Tecnica passivattiva nello scollamento mio-fasciale: Tronco e Arti Superiori

Tecnica passivattiva nello scollamento mio-fasciale: Tronco e Arti Superiori
Ultima modifica 03.07.2023
INDICE

Questa seconda parte della tecnica passivattiva vuole ancor di più chiarire come sia importante l'utilizzo delle manipolazioni mio-fasciali come contributo al miglioramento delle performance sportive per gli atleti. Tale lavoro si prefigge di collegare alcune mie esperienze di massaggiatore-bodyworker  sportivo con gli aspetti tecnico-scientifici di alcuni studi di ricerca nel settore Sports&Med, con la collaborazione e l'aiuto di illustri addetti ai lavori.

Un breve introduttivo accenno al significato di connettività propria dei tessuti connettivi, tra cui la fascia, che andremo a trattare con tecniche e manipolazioni.

Tale sistema ha due ben distinte tipologie di connettività: una meccanica e l'altra funzionale.

La prima esclusiva dei tessuti più fibrosi e resistenti, serve per il sostegno e la protezione dei vari organi del corpo e di collegare stabilizzando tra loro i vari tessuti.

La seconda esclusiva dei tessuti con maggior contenuto di acqua, più sostanza di base, molto meno denso e robusto, quindi più fluido e consono al trasporto dei nutrimenti e alla difesa dagli agenti esterni.

Il sistema connettivale, visto come catene fasciali o treni fasciali a seconda delle preferenze, è ormai concepito come il distributore e l'armonizzatore delle forze espresse dai muscoli - sistema contrattile.

Come ho già avuto modo di definire in un precedente lavoro, la fascia sotto l'aspetto atletico-sportivo si comporta come il direttore d'orchestra del nostro corpo, capace di gestire i diversi elementi motori, SNC-Muscoli-Scheletro, senza il quale i nostri movimenti sarebbero molto simili a quelli poco eleganti di un robot, ovvero senza armonia e fluidità nei gesti.

Se con una visione semplicistica facciamo coincidere il corpo umano a un violoncello, pensiamo allo chassis come allo scheletro; l'archetto alla forza muscolare, chi lo muove il SCN; infine le corde che lo percorrono dal basso verso l'alto, come i treni/catene fasciali. Su di esse, le corde, si distribuiscono uniformemente le forze muscolari prodotte dall'archetto e che per induzione trasmettono anche la vibrazione ( forza ) a tutto lo strumento. Le dita del musicista premute in varie zone del manico del violoncello, sono come i punti di intersezione variazione di massa-dimensione-densità tissutale, dove viene modulata-scaricata parte della forza ritrasmessa dalla fascia. Se tutto ciò avviene in armonia e sinergia tra le parti, otterremo un piacevole suono, in altre parole se il corpo è ben allenato, quindi armonico e sinergico nelle sue parti, avremo una buona prestazione atletico-sportiva.
La fascia assume a mio parere la parte più rilevante in questo concerto di parti, dirigendo e trasmettendo con armonia, attraverso i suoi treni/catene fasciali, le forze muscolari in tutto il corpo.

Ora serve che lo strumento debba essere sempre ben mantenuto se a esso si richiede un buon rendimento.

Vien da se che la manipolazione e il massaggio sportivo, con la preparazione atletica, sono mezzi importanti per mantenere accordato  e in equilibrio il corpo, ma anche per la manutenzione di routine per correggere le anomalie dovute a overuse-overload.

Come espresso nella prima parte della tecnica passivattiva, è quindi ben chiaro che l'inattività, la ripetitività e il sovrallenamento, modificano negativamente la funzionalità del muscolo e del tessuto connettivo nelle sue varie forme da
mio-tendinea-aponevrotica a capsulo-legamentosa, fino nell'intimo legame fascia-fibre muscolari-nervose, data l'ormai riconosciuta indissociabilità tra muscolo e fascia.

A livello pratico che cosa provocano queste situazioni di addensamento con aumento della fibrosità del tessuto connettivo ( TC ) che riveste o è contiguo ad un muscolo? Consegue un aumento della forza di resistenza passiva all'allungamento muscolare data la perdita di elasticità della guaina fasciale o del TC adiacente; per cui minore escursione mio-fasciale, conseguente retrazione e stiffness, in definitiva si instaura una diminuzione sensibile della funzionalità biomeccanica muscolo-articolare. Questa condizione è apprezzabile sia dallo sportivo che si sente legato nel compiere un gesto atletico, che dall'operatore durante l'esecuzione di semplici test muscolari e di ROM articolare.

La fibra muscolare è composta da una sequenza di parti contrattili e di parti non contrattali (quest'ultime di tessuto conntettivo). Facendo riferimento alle leggi fisiche sulle deformazioni dei corpi elastici e plastici, risulta che le componenti contrattili della fibra muscolare si comportano come elementi elastici; di conseguenza dopo la deformazione in compresssione dovuta alla contrazione tornano sostanzialmente nelle condizioni di partenza. Al contrario, le componenti non contrattili di tessuto connettivo si comportano come materiali plalastici; ne consegue che se una deformazione in compressione avverrrà con una forza e per un tempo sufficienti a superare la soglia della curva delle deformazioni elastiche entrando in quella delle deformazioni permanenti, al tessuto connettivo restituirà una deformazione permanente in accorciamento.

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 Difatti, in un muscolo con un imbrigliamento reciproco più serrato delle fibre di actina e miosina e addensamento del tessuto connettivo che diviene fibroso, si traduce in un aumento della forza di resistenza passiva di questo muscolo, una diminuzione della capacità elastica, una diminuita resistenza funzionale".

Questi addensamenti di collagene e fibrosità, sono aree che hanno bisogno di trattamenti manipolativi per mantenere una fisiologica elasticità/flessibilità specie dopo un evento traumatico o un ciclo di lavoro/allenamento intensivo/ripetitivo mirato a uno specifico distretto muscolo-articolare.

A tal proposito durante la ricerca di materiale per documentare e approfondire la materia trattata, la mia attenzione è stata rapita dalla visione di una dissezione ad opera del Dipartimento di Anatomia e Fisiologia Umana dell'Università di Padova (3), dove sono messe a confronto la muscolatura in forma  nuda  e fasciata, con la sintesi della relazione  "Studio anatomico della continuità miofasciale " (C. e A. Stecco), presentata al Primo Congresso Internazionale di Ricerca sulla Fascia, tenutosi nell'ottobre 2007 ad Harvard, Boston USA.

In seguito mi ha colpito la definizione di  espansioni miofasciali dei muscoli, che sono l'oggetto dello studio e della ricerca. L'aiuto prezioso avuto da Luigi Stecco, uno dei primi studiosi e operatori nel campo della fascia, per approfondire la fisiologia e i meccanismi, inerenti le varie forme di TC, mi ha portato a meglio comprendere e chiarire il modo in cui le manipolazioni mio-fasciali, come anche la tecnica passivattiva, agiscono migliorando uno stato fisico-atletico non ottimale.

Grazie a Stecco sono scaturite alcune considerazioni che a mio modesto parere devono assolutamente far parte del bagaglio scientifico di un bodyworker sportivo ed esser tenute ben presenti durante il lavoro mio-fasciale che si esegue su di un atleta.

Quando con la manipolazione si tratta un TC fibroso, o meglio ancora le densificazioni presenti nelle  espansioni mio-fasciali , la pressione esercitata e il calore indotto sono in grado di  ammorbidire  la  Sostanza Fondamentale  della fascia, che può quindi passare da uno stato fisico di gelificazione ( gel  ) ad uno stato più solubile ( sol  ) permettendo anche la rottura delle eventuali aderenze tissutali. Collagene ed elastina spesso si trovano insieme, ed è la loro interazione che da luogo alle proprietà viscoelastiche del tessuto connettivo. Il grado di viscoelasticità dipende dalle quantità relative di collagene, elastina e ground substance * (Arti Ahluwalia).

* La gelatinosa "sostanza fondamentale" che concorre a costituire insieme al Collagene e all'Elastina, la "matrice extracellulare" - MEC - sia nei "tessuti molli" sia in quelli "duri mineralizzati" consiste principalmente di proteine PoliSaccaridi, o GlicosAminoGlicani (GAG), che servono come sostanza cementante tra le fibre di Collagene e di Elastina.

"Il collagene maturo è suscettibile di glicazione non enzimatica e i prodotti che ne risultano vengono ulteriormente trasformati in composti cross-linkati che possono successivamente inibire il turn-over del collagene " ( A. Scherillo ).

E' bene precisare che solo il TC è plastico e malleabile, proprietà  tixotropica  del collagene, e non il tessuto muscolare; spesso si intende per fascia solo lo strato aponevrotico che circonda gli arti, invece è fascia anche l'epimisio-perimisio-endomisio. E' questo scheletro collagenico  del muscolo che subisce la sovrasollecitazione o sindrome da sovrauso e il danno acuto. Mi piace ricordare sempre l'importanza che il collagene ha nel nostro corpo usando questa citazione: " il collagene è uno delle più ubiquite proteine nel corpo. E' l'elemento strutturale di base e supporta cariche nella pelle, vasi, tendini, legamenticornea, ossa ecc. Ha un' importanza nel nostro organismo quanto l'acciaio nel mondo tecnologico".

A un TC indurito e fibroso, le manualità inducono una normalizzazione dell'elasticità per via della proprietà viscoelastica della sostanza fondamentale  oltre che  rompere gli incollaggi aderenziali -  cross-links  -  creatisi coi tessuti adiacenti, ripristinando il fisiologico movimento muscolo-articolare. Di seguito un altro esempio empirico e semplicistico ma esemplicativo  del cambiamento viscoelastico indotto con una tecnica di manipolazione mio-fasciale:

Ovviamente non è possibile effettuare un release  mio-fasciale su tutte le strutture di TC presenti nel corpo umano.

Infatti, come viene ben messo in evidenza da Robert Schleip in "Three-dimensional mathematical model for deformation of human fasciae in manual therapy", per poter avere un apprezzabile cambiamento viscoelastico del tratto Ileotibiale (ITB) servirebbero decine e decine di kilogrammi di forza-peso indotte da una manipolazione, il che risulta per ovvie ragioni impossibile da applicare.

In effetti secondo la mia esperienza, e penso anche quella di molti altri operatori, trattando ITB tract come abbiamo visto nella prima parte della passivattiva, con la manualità di stripping  eseguita col pugno, dopo qualche minuto sia per l'operatore che per l'atleta non è difficile sentirne il creeping o il popping  di un release mio-fasciale. Che cosa è avvenuto allora, cosa abbia indotto la nostra manipolazione?

Parlando con Schleip a tal proposito, siamo d'accordo nell'affermare che probabilmente la parte esterna aponevrotica dell' ITB è strutturata in maniera diversa dal core , con una possibile diversità di densità e disposizione delle fibre di collagene.

Probabilmente, poiché al momento mancano precisi studi istiologici. Per cui il release che percepiamo è dovuto allo spezzarsi dei crosslinks  mio-fasciali,  quei ponti che si formano tra i vari strati tissutali costituiti da deboli Legami ad Idrogeno Forze di Van der Waals che appunto determinano le aderenze.

In accordo con la proprietà visco-elastica della Matrice Extracellulare ( MEC ) possiamo concludere che gli effetti indotti dalla manipolazione, provocano dei cambiamenti sensibili come la rottura dei cross-links e la variazione dell'idratazione della MEC che permettono all'operatore di sentire il rilascio mio-fasciale anche per questi densi tessuti connettivi come il tratto Ileotibiale.  Non si riuscirà a modificare la densa struttura fibrosa, ma sicuramente i suoi legami aderenziali e la matrice gelatinosa nella quale essa è dispersa e avvolta.

Studi rilevano la differenza di forza di tenuta nei crosslinks aderenziali tra un tessuto fasciale con maggior percentuale di elastina o meno. La forza dei legami dell'elastina è molto minore rispetto a quella delle fibre di collagene, per cui è più facile un release mio-fasciale per quel tipo di connettivo.

Piccola parentesi giusto per ricordare i valori di forza in gioco tra l'effettuare un cambiamento viscoelastico o la rottura / deformazione ( strain )  di un tessuto connettivo fibroso. Se questo si presenta con fibre di collagene allineate e parallele, in pratica le strutture tendinee e legamentose, esso sopporta tensioni elevate con carico di rottura tra 75 e 100 MPa.

Nel caso le fibre di collagene siano orientate random, come nella pelle ad esempio, il carico di rottura scende a 1-20MPA (Rizzuto, Del Prete) .

Mentre nel caso di un cambiamento viscoelastico durante una manipolazione mio-fasciale, sempre semplificando, sappiamo che già dopo alcuni minuti per un'area modesta e con carico di pochi kg di forza-peso applicata, si ha un cambiamento dello stato fisico della sostanza di base, ovvero una fluidificazione di quel gel di polisaccaridi, acqua, proteineacido ialuronico etc., dove le fibre di collagene e quelle elastiche sono disperse.

Ma non solo. La manipolazione fasciale esercita un effetto sul ripristino della  propriocettività.

A dare manforte a queste considerazioni evidenziandone il preciso fondamento scientifico, ritorno al superbo lavoro di ricerca "Histiological study of deep fascia of the limbs" fonte di alcuni interessanti aspetti del sistema mio-fasciale di estrema utilità al knowhow di uno sports-bodyworker per impostare le proprie tecniche di manipolazione.

Riporto solo alcuni aspetti dei risultati dello studio, del quale consiglio la visione integrale. Tra i primi vorrei riferire delle misurazioni morfometriche eseguite sulla fascia profonda, quello strato di TC a stretto contatto con i muscoli. Gli strati in questione sono quelli relativi alla fascia della coscia e a quella brachiale. Lo strato di tessuto fasciale non si presenta distribuito uniformemente, ma mostra un'apprezzabile differenza di densità (spessore) lungo i tratti presi in visione. Lo strato relativo alla coscia evidenzia un incremento della fascia profonda dalla zona cruro-inguinale ( più sottile ) che scendendo verso l'articolazione del ginocchio si fa sempre più densa, arrivando a misurare uno spessore di più del doppio rispetto alla parte iniziale. Oppure come riporta il secondo campione, relativo alla fascia brachiale, che denota una differenza di spessore minore nella sua parte anteriore e maggiore per quella posteriore, con un aumento di densità dalla regione distale a quella prossimale. Il frutto di questa misurazione morfometrica della fascia profonda, risulta di grande aiuto all'operatore nel valutare a priori come poter impostare le pressioni di un lavoro manipolativo mio-fasciale per la normalizzazione  di una eccessiva densificazione in un comparto muscolare dovuta a overuse, sovraccarico o elevata ripetitivitàdi un gesto atletico.

Penso che sia di estrema utilità conoscere come e dove varia la densità delle fibre di collagene nel TC a stretto contatto con i muscoli, sia per ottenere una miglior efficacia dalle nostre tecniche, che per un evidente risparmio di energie da parte dell'operatore.

Un altro aspetto molto utile per noi operatori sportivi, evidenziato dai risultati della ricerca, è quello che si riferisce a come la fascia profonda è organizzata strutturalmente . Alcune immagini sono molto esemplicative e mostrano come s'incrocino tra loro i vari fasci di fibre di collagene, fino ad ottenere una struttura molto resistente alle trazioni e molto adattabile agli allungamenti cui è sottoposta, nonostante la poca presenza di fibre elastiche (meno del 1%), assumendo una caratteristica forma a onda  che ne aumenta di fatto l'elasticità/flessibilità.

Un successivo studio di ricerca condotto da Carla Stecco, "Modello per la misura dei parametri della fascia profonda", spiega ulteriormente come la potenzialità e adattabilità della fascia sia realmente eccezionale. Tale proprietà elastica e resistente allo stesso tempo pare sia dovuta all'orientamento delle fibre di collagene tra i vari strati adiacenti dei foglietti fasciali, con angolo di circa 78°. Questa precisa disposizione, spiega l'autrice, fa si che lo strato fasciale abbia ottime proprietà biomeccaniche, poiché assume la capacità di essere elastico in tutte le direzioni di sollecitazione.

Grazie a quest'angolazione strutturale, succede che le forze di trazione, di compressione e di taglio applicate sul muscolo, vengano ripartite anche sulla fascia profonda senza che essa offra troppa resistenza negativa nonostante l'esiguo numero di fibre elastiche presenti. In più tale struttura permette lo scorrimento ottimale tra i vari strati/lamine fasciali (fascial layers).

Questo ci aiuta a spiegare come sia diverso l'approccio, impostazione/esecuzione ,tra un massaggio mio-fasciale sportivo rispetto a uno tradizionale. Quest'ultimo basato su manualità di detensione, battiture e spremiture, che risulterebbero inutili o poco efficaci se eseguite sulla fascia. Mentre questa  necessita di un lavoro fatto con manipolazioni precise e specifiche, atte a variare la sua proprietà viscoelastica, cercando di normalizzare le fibrosità e densificazioni prodotte da sovraccarichi, tensioni, traumiaderenze e cicatrici.

Qui mi aggancio ancora allo scambio di vedute in merito alla tecnica  passivattiva, avute con Robert Schleip, come visto essere un altro grande esperto e ricercatore di fama internazionale della fascia. Come spiegato nella prima parte della mia tecnica, una delle prerogative è di manipolare per quanto possibile tutto il muscolo e dintorni, ossia quello che ho appreso essere definite le  espansioni mio-fasciali.

La manualità è applicata a 360° in maniera ampia e il più possibile avvolgente: sopra, sotto, lateralmente fino alle  periferie muscolari  durante le fasi di cambiamento dimensionale del muscolo dettate da contrazione, allungamento e rilascio, sia attivate dall'atleta stesso, che passivamente quando l'operatore lo aiuta nel movimento di escursione muscolo-articolare. Così facendo non solo è possibile influire sulla circolazione dei fluidi nella sostanza di base che, per quanto di essa si conosce ancora  poco, ora più che mai si è certi degli importanti cambiamenti indotti per l'effetto dell'idratazione dinamica provocata dalla manipolazione
mio-fasciale. Per esempio l'incremento della rigenerazione dei GAG - GlicosAminoGlicani - che essendo molto viscose e si estendono e si legano anche alla membrana cellulare, dove grazie alla presenza di H2O sono incomprimibili quindi ideale oltre che come supporto e mezzo che conduce nutrimento, anche per la lubrificazione  permettendo il fisiologico scorrimento tra i vari fascial layers del TC. Se dopo il trattamento di manipolazione facciamo passivamente o chiediamo all'atleta di fare esercizi di mobilizzazione per l'area interessata, sono più durevoli gli effetti ottenuti, stimolando in più il fisiologico turnover del collagene ( Brad Hiskins).

Questa tecnica di sports-bodywork, passivattiva, è inoltre capace di stimolare i diversi meccanocettori situati sia nei tessuti profondi sia in quelli limitrofi (espansioni), vista la dinamicità e la grande superficie mio-fasciale trattata, migliorando di fatto il sistema propriocettivo a vantaggio di una stabilità muscolo-articolare del gesto atletico o nella fase di riatletizzazione.   


Prendo a prestito il termine Induzione Miofasciale  caro a Maurizio Cosciotti, collaboratore del Prof. A. Pilat e  co-autore dell'omonimo libro, che mi torna utile per finalizzare tutte le considerazioni fatte sinora con una mia recente esperienza.
E' curioso come tutte queste induzioni prodotte da una manipolazione mio-fasciale, soprattutto per l'input propriocettivo esercitato, le abbia direttamente riscontrate ancor prima di conoscere, studiando più a fondo, il meccanismo fisiologico del cambiamento chimico-fisico che avviene appunto nelle aree manipolate. E' stata dunque, quanto meno apprezzabile dal vivo, l'esperienza avuta nel seguire l'evoluzione di sub-lussazioni alla spalla accorse ad alcuni dei miei rugbysti.

Ahimè sei spalle fuori uso  nei primi mesi della stagione, a parte una frattura alla clavicola le altre cinque non sono state di grave entità. E' ovviamente occorso il normale iter: pronto soccorso, stop con immobilizzazione e visita ortopedica, riabilitazione dal fisioterapista e riatletizzazione col preparatore atletico e il preparatore fisico. Quest'ultima figura, il sottoscritto nella fattispecie, che così amo definire chi nell'ultima fase, quella post-terapeutica dell'iter, assiste e lavora fisicamente con le proprie mani sul corpo dell'atleta. Bene allora, tre degli atleti erano recidivi alla sub-lussazione, anche se per l'altra spalla, che era stata seguita in parte con lo  stesso iter diagnostico-terapeutico, ma senza la figura del preparatore fisico (bodyworker massaggiatore). Ovvero una volta terminate le sedute di fisioterapia, era lasciato all'atleta il classico programma da svolgere a casa : elastici, stretching, esercizi di Codman e mobilizzazioni varie.

Come riportato dalla casistica e confermato dalla mia lunga esperienza, il 60% degli atleti per la voglia di tornare in attività e bruciare il normale tempo necessario, a malapena si applica per una settimana/dieci giorni. Del restante 40% una metà arriva alle 2 settimane complete di lavoro a casa più o meno eseguito scrupolosamente, l'altra metà cioè circa il 20% completa per intero il programma consigliato dal terapista o medico sportivo.

Secondo questi dati sappiamo tutti bene quali poi siano i tempi, le lungaggini ma soprattutto la qualità del ritorno all'attività atletica dopo un approssimativo e sbrigativo  programma di lavoro fai da te.

Voglio riportare alcuni dati epidemiologici forniti al corso cui ho partecipato di " Patologia traumatica e da sovraccarico nello sport: nuovi percorsi terapeutici "  organizzato dall'U.O. di Ortopedia-Traumatologia del Presidio Ospedaliero di Giussano (MI), dove si evidenzia l'abnorme differenza su base annua d'infortuni tra la pratica sportiva e quelli legati alla strada. Questi ultimi sono in ragione di circa 94.000, che diventano circa 600.000 per la pratica sportiva.

Non sono stati presentati i dati relativi alle recidive nello sport, ma vista l'enormità della casistica è sicuramente plausibile una rilevanza numerica importante.

Prendo questi dati senza voler fare approfondimenti su come avvengano tanti infortuni, ma solo per ritenere possibile che un programma di riatletizzazione fatto in casa  possa andare ad alimentare quel dato preoccupante.

A tal ragione è bene ribadire quanto sia importante il contributo delle nostre tecniche per la vita sportivadegli atleti che seguiamo per scongiurare tali recidive, " quando un'articolazione è immobilizzata, il minore carico e scarico meccanico della cartilagine e dei tessuti circostanti interferisce con il normale ricambio delle cellule e degli elementi della matrice (MEC).

Questo ridotto stimolo si traduce in minore sintesi di proteoglicani. Di conseguenza, la perdita di matrice aumenta la vulnerabilità del tessuto all'infortunio quando si riprende la normale attività sportiva " (Elzi Volk).

Si conoscono bene da tempo gli effetti che l'immobilizzazione forzata per infortunio provoca su tendini e legamenti rispetto a quelli  sani e liberi nei movimenti.

Faccio riferimento a un vecchio ma preciso e valido studio di David Amiel dove si evidenziano importanti differenze dei valori nei grafici delle curve di deformazione tra un legamento collaterale di coniglio dell'articolazione del ginocchio libera, rispetto a quello con l'articolazione immobilizzata.

Quest'ultimo legamento evidenzia come con meno della metà di carico e con leggeri incrementi, subisca una deformazione seria. Così come anche è poi mostrato nel grafico di stress e strain eseguito sugli stessi.

Ciò a detta degli autori, non tanto dovuto alla perdita di trofia del tessuto connettivo,  se n'è riscontrata poca, ma alla qualità del collagene del legamento, dato che viene a modificarsi il fisiologico turnover degradato / risintetizzato  e il rapporto tra vecchio collagene e nuovo. Per tal motivo è da ribadire l'importanza che il massaggio e la manipolazione connettivale/fasciale hanno nel migliorare le caratteristiche fisiche del collagene aumentandone quindi l'efficacia meccanica e strutturale di tendini, legamenti o fascia che sia.

Ritorno alle mie spalle; questa volta oltre al lavoro svolto a casa, gli atleti sono stati da me settimanalmente seguiti o meglio assistiti dato che il grosso dell'impegno era loro. Il mio supporto è stato per le mobilizzazioni articolari, per i test muscolari, manualità per aumentare il microcircolo e il drenaggio, per eliminare rigidità, contratture e aderenze nell'area interessata e risolvere i problemi di compenso insorti in alcune parti del corpo.

Il lavoro secondo me efficace è stato quello fatto manipolando non tanto il ventre dei muscoli della cuffia e di quelli correlati all'articolazione rotatoria della spalla, ma la fascia in tutte le sue varianti ed espansioni mio-fasciali comprese.

Quindi un massaggio e una manipolazione molto più vasti in considerazione dell'intimo legame che esiste tra il TC denso e quello lasso, ricco di sostanza fondamentale, dove uno diviene la prosecuzione dell'altro creando importanti zone di transizione.

Visto in quest'ottica ho fatto si che la manipolazione trattasse il più possibile i vari aspetti del TC disponibile, tendini, legamenti, capsula articolare, fino alla periferia dei muscoli, le zone d'intersezione, congiunzione e sovrapposizione.

Sono gli hot spots , punti di lesione mio-fasciale o di sovraccarico, dove convergono le forze di tensione dei tessuti non più in tensegrità  della catena cinetica mio-fasciale riferita.

"Se non vengono ripristinati i dovuti equilibri, nel tempo il sovraccarico può determinare l'insorgenza di sintomi clinici, espressione di alterazioni anatomiche che si creano lentamente e in funzione del tipo di attività, della qualità del gesto" ... portando ad alterazioni e a errori nel complesso sincronismo della catena cinetica (G. Di Giacomo).

Nel giro di qualche settimana mi son sentito dire separatamente dai ragazzi, non collettivamente per cui senza influenza reciproca, che rispetto alla precedente riatlezzazione  sentivano la spalla più  attaccata  meno lassa, più sicura, tanto che autonomamente hanno sentito il bisogno di incrementare le ripetizioni e il carico negli esercizi.

Ora in base allo studio di approfondimento che ho fatto grazie alla vasta letteratura disponibile in rete e alle preziose spiegazioni di chi la fascia la vive, studiandola da anni, posso capire e dire senza scoprire l'acqua calda, di come sia fondamentale un lavoro di sports-bodywork mirato alle varie tipologie di TC dell'area da trattare anche sotto l'aspetto degli input propriocettivi indotti.
" La propriocezione comunque è fondamentale in quanto i segnali propriocettivi viaggiano più velocemente di quelli nocicettivi, e sono quindi molto importanti nella prevenzione delle lesioni articolari " (M. Cesena ).

Questo mi fa fermamente pensare che la mia esperienza non è stata un caso, ma il frutto di una precisa e ora conosciuta efficacia delle manipolazioni mio-fasciali o sports-bodywork cui  anche la tecnica passivattiva fa riferimento.

Questa  esperienza mi lascia soddisfatto in veste di massaggiatorebodyworker o preparatore fisico che dir si voglia, dato che il lavoro di appoggio e assistenza eseguito assieme all'atleta nell'ultima fase, ormai non più delicata essendo post-terapeutica, ma essenziale e mai da sottovalutare.

Non è da considerarsi facoltativo se si voglia tornare in attività con un certo margine di tranquillità psichica avendo ritrovato un ottimo supporto propriocettivo e fisico-atletico.

Ora più che mai sono convinto che il knowhow di un bodyworker sportivo deve avere il giusto mix di esperienze, ricerche e studi scientifici se si vuole ottenere la miglior efficacia dalle proprie tecniche mio-fasciali al servizio dello sportivo e dell'atleta, per aiutarlo nel ricercare la miglior performance o come supporto nella fase di riatletizzazione pur rimanendo sempre nei propri ambiti di intervento e limiti operativi.

Voglio terminare questo lavoro che mi è costato tanta piacevole fatica facendo una considerazione sul movimento fasciale che in Italia sta timidamente ma con molta determinazione cercando di uscire allo scoperto nel mondo dello Sports&Med. Timidamente solo poiché è davvero difficile trovare spazio, risorse e aiuti per fare ricerca e sperimentazione nell'affascinate campo della Fascia.
Condivido la preoccupazione del Ft Maurizio Casciotti nell'affermare che in Italia fin che non si capirà un certo discorso saremo tagliati fuori dalla ricerca che sta avvenendo in tutto il mondo a livello educativo.

Ne so qualcosa io, che non essendo né medico né terapista, ho sempre trovato vita dura qui in Italia, mentre da anni all'estero ho collaborazioni e aiuti da illustri scienziati, ricercatori e bodyworkers, tra i quali il premio Nobel per la Medicina lo straordinario Dottor Dave Simons.

Ma noi del movimento fasciale siamo determinati e ottimisti anche in visione di ciò che sta avvenendo in questi ultimi anni nella fascial world community sperando che anche il nostro paese possa contribuire al progresso comune di ricerca e sviluppo in questo campo affascinante.

Riporto a seguito un breve passo di un'intervista di Luigi Stecco per collegare tre movimenti fasciali Italiani che conosco, con molti punti in comune: Associazione Manipolazione Fasciale, ASSOTI Bodyworks e Induzione Miofasciale.

" ... solo una mano, guidata da profonde conoscenze scientifiche, può risolvere bene e velocemente un problema muscolo-scheletrico. Più si hanno conoscenze, più si riesce a risalire alla causa di un dolore e di una disfunzione articolare. Non c'è niente di magico".
Auspico a tutto il movimento fasciale in Italia, un continuo e sempre più attivo scambio di idee ed esperienze finalizzato non solo nel  miglioramento delle tecniche, ma in una visione di più ampio respiro internazionale per la salute, lo sport e lo star bene.

Sempre grazie allo studio citato di Carla Stecco, sappiamo che la fascia degli arti si presenta multistrato ed è molto spessa, mentre la fascia del tronco è monostrato sottile e adesa ai muscoli, come per esempio lo è per i muscoli G. Pettorale,
G. Dorsale, Trapezio e G. Gluteo, dove appunto la fascia non è separabile dagli stessi. Di conseguenza l'approccio con le varie tecniche dovrà tener conto di questa situazione strutturale specifica per ottenere la massima efficacia e, cosa non da poco, un inutile accanimento nelle zone a bassa densità/spessore. Ricordo sempre con piacere un passo di un lavoro di Tom Myers, dove ribadiva nei preliminari l'importanza di cercare-palpare le zone di resilienza e adattabilità della fascia molto superficialmente prima di sbrogliare la matassa profonda. Ciò per evitare che andare troppo precocemente in profondità si rischia affossare ancor di più il problema piuttosto che risolverlo nel più breve tempo possibile.

Una precisa strategia di approccio in più l'aiuto dell'atleta che, secondo il fondamento della tecnica passivattiva, " lo coinvolge nel processo aumentando la propriocezione, per opera del fuso muscolare e dei recettori di stiramento, permettendo all'operatore di sentire con facilità quale livello di mio-fascia è stato agganciato " (T. Myers ).

Nello scollamento del m. Elevatore della scapola dai mm. romboidi, la direzione di release segue la spina della scapola. Per una maggior efficacia e in passivattiva si chiede all'atleta una leggera spinta con la fronte del capo sul torace dell'operatore. Questa tecnica permette di sentire molto bene il popping del release e mobilizzazione mio-fasciale.

Uguale lavoro ma con differenti tools per un diverso grado di profondità richiesta.

L'operatore deve cambiare la posizione della scapola per variare la condizione dei muscoli interessati, per lo stesso scopo l'atleta modifica la posizione del capo.

Il lavoro di allungamento per i mm. Romboidi e il trattamento della fascia scapolare si eseguono anche variando passivamente ed attivamente la posizione del braccio.

Lo scollamento dei bordi del m. Sottoscapolare dal m. G. Dentato possono favorire il ripristino del fisiologico scorrimento della scapola sulla cassa toracica. Con tale manualità si ottiene anche un discreto releaseper la fascia scapolare.

In aiuto per la prevenzione o per la fase di riatletizzazione, da alcuni anni, dove il caso lo richieda, è possibile fare uso del taping.

Grazie alle proprietà del nastro e alle sue convoluzioni, lo stato di release è mantenuto più lungo.

Per approfondire: Tecnica passivattiva nello scollamento mio-fasciale: arti inferiori