Tecnica passivattiva nello scollamento mio-fasciale: arti inferiori

Tecnica passivattiva nello scollamento mio-fasciale: arti inferiori
Ultima modifica 03.07.2023
INDICE
  1. Aderenze, collagene, fascia
  2. Trattamento per muscol iadiacenti nel massaggio sportivo
  3. Principi della tecnica passivattiva
  4. La tecnica passivattiva
  5. Taping neuromuscolare (TNM)

"In tutte le civiltà fin dai primordi della medicina il trattamento delle malattie fu affidato, oltre a più o meno improbabili medicine, al trattamento del corpo mediante azione meccanica applicata dall'esterno, associata, talvolta, ad interventi termici mediante applicazione di impacchi o sostanze calde o fredde. Sembra quindi che interventi di massaggi o comunque trattamenti manuali su varie parti del corpo siano stati effettuati fin dall'antichità in tutte le etnie ed in tutti i continenti. Appare quindi logico poter affermare che la manualità del massaggio abbia sempre costituito, in tutti i popoli un'esigenza insopprimibile del genere umano. Ancora oggi hanno grande popolarità massaggi orientali, ben distinti in ciascun paese d'origine, Cina, Giappone, Tailandia ecc. ma anche interventi con tecniche di massaggio di tipo squisitamente occidentale, soprattutto scandinavi e nord europei. Ogni intervento con queste manualità ha, nel suo DNA , uno scopo da perseguire: rilassamento, miglioramento della circolazione ematica, del liquido linfatico, funzione anti piaghe da decubito ed altre più o meno specialistiche applicazioni. Nel mondo sportivo, poi, il massaggio è stato da sempre uno dei capisaldi della preparazione dell'atleta, da praticarsi prima e dopo gli allenamenti e le gare. Non può quindi essere negato che al massaggio siano stati affidati ruoli importantissimi al fine di far rendere al meglio la macchina corporea umana impegnata nelle più svariate discipline motorie. Lo sport, infatti, potrebbe essere definito come una scusa per verificare, e misurare quanto di massimale sa fare la macchina corporea in tutte le gestualità nelle quali può esprimersi: il massimo in destrezza, velocità , potenza, resistenza e perfino.....nella capacità di raggiungere il massimo possibile di immobilità! Nel tiro a segno o in quello con l'arco, infatti, l'immobilità assoluta del corpo costituisce il presupposto per avere una "piazzola di tiro" la più efficiente possibile, allo scopo di centrare il bersaglio. Ebbene, in tutti gli sport viene applicato il massaggio al fine di migliorare la capacità prestativa umana. C'è poi chi, come Maurizio, soprattutto nello sport, ha voluto andare ancora più a fondo, prendendo in considerazione i vari elementi, muscolari, tendinei, tessuti di rivestimento ecc. con lo scopo di liberare i confini tra i vari componenti in modo che ciascuno avesse la massima libertà di movimento, i minori attriti ed il dissolvimento delle viscosità esistenti. In conclusione c'è un gran bisogno di persone, come Maurizio, che studino con la massima cura possibile, non solamente il potenziamento o il rilassamento, ma come mettere i vari componenti nella miglior e più efficiente capacità di lavoro. Anche se non particolarmente espresso, ritengo che questi interventi di manualità "liberatoria" possano anche influire positivamente sul sistema circolatorio, sia sui grossi vasi che sui capillari, aiutandoli a svolgere al meglio la loro duplice funzione di apportare ossigeno e di asportare i prodotti di rifiuto. Ripeto ancora una volta che, dal punto di vista scientifico è difficile "quantizzare" l'effetto positivo di un simile intervento, ma si è confortati da un forma di ragionamento, che a noi sembra logico, che ci dice: gli effetti, grandi o piccoli che siano, vanno certamente nella giusta direzione. Auguro quindi, con tutto il cuore, il massimo successo a questa eccellente pubblicazione".

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Aderenze, collagene, fascia

Un breve accenno alle proprietà chimico-fisiche della fascia e dei suoi componenti per meglio focalizzare cosa sono le aderenze mio-fasciali e perché necessitano di essere scollate-rilasciate con la tecnica passivattiva.

Le cellule delle fasce connettivali si trovano disperse in una sostanza gelatinosa denominata MEC, matrice extracellulare. La MEC è costituita da una porzione fibrosa proteica inclusa in un gel acquoso di polisaccaridi. La parte fibrosa è costituita da fibre collagene, fibre reticolari e fibre elastiche. Le fibre collagene e reticolari sono costituite essenzialmente da molecole di collagene, ma differiscono tra loro per una diversa struttura molecolare; le fibre elastiche sono invece costituite da due catene proteiche di diversa natura: la fibrillina e l'elastina.

"Per queste caratteristiche il tessuto connettivo può essere anche diviso in tessuto connettivo fibrillare, tessuto connettivo elastico e tessuto connettivo reticolare, con la comune funzione di sostegno e di protezione: costituisce la base su cui poggiano i diversi epiteli e contribuisce alla difesa dell'organismo contro urti e traumi esterni" -da Dispensa Massaggio Sport TIB.

Le fibre di collagene, per le quali vedremo solo le proprietà inerenti a questo lavoro, hanno la funzione di supporto meccanico per quelle parti del nostro corpo più soggette a forti sollecitazioni sia interne che esterne. Il collagene lo troviamo infatti sotto forma di fibre di vario spessore, come legamenti e tendini, forti strutture che possono resistere a notevoli carichi dinamici e statici. Questi tenaci fasci fibrosi di collagene, dato lo scarso e irregolare orientamento fibrillare lungo la linea di sviluppo della forza muscolare, possiedono comunque un certo grado di estendibilità ma senz'altro inferiore al confronto con le fibre muscolari. Quest'ultime sono caratteristiche per la loro elasticità e resistenza ma quasi esclusivamente nel senso della forza espressa nelle fasi di movimento - contrazione allungamento muscolare bidirezionale - ovvero lungo la direzione dell'orientamento delle fibre e dei loro fasci muscolari. Invece le fibre di collagene del tessuto connettivo - la fascia - hanno decisamente minor forza ed elasticità, però possono garantire una protettiva funzione meccanica elastica agente in modo tridimensionale, in qualunque senso la forza venga sviluppata-applicata, sia dal muscolo - forza interna -che da quella assorbita come per esempio avviene durante un impatto - forza esterna -. Per cui prendendo in esame le fibre di collagene della fascia, dal punto di vista meccanico per far fronte a importanti eventi traumatici o ripetuti nel tempo come urti, torsioni, schiacciamenti e costrizioni varie, esse tendono a modificare la loro proprietà viscoelastica in modo quasi permanente, per adattarsi a queste forze anomale che agiscono sulla fascia facendone superare il limite di deformazione strutturale.

Per contenere il possibile danno provocato alla fascia, le fibre di collagene si dispongono in modo molto più disordinato rendendo difficile un ritorno allo stato fisiologico iniziale, ovvero l'incapacità di riorganizzarsi in fasci fibrillari più ordinati. Alcuni studi hanno confermato che la fascia connettivale tiene in memoria il trauma determinando in quel punto, a sorta di protezione, una modificazione nella sua mobilità sia elastica che di scorrimento: sono le aderenze che limitano il grado di libertà del movimento muscolo-articolare durante il gesto o l'attività sportiva. Le aderenze, specie quelle profonde o importanti, sono aree di contatto non fisiologico dove si vanno a concentrare le tensioni da trazione dei tessuti adiacenti e col tempo anche le forze espresse dal conseguente adattamento posturale.

"Questo lavoro, elaborato con grande impegno e ricerca personale, offre l'opportunità a professionisti e studiosi delle terapie manuali di riflettere ulteriormente sui fattori principali che incidono sul trattamento di alcune patologie sportive, che incidono notevolmente sulla prestazione agonistica.

In effetti, le occasioni di confronto e di riflessione sulle metodologie di trattamento delle patologie muscolari da sport sono sempre troppo limitate e spesso gli addetti ai lavori trovano poco tempo da dedicare all'aggiornamento o al dibattito tecnico-scientifico. La discussione di nuovi punti di vista, innovazioni metodologiche e dei risultati delle sperimentazioni deve essere accolta positivamente per lo sviluppo delle metodologie del massaggio.

Questo lavoro vuole proporre dei punti di vista innovativi e delle riflessioni originali. Esso ha una notevole valenza applicativa ed è finalizzato al lavoro pratico, dal momento che nasce da una singolare fusione tra l'esperienza diretta sulle piste e campi di gara e approfondimento delle conoscenze di fisiologia muscolare. Ottima la presentazione iconografica delle manualità prese in esame.
L'autore è pienamente consapevole che la difficoltà di studiare con metodologie scientifiche avanzate l'efficacia del metodo, non rende sempre possibile verificare tutte le ipotesi e concetti, quindi si aspetta che futuri approfondimenti rivelino imprecisioni o limiti di questo lavoro, con una casistica più ampia, ma in fondo è proprio in questo modo che progredisce la conoscenza collettiva".

Cercheremo quindi di spiegare come la tecnica passivattiva applicata in ambito sportivo risulta essere un metodo molto efficace per il rilascio delle aderenze mio-fasciali che, con lo scopo di migliorare una legata condizione biomeccanica poco fisiologica nell'atleta, ne ottimizza la prestazione sportiva.

Questo lavoro è frutto della mia venticinquennale esperienza di istruttore, preparatore atletico e massaggiatore per diversi gruppi sportivi, ed è rivolto senza pretese accademiche a tutti gli operatori del settore, in special modo a chi sta iniziando il percorso di massaggiatore sportivo. Le manualità descritte non sono terapeutiche, di altrui competenza, sono state studiate e messe a punto per il mantenimento e l'incremento della biomeccanica funzionale per gli sportivi di medio-alto livello atletico, dove il loro corpo è sottoposto a importanti allenamenti e performance sportive. Voglio precisare che non sono né medico né terapista dello sport, ma un tecnico ricercatore-operatore in questo campo e che grazie alla mia formazione di chimico con esperienze in analisi biochimica, cerco di individuare e di capire alcuni dei fenomeni fisiologici che accadono nel tessuto mio-fasciale durante l'applicazione di tecniche di massaggio. Per tutti questi anni ho avuto e ho la fortuna di collaborare con biologi, medici e fisioterapisti sportivi, fonte del mio background formativo, coi quali continuiamo a rivedere o a sviluppare nuove tecniche e manualità specifiche per sportivi e atleti, o come si chiamano ora sport-bodyworks.

Ad avvalorare la tecnica passivattiva, metodologia che da tempo applico nelle manualità di scollamento mio-fasciale, è stato il trovare un riscontro nel superbo studio sulla fascia di Robert Schleip, facendo particolare riferimento al suo lavoro "Fascial plasticity - a new neruobiological explanation", dove ho trovato una significativa spiegazione dei meccanismi biochimici e biomeccanici che intervengono nei tessuti trattati durante la seduta di massaggio sportivo con la tecnica passivattiva. Voglio citare Art Riggs, uno dei più stimati bodyworkers, che grazie al proficuo reciproco scambio di opinioni ed esperienze ha contribuito alla messa a punto di questa mia metodologia. In pratica voglio spiegare come questa tecnica cinetica basata sull'aiuto dell'atleta nel sostenere un'azione dinamica in condizione di leggero stretching, torsione o contrazione muscolare durante le manualità di massaggio per il rilascio delle aderenze mio-fasciali -condizione passivattiva dell'atleta -sia più efficace rispetto al classico scollamento statico.

Trattamento per muscol iadiacenti nel massaggio sportivo

La tecnica passivattiva di scollamento mio-fasciale nel massaggio sportivo, risulta di aiuto per il ripristino della corretta scorrevolezza tra i vari tessuti e di conseguenza della mobilità articolare, che va a trattare i muscoli in contatto tra di loro: i muscoli adiacenti o paralleli per l'appunto. Questa tecnica abbinata in alcuni casi con il Massaggio Traverso Profondo -MTP- o con la Frizione Trasversa Profonda - deep friction o tecnica Cyriax - comporterà" ... un orientamento delle fibre collagene, assieme al loro rafforzamento grazie ad una circolazione migliore, può essere sufficiente a permettere all'atleta di mantenere un alto livello d'attività, che sarebbe stato impossibile senza il trattamento".

Quando le fibre di collagene della fascia, già di natura poco allineate fra loro, a causa di traumi, di stress da sovraccarico o tensivo/nervoso, tendono ad addensarsi e a disporsi ancor più in maniera casuale e disordinata, è possibile che diano inizio ad una marcata adesività e conseguente retrazione mio-fasciale che lega la normale dinamica muscolo/articolare - Range of Motion -. A questo proposito per spiegare in maniera figurata cosa avviene, riporto l'esempio riportato in un lavoro pubblicato su Sports&Med, il quale visualizza benissimo la questione. Immaginiamo di aver tra le mani una striscia di nastro adesivo, il comune scotch, dove la parte liscia rappresenta la fascia con le sue fibre di collagene ben ordinate, quindi in ottimo stato fisiologico, e la parte adesiva appiccicosa a quella degradata stressata, dove le fibre di collagene sono disposte a casaccio. Se facciamo scivolare sulla nostra pelle la parte liscia del nastro, essa scorre via liscia senza attriti; per contro quando facciamo scivolare la parte adesiva, essa trascina appresso la pelle, i peli, facendo sentire un tiraggio. Questo attrito non è altro che la sensazione che proviamo quando un'aderenza mio-fasciale impedisce di eseguire una normale escursione muscolo-articolare. Da cui la necessità di intervenire con tecniche e manualità per scollare tali aderenze. Bene allora, a parità di tecniche o tuttalpiù con qualche personale modifica nelle manualità classiche, ho avuto tangibili e positivi riscontri in queste stagioni di lavoro su atleti di diverse specialità sportive e sui calciatori della squadra che seguo con l'aiuto dell'amico Federico Polimene, massaggiatore e preparatore atletico.

Tutte le manualità di questo lavoro, nascono in un'ottica cinetica, ovvero in relazione alla fondamentale partecipazione attiva da parte dell'atleta mentre l'operatore passivamente muove, stira e ruota il muscolo o il tratto di catena mio-fasciale interessato allo scollamento.

Tecnica che definisco passivattiva per il contributo minimo ma indispensabile che viene richiesto all'atleta per ottenere la condizione necessaria affinché possa iniziare il cambiamento viscoelastico del tessuto mio-fasciale (collagene). Ciò non solo dovuto all'azione fisica meccanica della manualità, ma anche per gli effetti conseguenti alla risposta della stimolazione eseguita sui meccanocettori dell'atleta: corpuscoli e organi di Golgi, Ruffini e Pacini.

Tutte le manualità di questo lavoro, nascono in un'ottica cinetica, ovvero in relazione alla fondamentale partecipazione attiva da parte dell'atleta mentre l'operatore passivamente muove, stira e ruota il muscolo o il tratto di catena mio-fasciale interessato allo scollamento.

Tecnica che definisco passivattiva per il contributo minimo ma indispensabile che viene richiesto all'atleta per ottenere la condizione necessaria affinché possa iniziare il cambiamento viscoelastico del tessuto mio-fasciale (collagene). Ciò non solo dovuto all'azione fisica meccanica della manualità, ma anche per gli effetti conseguenti alla risposta della stimolazione eseguita sui meccanocettori dell'atleta: corpuscoli e organi di Golgi, Ruffini e Pacini.

Questa condizione passivattiva, secondo lo studio di Schleip, è assolutamente necessaria in quanto i corpuscoli meccanocettori se non stimolati direttamente su ordine del loro proprietario - l'atleta in questione - non riescono ad influenzare il sistema simpatico con la conseguente variazione del tono muscolare rendendo vano il lavoro di rilascio. Come appunto egli ha dimostrato per spiegare la dinamica della plasticità della fascia durante la manipolazione mio-fasciale, mette in evidenza che usando tecniche su parti del corpo anestetizzate e non, nelle prime non vi era alcuna variazione del tono muscolare e della viscoelasticità se non di breve durata, mentre nella seconda trattando le parti del corpo attivate dalla persona massaggiata, tali effetti erano ben riscontrabili e di più lunga durata. Ora non andando troppo nel dettaglio e per cui ribadisco la lettura del citato lavoro di Schleip, pare chiaro come sia importante rispettare questa condizione cinetica durante lo scollamento mio-fasciale, a maggior ragione dopo i positivi risultati da me riscontrati sul campo applicando questa modalità durante le scorse stagioni agonistiche.

Perciò in base alle mie esperienze trovo che inserire la tecnica passivattiva con manualità di scollamento e separazione per muscoli adiacenti durante le sedute di massaggio-sport, risulta essere di ottimo aiuto agli sportivi per conseguire una buona performance atletica. Aiuto valido anche per l'operatore che avrà molte meno difficoltà nello scollare le aderenze data la minor incisività richiesta dalla tecnica, il che è molto gradito dall'atleta trattato. Si tratteranno esclusivamente manualità per i muscoli e la fascia, in quanto per i legamenti a mio parere la miglior tecnica risulta sempre la deep friction, Frzione Trasversa Profonda. La tecnica passivattiva è molto efficace per quei tipi di muscoli fusiformi o nastriformi con poco ventre e lunghi tendini, che spesso subiscono a causa della restrizione fasciale delle torsioni intorno alla struttura ossea correlata, o essere soggetti a una rotazione-trazione lungo il loro asse a causa delle aderenze con i muscoli adiacenti o con la fascia stessa. Oltre al lavoro sulla parte muscolare è indispensabile trattare anche i tendini per rompere le aderenze fibrose formatesi. Come mostra empiricamente la foto sopra, il tendine rosso e la sua guaina di rivestimento - la retina bianca - vengono mobilizzati e frizionati appunto per evitare, rompere o rilasciare le aderenze - crosslinks - così da permettere una ottimale e reciproca scorrevolezza, merito anche della lubrificazione indotta dagli effetti del massaggio localizzato.

"Già prima della comparsa dei sintomi fastidiosi per una tendinite, il collagene tende a degenerare dando inizio all'infiammazione. Il massaggio di frizione sul tendine-guaina svolge un lavoro preventivo sulla comparsa dell'infiammazione dovuta a sovraccarico di lavoro o alla fibrosità della guaina che lo avvolge, in quanto stimola la riproduzione di collagene che sostituisce quello degradato disponendosi ordinatamente. Per cui il massaggio con le sue tecniche specifiche manuali per lo scollamento di aderenze fibrose -muscolo/fascia/guaina/tendine -resta sempre più un'ottima pratica per la prevenzione da infortuni, nonché di gran beneficio per lo sportivo " (W.W. Lowe - terapista del massaggio).

Dopo anni di lavoro su atleti di diverse discipline sportive, ritengo che questa pratica ora aggiornata con la dinamicità della tecnica passivattiva, sia di ottimo aiuto se sinergica con i vari lavori di preparazione atletica - flessibilità, elasticità -per l'ottenimento e l'ottimizzazione del miglior Range of Motion muscolo-articolare. I muscoli appartenenti a un gruppo mio-fasciale preciso - p.es. quelli della coscia - si devono poter liberamente contrarre/decontrarre con indipendenza fra loro, pur rimanendo sinergici, antagonisti o reclutati durante la biomeccanica di un gesto atletico.

Lo scollamento e separazione per muscoli adiacenti, risulta inoltre efficace nel contrastare la retrazione mio-fasciale, abbassando di fatto il rischio di infortuni. Restrizioni e aderenze sono una tra le principali cause di disfunzioni in quanto, esercitando trazioni e torsioni su muscoli, fascia e articolazioni correlate, sono causa di impedimenti e dolori durante l'esercizio fisico. Il mancato scorrimento tra muscoli adiacenti -una delle cause sono gli essudati, acido lattico e scorie metaboliche che aumentano il grip interstiziale fascia - muscolo -fascia - ha come effetto una perdita di indipendenza durante la fase di escursione allungamento-accorciamento e, di riflesso, nell'erogazione della forza muscolare. Questo risulta essere un vero gap per la fisiologica escursione miotendinea -ROM -durante la fase di contrazione/decontrazione specialmente durante una prestazione sportiva. Ne consegue che con sovraccarichi di lavoro o con la ripetizione di specifiche gestualità tipico di allenamenti intensivi a senso unico, si vada ad incrementare il processo naturale di retrazione mio-fasciale, con le ben note noie a livello muscolo-articolare le quali, se non trattate precocemente possono portare l'atleta a forzati compensi posturali, incidendo per cui significativamente sulla performace. Sappiamo bene che i muscoli sottoposti a superlavoro possono oltrepassare il loro range of motion, ma nel caso questa azione venga particolarmente ripetuta, provocherà un rigonfiamento - ipertono - e una rigidità muscolare - stiffness - con possibile conseguente infiammazione. Questo ipertono riduce lo spazio interstiziale muscolo-fascia-muscolo limitando la circolazione sanguigna per il nutrimento dei tessuti e quella linfatica per la pulizia dalle scorie, provocando un disagio rilevato da vari corpuscoli recettori presenti - propriocettorimeccanocettori, chemiocettori - che informando il Sistema Nervoso Centrale viene trasformato in dolore mio-fasciale.

"... un muscolo ben allungato, infatti, è in grado di eseguire dei movimenti più ampi con minor stress per la sua articolazione. Studi sulla mobilità articolare confermano che, eseguire esercizi di stretching alla fine del workout, accelera il recupero..." (M. Scudero, massaggiatore) in completo accordo mi sento di affermare, come sopracitato, che far seguire la parola scollamento ove si parli di allungamento/strethcing possa essere decisamente appropriato e sinergico.

" Inoltre tali aderenze esercitano sia forze di trazione laterali, destabilizzanti per il compartimento mio-fasciale associato, che forze atte a instaurare una torsione assiale sui muscoli stessi " (A.Riggs). Le aderenze mio-fasciali possono portare ad uno squilibrio delle forze che agiscono in tensegrità su un compartimento articolare. Questo sbilanciamento generalmente causa adattamenti posturali, infiammazioni e dolore, condizioni che vanno a scapito della performance sportiva e nei casi più gravi impedisce all'atleta di allenarsi. Un esempio è l'incollamento del muscolo Tensore della Fascia Lata (TFL), tratto Ileotibiale, con il Vasto Laterale.
Quest'ultimo sottoposto all'azione di trazione laterale esercitata dal TFL, può essere causa di un risentimento al ginocchio e, come dimostrano alcuni studi, essere responsabile o concausa di questi dolori compartimentali come per la sindrome Femoro-rotulea. Lo stesso TFL è in grado di trazionare per incollaggio l'inserzione miotendinea del Bicipite Femorale soprattutto durante la fase di accosciata - squat -che può contribuire all'insorgere di dolori nell'area del ginocchio per mancata stabilità. A riguardo è possibile trovare ampia documentazione nei vari studi pubblicati su vari siti di Sports&Med, di come lo scollamento dei muscoli della coscia e della gamba abbia risolto dolori e limitazioni per l'articolazione del ginocchio che si presentavano con i tipici sintomi delle più comuni sindromi compartimentali.

Questo per spiegare come l'aver liberato i muscoli incollati dalle aderenze abbia così normalizzato lo squilibrio tensivo delle forze agenti per la stabilizzazione del ginocchio. Sappiamo bene come anche minime trazioni dovute a contratturetrigger points, cicatrici etc., siano in grado di sbilanciare non solo un articolazione, ma la tensegrità del corpo modificandone la postura. Altra utilità riscontrata nell'uso della tecnica passivattiva di scollamento a scopo preventivo specie per i muscoli delle gambe è quella di contrastare l'insorgenza del crampo muscolare. "Indipendentemente dalla vera causa che induce il crampo muscolare (sono in voga diverse teorie), sembra invece accertato che il dolore sia dovuto all'intensa stimolazione dei meccanocettori dovuta all'eccessiva contrazione muscolare" (E. Sproviero). Ne conviene che eliminando le aderenze mio-fasciali si otterrà una miglior tonicità muscolare che è una delle condizioni ottimali per evitare l'insorgere del crampo. Ciò denota ancora una volta che intervenire con un'azione preventiva di scollamento per separare tra di loro i muscoli adiacenti, diviene una necessità per gli atleti agonisti e per chi si dedica al fitness con un'alta frequenza settimanale.

Principi della tecnica passivattiva

La tecnica consiste nello scollare tra di loro questi muscoli esercitando contemporaneamente con l'altra mano uno strecth passivo o, nel caso essa sia impegnata nella manualità, tramite specifiche posizioni, il tutto con un piccolo aiuto dinamico da parte dell'atleta: come spiegato in precedenza grazie anche alla cinetica a sostegno delle manualità, la tecnica passivattiva riduce il tempo necessario per risolvere le aderenze e mantiene più a lungo questo nuovo stato di libertà.

Eseguito un primo parziale scollamento, ogni muscolo viene trattato con manualità twist&roll per un ulteriore separazione muscolo-fascia-muscolo mettendo in risalto il grado di rilascio da aderenze. Prima di passare alla visione delle tecniche manuali di scollamento, è bene tener presente una volta riscontrate particolari aderenze in un muscolo tali da non consentire un corretto ROM, che per una maggior efficacia del trattamento di testare anche la condizione dei muscoli della catena mio-fasciale di appartenenza. Quindi sarà sì un lavoro esclusivo sul muscolo, ma tenendo sempre presente l'interazione che esso esercita e/o subisce in relazione alla fascia e alla sua catena cinetica. E' fondamentale tenere sempre presente l'azione che la fascia esercita nelle aree sottoposte a stress nervoso/tensivo o a sovraccarico di lavoro. Avvolgendo/riempiendo tutti i settori muscolari, sia in fasci fibrillari che in larghi fogli, la fascia ha la tendenza ad accorciarsi proprio in questi hotspots - punti critici - causando i ben noti problemi di mobilità mio-fasciale-articolare. Dunque per eseguire una funzionale manualità di scollamento è necessario rilassare il più possibile il muscolo teso, contratto o accorciato che sia, affinché l'aderenza fasciale possa essere rimossa o allentata efficacemente. In caso di tensione eccessiva della parte da trattare, è bene cercare di scaricare questo stato trattando l'intera catena mio-fasciale riferita, con l'intento di allontanare di spalmare questo eccesso di contrazione su di una più larga superficie, portando il muscolo dolente dell'atleta in una condizione di maggior relax.

Ad esempio se si deve trattare il muscolo Bicipite Femorale della coscia, andremo a testare tutta la sua catena di appartenenza, ovvero partendo dall'arto inferiore con i muscoli Peronieri, Gastrocnemio e Soleo, quindi il BF appunto, il tratto legamentoso sacrale, i muscoli Lungospinali erettori della Colonna Vertebrale fin su all'occipite e tutta la fascia relativa a questo percorso. Oppure nel caso del muscolo Tensore della Fascia Lata, cominceremo nel testare il muscolo Tibiale, il TFL appunto, il muscolo Obliquo Interno, e dato che in questo caso la catena è a spirale, proseguire sul muscolo Obliquo esterno per poi girare dietro e verso l'alto con il muscolo Dentato, i muscoli Romboidi per finire con i muscoli Elevatore della Scapola e Splenio inclusa la fascia legata ad essa. Personalmente, ma non alla lettera, seguo le catene mio-fasciali secondo Tom Myers -Anatomy Trains -.

Vediamo nel dettaglio come si eseguono tali manovre. Punto chiave è ottenere la collaborazione da parte dell'atleta. Metterlo al corrente delle tecniche che andremo ad eseguire, spiegandone il fine e gli effetti voluti e le sensazioni che proverà. Come noto, più si abbassa la rigidità/tensione muscolare, più entreremo in sintonia con l'atleta e più efficace risulterà la tecnica passivattiva. Tutte le manualità di scollamento, di definizione e di stretch muscolare vanno eseguite molto lentamente, per avere sempre la prontezza di interrompere l'azione per un qualsiasi motivo. Questo perché, lavorando profondamente su contratture, aderenze e fibrosità mio-fasciali, bisogna avere sempre il controllo della situazione, ricordando che non si sta' spalmando olio ma lavorando con pressioni importanti, per frizionare, pinzare e schiacciare i muscoli i tendini e la fascia. In base a questa considerazione e a motivi legati puramente all'esecuzione tecnica delle manualità, è meglio non lubrificare troppo la zona da trattare con olio o creme per mantenere sempre una discreta capacità di presa/controllo.

Come dice Art Riggs, è come se volessimo svitare il tappo del barattolo della marmellata con le mani unte; ci si può anche riuscire, ma quanta forza devo sprecare per svitarlo! che tradotto nei riguardi dell'atleta è che posso anche provocargli un eccessivo dolore per nulla e, per l'operatore in uno spreco di energie e un eccessivo carico per le articolazioni delle dita.

Ora per entrare nell'ottica della tecnica passivattiva, che se vista è molto esemplicativa, vorrei spiegarne il concetto con un esempio. Immaginiamo di dover riprendere un oggetto con una fotocamera e di cercare di renderlo il più possibile evidente e riconoscibile dallo sfondo. Per avere un buon dettaglio è bene riprendere il soggetto da diverse angolazioni; più saranno più precisa sarà la risoluzione e il risultato finale sarà senz'altro di buona fattura viste le molteplici pose. Se invece usiamo una videocamera, pare chiaro come la ripresa in movimento - cinetica - attorno sopra e sotto l'oggetto, sarà ancora più dettagliata e più completa per lo scopo voluto, ovvero la miglior risoluzione del dettaglio e la messa in risalto del soggetto. Rapportando l'esempio alla tecnica passivattiva, l'operatore che passivamente supporta il movimento con l'attivazione muscolare dell'atleta, può lavorare il muscolo e la fascia adiacente quasi per 360 gradi, mentre questi si allungano, si rilassano e si contraggono. Così, specie per i muscoli, da poterli avere a disposizione durante tutti i vari cambi dimensionali e nelle varie posizioni che la struttura fisiomorfologica concede. Il tutto verrà ancor più reso efficace dal momento che sfrutteremo il meccanismo dell'innervazione reciproca tra muscoli agonisti-antagonisti, specie quando il lavoro di scollamento dev'essere eseguito su muscoli ipertonici, duri o tesi. Tutti i movimenti del corpo avvengono per un accordo muscolare di co-attivazione, ovvero la sincronia tra gli opposti gruppi muscolari durante le fasi di contrazione -rilassamento - allungamento, pena la staticità del corpo, il non movimento. Per cui l'attivazione di un muscolo - agonista - fa conseguire un rilassamento del muscolo opposto - antagonista - che può così maggiormente allungarsi. Riporto il classico esempio, usato negli allungamenti col metodo PNF - Proprioceptive Neuromuscolar Facilitation o facilazione neuromuscolare propriocettiva - dove per facilitare lo stretching dei muscoli posteriori della coscia, si richiede l'aiuto tramite la contrazione del muscolo Quadricipite Femorale, che per innervazione reciproca provocherà un rilassamento degli ischiocrurali posti così in condizione di esser più facilmente allungati e lavorabili.

L'obbiettivo finale della tecnica passivattiva sarà quello di avere un muscolo più in dettaglio dallo sfondo, più libero biomeccanicamente nel suo ROM e aver riequilibrato le forze di stabilizzazione dell'articolazione correlata. Pare per cui chiara la differenza che passa tra la tecnica di scollamento mio-fasciale classica - la staticità della fotocamera -e la tecnica passivattiva la dinamicità della videocamera - e che ora vedremo nel dettaglio.

La tecnica passivattiva

Il primo step della tecnica passivattiva è quello di riscaldare la zona da trattare, ovvero di ottenere un buon warm-up mio-fasciale, sfruttando così la sua proprietà tixotropica - diminuzione della viscosità indotta da un'azione meccanica - con lo scopo di ottenere il primo grado di rilascio prima del lavoro profondo. Si inizia dunque con l'eseguire sulla zona interessata la manualità stroke, sfioramenti leggeri con il palmo della mano o di avambraccio. Questa manualità lavorando nel senso dello sviluppo della forza muscolare non è di scollamento, ma di preparazione ad esso in quando va a stirare, ad appiattire le grinze formatesi sui fogli fasciali e ad ordinare longitudinalmente le fibre di collagene che si sono aggrovigliate durante l'accorciamento nella fase di adattamento a seguito di una situazione di stress meccanico o nervoso.

Questa fase di iniziale di scioglimento mio-fasciale, si caratterizza per la lentezza e la poca pressione applicata durante la manualità, è utile all'operatore per testare la zona interessata del corpo dell'atleta con lo scopo di trarre il maggior numero di informazioni per definire l'approccio e quali manualità siano più indicate/mirate per il prosieguo del trattamento.

Come dice bene Erik Dalton, uno dei più stimati bodyworkers "...la palpazione è l'arte per ottenere informazioni." A fronte di ciò le stroke superficiali che all'inizio del trattamento si eseguono per riscaldare, ammorbidire e rilasciare la muscolatura, divengono la prima fonte di informazione diretta sul campo. Questa lentezza e accuratezza nella manualità permette ai nostri sensori digitali e cutanei - meccanocettori tattili - di essere nella miglior condizione di sensibilità per farci rilevare e conoscere la condizione mio-fasciale dell'atleta; ciò verrebbe vanificato se la tecnica fosse applicata con un'azione veloce e brusca. Così facendo l'operatore otterrà gran parte delle info utili per mettere a punto la strategia più efficace da eseguire sull'atleta.

Per completare il quadro informativo, si tenga presente che ogni muscolo è parte di un compartimento articolare, e che quindi risulta utile testare il ROM, sia passivo che attivo, per evidenziarne eventuali impedimenti, dolore o di quant'altro poco fisiologico nel movimento articolare, causato da aderenze e tensioni indotte dal muscolo stesso o dai muscoli adiacenti. Dopo la manualità di stroke si esegue sul muscolo quella più incisiva di stripping, con lo scopo di cominciare a rompere/rilasciare le aderenze fasciali superficiali. Questa tecnica è più un vero sfregamento profondo che non uno sfioramento, una sorta di stretching passivo intenso e di breve durata. Da questo momento in poi dato che le manualità saranno applicate con pressioni importanti, è fondamentale che tutte le tecniche di scollamento mio-fasciale profondo vengano eseguite con la messa o in tensione - stretch - o in torsione - spin stretch - oppure tramite una contrazione variabile dei muscoli da trattare. Questa condizione è applicata sia passivamente dall'operatore, che dall'atleta che attiva il muscolo contraendolo isometricamente.

E' essenziale questo modo di procedere per due motivi: il primo è quello di allungare le fibre e i fasci muscolari-fasciali nel fisiologico verso lo sviluppo della forza-lavoro; il secondo è di prevenzione, visto l'utilizzo di pressioni decise sul ventre muscolare o sull'inserzione miotendinea in condizioni di scarico-relax, possano risultare dannose oltre che molto dolorose per l'atleta. Per cui come già descritto per una maggior efficacia della tecnica passivattiva, in base alla struttura e alla posizione anatomica del muscolo da trattare, non limitare il lavoro di scollamento ad una determinata fissa posizione, ma applicare le manualità mentre il muscolo è in movimento attivato da una graduale contrazione o dall'azione di stretching. Nel caso che per diversi motivi non si possa applicare la tecnica dinamicamente, per impedimento biomeccanico o per dolore, trattare il muscolo variando quanto più possibile l'angolazione dell'articolazione associata.

Pare ancor più chiaro ora il motivo per il quale bisogna mantenere una certa lentezza durante l'esecuzione di tali manualità profonde. La velocità riduce la nostra sensibilità tattile, inoltre risulta poi difficile poter interrompere immediatamente l'esecuzione in caso di problemi e, cosa alquanto sgradevole, può evidenziare un certo fare sbrigativo nei confronti dell'atleta. Per scollare le aderenze tra muscolo/muscolo e muscolo/fascia, si hanno a disposizione diversi personali tool -utensili -a secondo del tipo di lavoro più o meno profondo da eseguire o in base alla struttura anatomica dei muscoli da trattare. A seguire alcuni esempi di quelli maggiormente impiegati. Notare ancora una volta come per una maggior efficacia della tecnica passivattiva si inizi sempre con le manualità di stroke per il riscaldamento e la percezione/rilevazione tattile dell'area da trattare che viavia diventano sempre più profonde.

Pollici, dita e nocche sono generalmente ottimi tool per lo scollamento dei tendini, come in questo caso per gli estensori delle dita dei piedi. Si esegue uno smile, tecnica di sfioramento profondo curvilinea. Tecnica che risulta molto efficace per atleti che fanno uso di scarpette strette (velocisti, calciatori, pattinatori, climbers etc.).

L'utilizzo delle nocche serve ad incrementare la pressione/forza rispetto alle dita e ai pollici quando richiesta dalla tecnica. Per esempio nel trattare i muscoli Peronieri e Tibiali se il lavoro deve essere profondo (ultima foto) l'uso delle nocche risparmia all'operatore un eccessivo stress articolare per le ultime falangi delle dita.

L'uso dell'avambraccio, del pugno o del gomito diviene necessario per la tipologia anatomica di taluni muscoli da trattare o quando si ha necessità di eseguire un lavoro profondo, che non vuol dire doloroso ma più efficace e risolutivo - non nel senso di sbrigativo.

Lo scopo della tecnica twist&roll, da preferirsi per i muscoli di media/piccola taglia, è di mettere in evidenza il muscolo in tutta la sua lunghezza: origine, ventre, inserzione mio-tendinea e sul periostio per quanto la struttura anatomica ci concede di eseguire. Questo tipo di lavoro serve, oltre che per il riallineamento delle fibre mio-fasciali, per rilasciare il muscolo dalle profonde aderenze così da poter essere libero di scivolare tra i tessuti profondi e le ossa, completando l'iniziale opera di scollamento superficiale. Questo è dunque il vero obbiettivo della tecnica passivattiva: ripristinare l'indipendenza e il completo ROM di escursione mio-fasciale, ribilanciare le tensioni articolari per poter erogare al meglio la forza-lavoro durante il gesto atletico o la prestazione sportiva.

Taping neuromuscolare (TNM)

Infine come ottimo supporto e in sinergia alla tecnica passivattiva voglio segnalare questa nuova e poco conosciuta tecnica di bendaggio: il taping neuromuscolare - TNM - che applicata sull'atleta dopo lo scollamento, va a completare il lavoro di rilascio miofasciale tramite una ulteriore e continua azione decongestionante sui muscoli trattati.

Grazie alle convoluzioni - grinze - che il tape esercita sulla cute viene mantenuto costantemente un vacuum sui sottostanti strati tissutali, permettendo così una libera circolazione della linfa, del sangue e dei liquidi interstiziali.

Quando richiesto, il Taping NeuroMuscolare rappresenta una potenzialità dalle molteplici applicazioni tale da essere un compound nelle sedute di massaggio sportivo.

Per approfondire: Tecnica passivattiva nello scollamento mio-fasciale: Tronco e Arti Superiori