Epatite A - Video: Cause Sintomi Diagnosi Cure
In questa video-lezione parleremo di una malattia infettiva
che colpisce il fegato, sulla quale si sono recentemente accesi i riflettori
dopo diversi casi di contagio legati al consumo di frutti di bosco surgelati.
Mi riferisco all’epatite A, che rispetto ad altre forme di epatite virale è
meno pericolosa, poiché non
cronicizza ed è benigna nella maggior parte dei casi.
L’epatite A è una malattia infettiva causata dall’omonimo virus, che aggredisce le cellule
del fegato danneggiandole.
Questa
infezione epatica si contrae per via fecale-orale, prevalentemente attraverso il contatto con
altre persone infette o l’ingestione di acqua e cibo contaminati. Dopo circa 15–50 giorni dal momento del contagio, l’epatite A si manifesta con
febbre, malessere, ittero (quindi con una colorazione giallastra della cute),
inappetenza e nausea.
Come anticipato, questa forma di epatite ha generalmente un’evoluzione
benigna e, di norma, guarisce spontaneamente senza che il fegato subisca danni
permanenti. A differenza dell’epatite B e C, non diventa mai cronica; inoltre,
chi guarisce dall’epatite A sviluppa un’immunità permanente che lo protegge da
successive infezioni.
Il virus dell’epatite A (noto con l'acronimo HAV, da Human Hepatitis A
Virus) prolifera nell'intestino e nel fegato, e viene espulso attraverso la
bile e le feci. Il virus è dunque presente negli escrementi delle persone
infette già dopo qualche giorno dal contagio e continua ad essere eliminato fino
ad una settimana dopo la guarigione. Il picco di contagiosità si registra circa
7-10 giorni prima dell’esordio dei sintomi, quando l'escrezione fecale del
virus è massima.
Pertanto, la trasmissione dell'epatite A avviene soprattutto per via oro-fecale,
attraverso il contatto con un individuo infetto, ad esempio, portando le mani
alla bocca dopo avergli stretto la mano od usando le posate da egli manipolate
senza che si sia lavato le mani dopo essersi recato alla toilette. Assai comune
è anche la trasmissione dell'epatite A attraverso il consumo di acqua o cibi contaminati.
Dalle feci e dai liquidi fognari, infatti, il virus può contaminare le falde
acquifere e attraverso di esse raggiungere svariate tipologie di alimenti, quali i prodotti
della pesca (quindi pesci, molluschi e crostacei), la verdura, la frutta e
tutti i prodotti derivati.
Scarse condizioni di igiene personale, assieme al mancato rispetto delle
norme igieniche di base durante la manipolazione degli alimenti, possono quindi
favorire il contagio. L’epatite A può essere trasmessa anche attraverso
pratiche sessuali di natura oro-anale. Inoltre, seppur piuttosto raro, è
possibile il contagio per via ematica, che avviene, ad esempio, nel caso di
trasfusioni o attraverso lo scambio di siringhe usate per l'auto-somministrazione
di droghe.
I sintomi dell'epatite A non si presentano immediatamente, ma fanno il
loro esordio dopo un periodo di incubazione abbastanza lungo, che varia dai 15
ai 50 giorni. Durante questo periodo di tempo, la patologia è comunque
contagiosa. In particolare, l'escrezione dei virus durante il periodo di
incubazione favorisce chiaramente la trasmissione della malattia, poiché in
questa fase l'individuo è ancora
asintomatico, quindi ignaro della propria condizione.
Solo dopo alcune settimane dal contagio, l’epatite A si manifesta con i
primi sintomi. In una prima fase compare una sintomatologia che può trarre in
inganno, facendo
pensare ad una malattia di tipo influenzale; compaiono infatti stanchezza, nausea, vomito e
inappetenza, mal di testa, febbre e dolori
muscolari e addominali. Successivamente compaiono sintomi e segni suggestivi di
un danno epatico, come l’ittero, che consiste nella colorazione giallastra
della pelle e della parte bianca dell’occhio. Questo ingiallimento è dovuto all’aumentata
concentrazione di bilirubina nel sangue. Il fegato danneggiato, infatti, non è
in grado di eliminare questa sostanza, che deriva dalla demolizione dei globuli
rossi invecchiati o non più funzionanti. Anche le urine possono diventare scure
a causa della bilirubina che si accumula in circolo, mentre le feci diventano
chiare.
La fase sintomatica dura solitamente da 2 a 10 settimane, sebbene in
alcuni casi possa proseguire anche fino a sei mesi. Inoltre, in alcuni
soggetti, in particolare nei bambini di età inferiore ai sei anni, l’epatite A
può anche non determinare sintomi specifici.
Come detto più volte, l'epatite A ha generalmente un’evoluzione benigna e,
nella maggior parte dei casi si risolve in poche settimane senza lasciare
conseguenze. Inoltre, dopo la guarigione dall’infezione, il paziente sviluppa
un’immunità permanente che lo proteggerà da nuove infezioni per tutta la vita.
Purtroppo, seppur in rari casi, l’epatite A può anche provocare una grave
insufficienza epatica, con esito spesso letale. Queste forme, dette epatiti fulminanti,
si manifestano più frequentemente nei pazienti anziani, specie se
immunocompromessi o già affetti da un’altra malattia del fegato.
L’epatite A viene diagnosticata attraverso una visita medica nella fase
sintomatica. All'indagine clinica si associa l’analisi di un campione di sangue e di feci. Tra
questi accertamenti, l’esame del sangue consente di identificare da un lato il
genoma del virus e dall'altro gli anticorpi diretti contro il virus. In
particolare, la presenza del genoma del virus consente di diagnosticare in
maniera precoce la patologia, ancor prima che la risposta immunitaria si
attivi. Inoltre, distinguendo i tipi di anticorpi è possibile capire se l’infezione
è in corso oppure no. In particolare le immunoglobuline specifiche di tipo M
indicano un'infezione in corso, mentre quelle di classe G sono spia di un’infezione
già superata e dell'immunità del paziente.
Non esiste una terapia specifica per l’epatite A. Fortunatamente, nella
maggioranza dei casi, i sintomi sono lievi e la malattia si risolve in modo
spontaneo in un paio di mesi, senza lasciare alcun danno permanente al fegato.
In generale, il medico consiglia di stare a riposo e di non svolgere
attività fisiche troppo intense, perché uno dei principali sintomi dell’epatite
A è proprio una maggiore facilità all’affaticamento. Inoltre, poiché nausea e
inappetenza possono diventare un problema, risulta utile seguire una dieta
bilanciata. In particolare, andrà ridotto il consumo di alimenti troppo grassi
a favore di quelli più facilmente digeribili. I cibi andranno preparati con
metodi di cottura salutari, come il vapore, evitando i fritti, i barbecue e ogni
altro metodo di cottura prolungata ad alta temperatura. Inoltre, per non
sollecitare eccessivamente il fegato ed evitare ulteriori danni, è necessario
evitare nella maniera più assoluta il consumo di alcol.
L’epatite A si può prevenire con la vaccinazione. È disponibile, infatti,
un vaccino a virus inattivato, cioè ucciso, altamente efficace e ben tollerato.
In particolare, vengono somministrate, per via intramuscolare nella regione
deltoidea 2 dosi di vaccino a distanza di 6-12 mesi l’una dall’altra. La prima
dose conferisce protezione dopo 14-21 giorni, mentre la seconda dose prolunga l’efficacia
protettiva fino a 10-20 anni.
La vaccinazione contro l'epatite A è particolarmente raccomandata per tutte
le persone a forte rischio di contrarre la malattia. Tra queste ricordiamo ad
esempio i familiari di una persona con epatite A in atto, le persone che si
apprestano a compiere un viaggio in una zona a rischio, gli omosessuali, il
personale militare e quello medico. Inoltre, la vaccinazione è consigliata a
tutte le persone per le quali il contagio potrebbe costituire un serio pericolo.
È raccomandato, quindi, ai soggetti affetti da malattie epatiche croniche e a
quelli immunocompromessi.
Oltre alla vaccinazione, per prevenire la
trasmissione dell’epatite A e delle altre malattie a trasmissione oro-fecale,
occorre rispettare alcune misure igieniche di base. È chiaramente molto
importante lavarsi le mani, soprattutto dopo aver usato il bagno, prima di
preparare i pasti e prima di mangiare. Inoltre, un'altra preziosa indicazione è
quella di non bere acqua di pozzo o comunque di incerta provenienza. Bisogna
inoltre fare attenzione a non ingerire acqua facendo il bagno in mare o fiumi.
Quando ci si reca in paesi in via di sviluppo occorre poi prestare attenzione
anche all'acqua utilizzata per lavarsi i denti e al ghiaccio o ai ghiaccioli.
Per quanto riguarda gli alimenti, è importantissimo evitare
frutti di mare crudi o non cotti a sufficienza, perché possono costituire una
fonte di infezione. La cottura generosa e prolungata, infatti, è l’unica misura
efficace per inattivare il virus dell’epatite A dai molluschi o da altri
prodotti freschi contaminati. Tale virus, infatti, resiste molto bene al
congelamento e alla cottura breve.
Inoltre,
è molto resistente agli acidi, quindi, una volta ingerito, sopravvive al
passaggio nello stomaco.
Frutta e verdura, prima del consumo, andrebbero
sempre lavate accuratamente e, quando possibile, sbucciate.
Prima di concludere, apriamo una breve parentesi. Grazie
alle migliorate condizioni igieniche, sanitarie e socio-economiche, negli
ultimi decenni si è assistito ad un calo dell'incidenza dell'epatite A in
Italia. Tale diminuzione è stata però interrotta regolarmente da alcuni picchi
epidemici registrati in alcune Regioni dell'Italia meridionale, dov'è diffuso
il consumo di frutti di mare crudi o poco cotti. Inoltre, dal gennaio 2013 in
Italia è stato rilevato un aumento significativo dei casi di epatite A rispetto
agli anni precedenti, soprattutto nel Settentrione. I dati suggeriscono una
forte correlazione con il consumo di frutti di bosco surgelati. A tal
proposito, il Ministero
della Salute consiglia perciò di consumarli
sempre dopo la cottura, cioè facendoli bollire a 100°C, per almeno 2 minuti.
I frutti di bosco freschi andrebbero invece semplicemente lavati con cura prima
del consumo.