l’infezione è in corso oppure no. In particolare le immunoglobuline specifiche di tipo M indicano un'infezione in corso, mentre quelle di classe G sono spia di un’infezione già superata e dell'immunità del paziente.

Non esiste una terapia specifica per l’epatite A. Fortunatamente, nella maggioranza dei casi, i sintomi sono lievi e la malattia si risolve in modo spontaneo in un paio di mesi, senza lasciare alcun danno permanente al fegato. In generale, il medico consiglia di stare a riposo e di non svolgere attività fisiche troppo intense, perché uno dei principali sintomi dell’epatite A è proprio una maggiore facilità all’affaticamento. Inoltre, poiché nausea e inappetenza possono diventare un problema, risulta utile seguire una dieta bilanciata. In particolare, andrà ridotto il consumo di alimenti troppo grassi a favore di quelli più facilmente digeribili. I cibi andranno preparati con metodi di cottura salutari, come il vapore, evitando i fritti, i barbecue e ogni altro metodo di cottura prolungata ad alta temperatura. Inoltre, per non sollecitare eccessivamente il fegato ed evitare ulteriori danni, è necessario evitare nella maniera più assoluta il consumo di alcol.

L’epatite A si può prevenire con la vaccinazione. È disponibile, infatti, un vaccino a virus inattivato, cioè ucciso, altamente efficace e ben tollerato. In particolare, vengono somministrate, per via intramuscolare nella regione deltoidea 2 dosi di vaccino a distanza di 6-12 mesi l’una dall’altra. La prima dose conferisce protezione dopo 14-21 giorni, mentre la seconda dose prolunga l’efficacia protettiva fino a 10-20 anni. La vaccinazione contro l'epatite A è particolarmente raccomandata per tutte le persone a forte rischio di contrarre la malattia. Tra queste ricordiamo ad esempio i familiari di una persona con epatite A in atto, le persone che si apprestano a compiere un viaggio in una zona a rischio, gli omosessuali, il personale militare e quello medico. Inoltre, la vaccinazione è consigliata a tutte le persone per le quali il contagio potrebbe costituire un serio pericolo. È raccomandato, quindi, ai soggetti affetti da malattie epatiche croniche e a quelli immunocompromessi.

Oltre alla vaccinazione, per prevenire la trasmissione dell’epatite A e delle altre malattie a trasmissione oro-fecale, occorre rispettare alcune misure igieniche di base. È chiaramente molto importante lavarsi le mani, soprattutto dopo aver usato il bagno, prima di preparare i pasti e prima di mangiare. Inoltre, un'altra preziosa indicazione è quella di non bere acqua di pozzo o comunque di incerta provenienza. Bisogna inoltre fare attenzione a non ingerire acqua facendo il bagno in mare o fiumi. Quando ci si reca in paesi in via di sviluppo occorre poi prestare attenzione anche all'acqua utilizzata per lavarsi i denti e al ghiaccio o ai ghiaccioli. Per quanto riguarda gli alimenti, è importantissimo evitare frutti di mare crudi o non cotti a sufficienza, perché possono costituire una fonte di infezione. La cottura generosa e prolungata, infatti, è l’unica misura efficace per inattivare il virus dell’epatite A dai molluschi o da altri prodotti freschi contaminati. Tale virus, infatti, resiste molto bene al congelamento e alla cottura breve. Inoltre, è molto resistente agli acidi, quindi, una volta ingerito, sopravvive al passaggio nello stomaco. Frutta e verdura, prima del consumo, andrebbero sempre lavate accuratamente e, quando possibile, sbucciate. Prima di concludere, apriamo una breve parentesi. Grazie alle migliorate condizioni igieniche, sanitarie e socio-economiche, negli ultimi decenni si è assistito ad un calo dell'incidenza dell'epatite A in Italia. Tale diminuzione è stata però interrotta regolarmente da alcuni picchi epidemici registrati in alcune Regioni dell'Italia meridionale, dov'è diffuso il consumo di frutti di mare crudi o poco cotti. Inoltre, dal gennaio 2013 in Italia è stato rilevato un aumento significativo dei casi di epatite A rispetto agli anni precedenti, soprattutto nel Settentrione. I dati suggeriscono una forte correlazione con il consumo di frutti di bosco surgelati. A tal proposito, il Ministero della Salute consiglia perciò di consumarli sempre dopo la cottura, cioè facendoli bollire a 100°C, per almeno 2 minuti. I frutti di bosco freschi andrebbero invece semplicemente lavati con cura prima del consumo.