Alzheimer - Trattamenti per i Disturbi del Comportamento e Terapie Alternative

Ultima modifica 23.01.2020

A cura della Dr.ssa Sarah Beggiato

Disturbi del comportamento in un paziente con morbo di Alzheimer

I disturbi del comportamento, dell'umore e i sintomi psicotici, che spesso accompagnano l'individuo colpito da morbo di Alzheimer, non sono unicamente causati dalla degenerazione cerebrale ma anche dal modo in cui il malato si adatta alle sue progressive incapacità. Alzheimer - Cure e SupportoIn generale, i disturbi comportamentali cominciano con piccoli cambiamenti e progrediscono poi fino a provocare seri disturbi sociali. Questa situazione può compromettere in modo serio la cura e la salute del paziente e comprende stati di agitazione, aggressività, irrequietezza, insonnia e il vagare senza una meta. Il paziente affetto da morbo di Alzheimer, inoltre, è a maggior rischio allucinazioni e delirio. I disturbi comportamentali a cui maggiormente un malato di Alzheimer va incontro, sono ansia, apatia e depressione.

Per i sintomi quali allucinazioni e delirio, sono utili i farmaci antipsicotici. In particolare, normalmente, questi si possono distinguere in antipsicotici di vecchia generazione, il cui utilizzo deve essere limitato a condizioni di particolare emergenza e comunque per un periodo limitato di tempo, e quelli cosiddetti di nuova generazione o atipici. Questi ultimi vengono utilizzati per trattare i disturbi comportamentali delle demenze e presentano minori effetti collaterali, come sedazione o rallentamento motorio, rispetto ai farmaci di vecchia generazione.
Tra i farmaci di nuova generazione più comunemente utilizzati si trovano Abilify, Clorazil, Zyprexa, Seroquel e Risperdal.
E’ importante sottolineare che i pazienti affetti da morbo di Alzheimer presentano un rischio maggiore di sviluppare effetti avversi, tra cui la sindrome metabolica, un insieme di fattori di rischio metabolici che aumentano la possibilità di sviluppare malattie cardiache, ictus e diabete.
E’ stata anche segnalata l’insorgenza di sindrome neurolettica maligna, caratterizzata da ipertermia, rigidità muscolare e alterazione dello stato di coscienza.
Uno dei farmaci antipsicotici più recenti, approvato dalla commissione europea nel 2010, Sycrest (in Europa) o Saphris (negli USA), ha mostrato risultati promettenti nel trattamento dei sintomi neuropsichiatrici che possono insorgere nei malati di Alzheimer. I risultati promettenti ottenuti con questo farmaco sono probabilmente dovuti al fatto che provoca minimi effetti avversi  cardiovascolari e anticolinergici, così come un minimo aumento ponderale (aumento di peso).

Nei pazienti con morbo di Alzheimer, anche la depressione è molto comune, poiché l’individuo colpito si trova di fronte a diverse reazioni emotive che comprendono paura, terrore e abbattimento, scatenate dal declino cognitivo a cui la malattia conduce progressivamente con perdita della propria indipendenza. I segni e i sintomi della depressione, nel malato di Alzheimer, sono molto difficili da riconoscere, perché alcuni caratteri sono tipici anche della malattia di Alzheimer, come anoressia, insonnia, perdita di peso ponderale e anedonia.
Se questi sintomi caratterizzati da un disturbo dell’umore sono presenti e compromettono la qualità della vita, innanzitutto dovrebbe essere attuato un approccio di tipo non farmacologico, successivamente supportato da farmaci antidepressivi. Generalmente questi farmaci sono indicati nel trattamento della depressione e spesso possono essere utili per distinguere la “classica” depressione che risponde al trattamento, da quella che prelude alla successiva evoluzione in demenza, la cui risposta al farmaco è invece assai dubbia.
Tra i farmaci antidepressivi utilizzati vi sono:

  • Gli inibitori selettivi del re-uptake della serotonina (SSRIs): in genere sono considerati la prima scelta, grazie al basso profilo degli effetti avversi rispetto ad altre classi di antidepressivi. Tra gli SSRIs vi sono Celexa, Lexapro, Zoloft, Prozac, Paroxetina.
    Gli effetti collaterali degli SSRIs sono in genere di natura gastro-intestinale e possono essere gestiti iniziando con un dosaggio basso, che poi può essere aumentato o diminuito gradualmente.
  • Un altro farmaco antidepressivo con struttura tetraciclica, il Remeron, è un α2-antagonista presinaptico, che aumenta la trasmissione noradrenergica e serotoninergica a livello del sistema nervoso centrale. Il Remeron è risultato utile in pazienti affetti da morbo di Alzheimer che presentavano depressione associata ad insonnia, poco appetito e perdita di peso. E’ da considerare, però, che questo farmaco potrebbe dimostrarsi una scelta sbagliata nel caso di pazienti sovrappeso o a rischio di sindrome metabolica che presentano diabete mellito.
  • Inibitori del re-uptake della serotonina e della noradrenalina (SNRIs). Tra questi troviamo Effexor, Pristiq, Cymbalta. In particolare, questi farmaci possono essere utili in pazienti affetti da morbo di Alzheimer e già in trattamento con farmaci per il dolore, in particolare per l’artrite.

Gli inibitori del re-uptake della serotonina e della noradrenalina devono però essere evitati in soggetti con ipertensione; inoltre possono aggravare i disturbi d’insonnia.

Se il soggetto affetto da morbo di Alzheimer mostra sintomi di mania o sbalzi d’umore, sono necessari farmaci stabilizzanti dell’umore. Occorre però adottare molte precauzioni nell’utilizzo di questa classe di farmaci, a causa dei potenziali effetti collaterali. Si ricordano in questa categoria di farmaci: Depakote che interessa pazienti a rischio di aumento di peso, iperglicemia e iperlipidemia. Questo farmaco, però, è associato anche ad un peggioramento delle funzioni cognitive.

Un altro farmaco stabilizzante dell’umore è il Tegretol che si è dimostrato in grado di ridurre l’aggressività. Tuttavia il suo utilizzo richiede il monitoraggio delle funzioni vitali ed ematiche. E’ inoltre un farmaco difficile da dosare poiché altera il metabolismo di molti altri farmaci, così come il metabolismo del farmaco stesso.

Nel caso in cui un malato di morbo di Alzheimer manifesti disturbi del sonno, è preferibile un intervento di tipo comportamentale rispetto alla terapia farmacologica. Infatti chi assiste un paziente colpito da morbo di Alzheimer deve educare il paziente incoraggiando comportamenti utili a stabilire un buon ritmo sonno-veglia. Alcuni farmaci possono essere utili per un miglioramento del sonno. Tra questi, ad esempio, risultano utili la melatonina, presente in numerosi farmaci sopra il banco (OTC, Over The Counter”). Un altro famraco utilizzato è Trittico, un antidepressivo che è altamente sedativo e che può essere usato in sicurezza a basse dosi per migliorare la qualità del sonno.
Le benzodiazepine, invece, non sono consigliate in individui affetti da morbo di Alzheimer, a causa degli effetti avversi, tra cui un peggioramento delle funzioni di memoria, progressiva perdita della coordinazione muscolare (atassia), disinibizione e sonnolenza.

Terapie Alternative e Complementari

Essendo il morbo di Alzheimer una malattia neurodegenerativa progressiva e multifattoriale, si cercano anche approcci terapeutici alternativi e complementari. Queste nuove terapie, in genere, non vengono sottoposte alle tipiche indagini scientifiche, che prevedono l’approvazione della FDA; tuttavia molte di queste terapie vengono raccomandate dai medici, ma anche da altri specialisti, soprattutto per quanto riguarda casi di anziani che, insieme al morbo di Alzheimer, manifestino anche delle classiche malattie cardiovascolari e diverse forme di artrite.
Ad esempio, alcuni studi epidemiologici hanno dimostrato che l’aspirina ed altri farmaci antiinfiammatori non steroidei potrebbero essere in grado di “proteggere” dal morbo di Alzheimer e da altre forme di demenza. Studi condotti su animali, infatti, hanno dimostrato che utilizzando degli antiinfiammatori non steroidei si osservava una soppressione di β-amiloide, che come precendentemente introdotto risulta presente sotto forma di placche nel cervello affetto da morbo di Alzheimer. Tuttavia, studi randomizzati condotti in gruppi di individui, utilizzando antiinfiammatori non steroidei, non ha dato risultati soddisfacenti. Inoltre, occorre ricordare che sia l’aspirina che altri antiinfiammatori non steroidei, comportano rischio cardiovascolare, emorragia gastrointestinale e problemi ai reni. Perciò, questi farmaci, non devono essere indicati esclusivamente per il trattamento del morbo di Alzheimer, ma devono essere utilizzati per un uso concomitante, ad esempio come antitrombotico a basse dosi, solo su indicazione medica.

E’ stato anche suggerito da recenti studi che, nel morbo di Alzheimer, lo stress ossidativo avrebbe un ruolo chiave, anche se non è ancora stato chiarito se questo sia un evento patogenico primario o se invece sia un evento secondario all’attivazione di meccanismi patogenici. In pazienti affetti da lieve danno cognitivo, sono stati trovati aumentati livelli di stress ossidativo. Questo indica che probabilmente si tratta di un fenomeno coinvolto in modo precoce e causale nel processo neurodegenerativo. In seguito ad una maggior assunzione o ad elevati livelli plasmatici di antiossidanti, alcuni studi osservazionali hanno riscontrato un ridotto rischio di demenza. Perciò l’utilizzo di sostanze ad attività antiossidante potrebbe risultare un approccio razionale per la prevenzione e per il trattamento del morbo di Alzheimeri.
Tra queste sostanze, meritano attenzione le vitamine A, C ed E, il ben noto Coenzima Q10, l’idebenone, l’acetilcisteina, la selegilina, il ginkgo biloba ed il selenio. Tuttavia, i dati attualmente disponibili circa la loro efficacia sono negativi o inconcludenti; una spiegazione a tali risultati potrebbe risiedere, almeno in parte, in problemi di tipo metodologico, come ad esempio una durata del trattamento inadatta, l’impiego di dosaggi non ottimali, una finestra terapeutica errata e altri ancora. I risultati sperimentali, infatti, indicano che lo stress ossidativo è un evento molto precoce nell’esordio della malattia. Questo suggerisce che forse, gli antiossidanti, agiscono soprattutto a livello della prevenzione primaria.
Attenzione particolare merita la vitamina E. Essa esiste sotto forma di otto isoforme e, attualmente, gli studi condotti hanno utilizzato solo una di queste isoforme, l'α-tocoferolo. Crescenti evidenze suggeriscono che le altre isoforme della vitamina E sembrano avere un ruolo protettivo nei confronti del declino cognitivo e del morbo di Alzheimer. Saranno necessari ulteriori studi per chiarire il ruolo degli antiossidanti, anche alla luce del fatto che questi prodotti, essendo venduti come prodotti da banco, hanno un uso sempre più diffuso e sono assunti anche senza controllo medico. E’ importante sottolineare che alcuni recenti studi di metanalisi hanno dimostrato un aumento della mortalità associato all’uso di antiossidanti, come vitamina E, beta carotene e vitamina A. A dosi elevate, la vitamina E sembra possa aggravare la deficienza di vitamina K in disordini della coagulazione aumentando così la mortalità delle persone anziane.



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