Clamidia - Video: Cause Sintomi Diagnosi Cure

Ultima modifica 25.02.2020

La clamidia è un’infezione batterica, comune soprattutto tra gli adolescenti e i giovani adulti. È provocata da un batterio chiamato Chlamydia trachomatis, da cui deriva appunto il nome della malattia. Il grande problema della clamidia è che produce sintomi abbastanza vaghi e sfumati. I sintomi della malattia, quindi, non sono sempre riconoscibili dalle persone, oppure vengono confusi per disturbi di altro genere. Per questo motivo, la clamidia è definita una malattia “silenziosa”. Nonostante questo, comunque, la clamidia non va assolutamente presa alla leggera. Infatti, come vedremo meglio in seguito, nella donna, la clamidia provoca un’infiammazione della cervice, che può avere serie conseguenze per l’apparato riproduttivo sfociando nella cosiddetta malattia infiammatoria pelvica (PID). Negli uomini, invece, la clamidia può provocare uno stato infiammatorio dell’area genitale, con il rischio che l'infezione si estenda ad altri organi.

La Chlamydia trachomatis è un batterio intracellulare obbligato; significa che può vivere e riprodursi solo all’interno di cellule ospite. Il microrganismo viene trasmesso con rapporti intimi di vario genere tra una persona infetta e una sana. In questo senso, sono da considerarsi a rischio rapporti sessuali di ogni tipo, sia quelli vaginali, che quelli orali o anali; in caso di rapporti oro-genitali, la clamidia può infettare anche la gola. In tal senso, il rischio si nasconde ogni qualvolta vi sia uno scambio di fluidi sessuali sia diretto, che indiretto, ad esempio attraverso le mani; anche lo scambio di giocattoli sessuali, se eseguito a brevissima distanza di tempo, può quindi determinare l'infezione. Naturalmente, la malattia può essere trasmessa anche quando i partner non raggiungono l'orgasmo. Sembra invece nullo il rischio di contagio attraverso il bacio o in modo indiretto attraverso l'utilizzo comune di servizi igienici. Occorre precisare che la clamidia colpisce soprattutto le persone che hanno rapporti sessuali non protetti, occasionali e frequenti con più partner, mentre l'utilizzo del preservativo abbatte drasticamente il rischio di contagio. Ricordo che spesso la clamidia non causa sintomi di rilievo, per cui anche soggetti asintomatici, apparentemente in perfetta salute, possono comunque trasmettere la malattia. L’infezione, inoltre, può anche essere trasmessa per via materno-fetale, cioè per contagio diretto dalla madre infetta al figlio durante il passaggio del neonato nel canale del parto. Prima di procedere, è doverosa una breve precisazione.
Non esiste un unico tipo di Chlamydia trachomatis ma ne esistono diversi sierotipi, correlati a differenti patologie. Tra queste ricordiamo il linfogranuloma venereo, la malattia infiammatoria pelvica e il tracoma.


I sintomi della clamidia compaiono da una a tre settimane dopo il contagio. Questa finestra di tempo è pericolosa, perché in questa fase si può trasmettere la malattia ad altri senza esserne consapevoli. Nelle donne, il batterio infetta l’uretra e la cervice uterina, nota anche come collo dell'utero, che si inserisce verso il basso in vagina. Tale infezione causa bruciori e prurito intimi, perdite vaginali di colore bianco-giallastro e una fastidiosa sensazione di irritazione. Se trascurata, in alcune donne la clamidia può causare dolori al basso ventre e alla schiena, nausea, febbre e perdite di sangue anche al di fuori del ciclo mestruale. Negli uomini, la clamidia può dar luogo a uretriti e bruciore e secrezioni dall’uretra con sensazione di irritazione e prurito alle parti intime. Raramente, si hanno infiammazione, ingrossamento e dolore ai testicoli. Se la clamidia è trasmessa attraverso un rapporto anale, può infettare il retto e provocare dolore, perdite e sanguinamenti. Il contagio durante il parto, da madre a neonato, invece, può determinare polmonite e gravi infezioni agli occhi e alle orecchie.

Per quanto riguarda le complicanze, nella parte introduttiva abbiamo visto come - nonostante le manifestazioni della clamidia siano spesso lievi - le conseguenze a carico dell’apparato riproduttivo possono essere molto gravi. Nella donna, se non trattata, l’infezione può diffondersi all’utero, risalendo verso le tube di Falloppio, fino a raggiungere le ovaie. In tal senso, la conseguenza più seria e temibile è la cosiddetta malattia infiammatoria pelvica; questa patologia si accompagna infatti a dolore pelvico cronico e aumenta il rischio di aborti e gravidanze extrauterine, fino a causare sterilità per occlusione tubarica. Quando invece le complicanze della clamidia colpiscono l’uomo, possono insorgere infezioni dell’epididimo, che è un tubicino con numerose circonvoluzioni situato nello scroto; all'interno dell'epididimo gli spermatozoi maturano e vengono immagazzinati prima dell'eiaculazione. Inoltre, a causa di una clamidia trascurata possono subentrare un danno ai testicoli e infezioni alla prostata.

Se si sospetta un contagio da clamidia è bene rivolgersi al più presto ad un medico, anche quando i sintomi non sono presenti. L'infezione viene tradizionalmente diagnosticata attraverso esami colturali, cioè facendo replicare in laboratorio i batteri presenti in un campione di secrezioni infette. Tecniche più moderne includono reazioni di immunofluorescenza e saggi immunoenzimatici. Tutti questi esami possono essere effettuati su campioni di urina o tamponi cervicali, uretrali, vaginali, rettali, congiuntivali e orali. Inoltre, per accelerare la diagnosi e il conseguente trattamento, sono oggi disponibili alcuni test che consentono di ottenere risultati in brevissimo tempo. Un esempio è la ricerca del DNA specifico per la clamidia, tramite tecniche di amplificazione degli acidi nucleici. Infine, un prelievo di sangue permette di verificare una pregressa infezione, ricercando la presenza di immunoglobuline anti-clamidia.

Data la natura batterica dell’infezione, la clamidia viene trattata con antibiotici. La terapia va stabilita in base ai risultati dell’antibiogramma effettuato durante le analisi microbiologiche; con questo test si valuta la suscettibilità del batterio a vari tipi di antibiotici, in modo da identificare il farmaco più efficace. I regimi terapeutici generalmente raccomandati prevedono l’uso di antibiotici come tetraciclina, doxiciclina ed eritromicina, eventualmente sostituiti da farmaci più recenti come azitromicina e ofloxacina. Ad ogni modo, la terapia dev'essere seguita in modo corretto e scrupoloso, attenendosi alle istruzioni mediche. Ciò permette di evitare ricadute e limita la comparsa di pericolose resistenze agli antibiotici, cioè di quel fenomeno per cui vengono via via selezionati ceppi batterici immuni all'azione degli antibiotici. Un altro aspetto fondamentale è che oltre al soggetto interessato, devono essere trattati anche tutti i partner sessuali avuti fino a 60 giorni prima dell’insorgenza dei sintomi. Questa precauzione serve per evitare il cosiddetto effetto ping-pong; in sostanza, si evita il “passarsi” reciprocamente la malattia e si limitano anche le possibilità di diffusione ad altri soggetti. Durante il trattamento è importante astenersi dai rapporti sessuali, oppure usare il preservativo. Tale precauzione potrebbe essere richiesta anche per un certo periodo dopo il termine del trattamento antibiotico; infatti, il medico può prescrivere un secondo test a distanza di qualche settimana per accertare l'avvenuta eradicazione dell'infezione da Chlamydia trachomatis.

Vista la difficoltà nel riconoscere i sintomi, una raccomandazione importante per tutte le donne sessualmente attive è quella di effettuare un controllo annuale dal ginecologo. Inoltre, ricordiamo l'importanza dell’uso del profilattico, che riduce il rischio di contrarre la clamidia ed altre malattie a trasmissione sessuale.