Ultima modifica 27.02.2020

Precari: per colpa di chi? E' indubbio che giustificare la propria coscienza a spese di terzi o attribuire ad altri le colpe della propria condizione disagiata sia, fra tutte, la soluzione spesso più comoda e semplice. La società, un qualche cosa di virtuale, a cui tutti apparteniamo, finisce il più delle volte per essere il capo espiatorio di tutti i nostri problemi. Per non parlare dei politici. Sicuramente, ci sono alcuni azionisti più responsabili di altri, ma per definizione se cerchiamo il colpevole dobbiamo anche guardarci allo specchio, perché tutti ne facciamo parte. Non è solo retorica, è realtà.
Assumersi il peso delle scelte, dei sentimenti e delle responsabilità non è da tutti; invece è molto più semplice andarsene in giro a destra e a manca attribuendo agli altri la colpa di quanto sbagliamo. Precari per colpa di chi?Così, per citare l'esempio di chi vi scrive, era molto più facile, dieci anni fa, pensare di non avere spazio per emergere in uno sport travolto dalle vicende doping piuttosto che dare tutto se stesso nelle gare e negli allenamenti. Sportivo precario perché non accetterò mai il compromesso di doparmi, precario perché non accetterò mai il compromesso di calpestare i miei colleghi per emergere. Precario per colpa degli altri, precario per colpa della società. Uno stereotipo che si trasforma in profonda convinzione, fino ad impedirti di sfruttare al meglio le potenzialità che hai avuto in dono, di dare il massimo in gara, negli allenamenti e nella vita, fino a farti diventare una persona che assiste immobile e rassegnata alle sventure che sta alimentando. E' proprio  questo il problema. Pretendere che tutti ci diano da mangiare, dimenticare come vivevano i nostri nonni, attribuire agli altri la colpa della nostra condizione dimenticando che noi siamo la comparsa, lo sceneggiatore, l'attore protagonista ed il regista della nostra vita. Qualcuno ha delle colpe, è indubbio, è un mondo difficile ed ingiusto, la fortuna è importante ma... se ci trasferiamo in montagna la natura ci ha dotato di una serie di difese fisiologiche per evitare di morire assiderati, ci ha dato l'intelligenza e la creatività per migliorare sempre più la nostra condizione. Ci ha dato la capacità di adattarci. Se ci rassegniamo alla condizione di precariato e se tutto ciò ci impedisce di vivere bene, è come se ci lasciassimo morire di freddo in montagna senza sfruttare ciò che la natura ci ha donato. A conti fatti saremmo quindi morti anche per colpa del freddo, ma soprattutto saremmo morti per colpa nostra.
Una laurea con lode grazie ad una famiglia che gli ha permesso di portarla a termine, ma anche grazie a vacanze estive regolarmente passate tra i turni di uno zuccherificio locale. Ad attenderlo, dopo gli studi, il solito contratto di collaborazione, 16 ore alla settimana a 40 km da casa; una situazione comune, diffusissima, per molti aspetti deprimente. Questo ragazzo avrebbe potuto riempire youtube di video contro il politico di turno, dando scioccamente a lui la colpa della propria condizione; avrebbe potuto scendere in piazza, protestare, partecipare a tutte le riunioni del suo partito, trasformare le proprie frustrazioni in odio sociale, smarrendo il senso della ragione. Nel frattempo gli anni sarebbero passati, sarebbe sempre rimasto un precario, ma nel frattempo sarebbe divenuto meno bello ed attraente. Non avrebbe nemmeno più potuto fare il velino! Invece, il nostro ragazzo, come altri, ha avuto la fortuna, la capacità ed il privilegio di costruire nel suo piccolo, con un senso di onestà e dedizione, qualcosa che lo appagasse di quanto fatto, senza bisogno di calpestare, truffare o sfruttare nessuno. Fortuna e privilegio, ma anche capacità, senso critico e determinazione. Ed uscendo dal contesto prettamente lavorativo, e con questo concludo, credo che il principio della responsabilità valga anche per tutti gli altri aspetti della nostra vita. Single precari, perché il portafoglio non è così pieno e l'addominale non così scolpito come quello che ci viene proposto; single precari per lontananza da un modello sociale o per colpa nostra, che disseminiamo frustrazione quando c'è solo bisogno di sorrisi e vitalità?  C'è chi cede al compromesso di evadere le tasse, c'è chi cede al compromesso di truffare e ricattare, c'è chi cede al compromesso della chirurgia estetica, c'è chi fa molto di peggio, ma anche chi non cede al compromesso di svendere la propria onestà ed i propri principi. Se rientrate in quest'ultimo caso, decidete quale maschera indossare domani mattina. Nessuno impedisce ad un precario di essere felice, di prendere la vita con filosofia, né di migliorare la propria condizione; nessuno lo impedisce, anche se tutto ciò potrebbe richiedere tempo e tanti sacrifici che in pochi sono realmente disposti a fare; quel che è certo è che se domani mattina indosserete la maschera sbagliata, se la paura, la tristezza, la rassegnazione e il disagio domineranno le vostre scelte e le vostre relazioni, l'esperienza del precariato - lavorativa ed extralavorativa - sarà probabilmente ancora molto lunga.