Immunoterapia per la Malattia di Alzheimer

Immunoterapia per la Malattia di Alzheimer
Ultima modifica 31.03.2021
INDICE
  1. Premessa
  2. Studi Preclinici
  3. Immunoterapia Attiva
  4. Immunoterapia Passiva

Premessa

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La ricerca scientifica ormai da anni e anni è impegnata a mettere a punto medicinali che possano contrastare la progressione della malattia di Alzheimer. L'immunoterapia si sta rivelando una strategia di trattamento potenzialmente promettente, sulla base della neuropatologia umana e degli studi preclinici.

Immunoterapia: target terapeutici

Nonostante gli sforzi condotti dalla ricerca, gli esatti meccanismi che portano al morbo di Alzheimer (AD) restano in gran parte sconosciuti: ciò rappresenta un limite per l'individuazione di possibili target terapeutici per un'immunizzazione efficace nel prevenire o modificare la malattia.

La progressione della patologia non è ben nota, ma si pensa sia almeno in parte e per alcune forme di AD collegate all'alterato metabolismo delle proteine β-amiloide e tau che si manifesta come accumulo di placche di β-amiloide e di grovigli neurofibrillari di tau (NFT) nel cervello.

Durante l'ultimo decennio, molti sforzi sono stati condotti dalle industrie farmaceutiche per mirare all'eliminazione di frammenti del peptide β-amiloide (Aβ) dal cervello dei pazienti con malattia di Alzheimer tramite la somministrazione di:

  • Antigeni (vaccinazione attiva): i pazienti ricevono iniezioni dello stesso antigene;
  • Anticorpi anti-Aβ (vaccinazione passiva): si utilizzano anticorpi monoclonali (mAb) contro varie porzioni dei peptidi β-amiliodi (solubili, depositati, oligomerici).

Studi Preclinici

Uno studio condotto nel 1999 su modelli animali ha evidenziato che un vaccino era in grado di portare ad una riduzione dell'accumulo di β-amiloide in topi transgenici, che sviluppavano un eccesso del precursore della proteina APP (Proteina Precursore dell'Amiloide).

Sempre in modelli animali, è stato dimostrato che sia la somministrazione di vaccini, che l'immunoterapia passiva (termine utilizzato allorché cellule immunitarie effettrici specifiche attivate sono direttamente infuse al paziente, e non sono indotte od espanse nell'organismo), portavano ad un miglioramento delle prestazioni cognitive in associazione ad un aumento della clearance dei depositi di placche amiloidi.

Nota. La clearance, in farmacologia, indica il volume virtuale di plasma che viene depurato da una certa sostanza "x" nell'unità di tempo.

Studi ottenuti mediante il brain imaging (in particolare con la tomografia ad emissione di positroni, PET) hanno dimostrato che tra i partecipanti agli studi clinici di immunoterapia passiva con anticorpi anti-Aβ, vi era una riduzione dei ligandi dell'amiloide dopo 18 mesi di terapia. Ciò suggeriva la potenziale capacità di ridurre la quantità di β-amiloide depositata in placche o solubile nel cervello dei pazienti con Alzheimer.

Ad oggi, identificare una variante di anticorpi che sia in grado di eliminare gli accumuli di amiloide che caratterizzano il morbo di Alzheimer, ma con pochi effetti collaterali, rimane l'obiettivo da perseguire.

Immunoterapia per il Morbo di Alzheimer

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Per quanta riguarda l'aspetto terapeutico, si distinguono:

  • Immunoterapia attiva: prevede la stimolazione del sistema immunitario allo scopo di ottenere una risposta anticorpale diretta contro la proteina Aβ. In altre parole, si tratta di un vaccino per il morbo di Alzheimer.
  • Immunoterapia passiva: come sopra ricordato, consiste nell'introduzione di anticorpi anti-amiloide già costituiti, che hanno lo scopo di prevenire la formazione delle placche di Aβ o aumentare l'eliminazione delle stesse.

Immunoterapia Attiva

E' stato dimostrato che il trattamento di modelli animali transgenici che sovraesprimevano una forma mutata della proteina APP umana, mediante l'utilizzo di un vaccino contro la proteina Aβ, portava al blocco dell'accumulo di amiloide nel cervello di questi animali. Successivamente a questi dati, la comunità scientifica cominciò a trattare i topi che sovraesprimevano APP ad un'età maggiore, quando cioè cominciavano ad essere presenti anche i primi depositi di amiloide.

L'efficacia del vaccino si è rivelata non solo nei modelli animali di topi transgenici, impiegati dai diversi gruppi di ricerca, ma anche in altre specie animali. Infatti, molti mammiferi sviluppano una perdita della memoria con l'avanzare dell'età. Inoltre, è stato osservato che questa perdita di memoria non era associata ai depositi di proteina amiloide.

Per questi motivi, lo sviluppo di una strategia per un nuovo vaccino nel morbo di Alzheimer rappresenta un'area vasta e continuamente in evoluzione nel campo della ricerca. Ad ogni modo, l'approccio perseguito nella maggior parte dei casi continua ad avere come obiettivo l'attivazione delle cellule B (attraverso l'immunizzazione attiva) e la produzione poi di specifici anticorpi (utilizzando l'immunizzazione passiva).

 

Considerata la risposta positiva della sperimentazione animale, è cominciata anche la sperimentazione dei vaccini in pazienti affetti da morbo di Alzheimer. Il vaccino, conosciuto come AN1792, è stato utilizzato in un campione di pazienti con demenza da lieve a moderata, trattati con una o più dosi. La prima osservazione è stata il riscontro di una risposta anticorpale variabile, in cui alcuni di questi pazienti non sviluppavano risultati apprezzabili contro l'antigene. Per questo motivo, a metà della sperimentazione clinica, si è verificata l'aggiunta di un adiuvante, QS-21, allo scopo di aumentare la risposta al vaccino. Nella fase I dello sviluppo clinico, una percentuale significativa di pazienti ha prodotto anticorpi contro l'Aβ, sebbene con titoli diversi, e non si sono verificati eventi avversi.

Purtroppo, dopo il successo di questo studio, nel 2001 durante la fase II, in seguito allo sviluppo di meningoencefalopatia asettica (una reazione infiammatoria del sistema nervoso centrale al vaccino) in un gruppo di pazienti (6%), la sperimentazione clinica è stata interrotta.

Nonostante l'interruzione prematura della sperimentazione per i casi di encefalite durante la fase-II della sperimentazione clinica, i ricercatori hanno continuato a monitorare i pazienti arruolati nello studio, misurando la loro risposta anticorpale con risultati promettenti.

Follow-up dei pazienti immunizzati con test per valutare le funzioni cognitive hanno dimostrato che nell'anno successivo allo sviluppo della risposta anticorpale al vaccino, i pazienti mostravano un declino cognitivo inferiore rispetto ai pazienti in cui non era presente una rilevabile quantità di anticorpi. Inoltre, alcuni di questi pazienti, in seguito al trattamento iniziale che poi venne sospeso, hanno mostrato una certa stabilità negli anni successivi, questo ad indicare che l'approccio immunoterapeutico può rilevarsi comunque benefico, nonostante le possibili reazioni avverse evidenziate. I risultati delle biopsie post mortem hanno evidenziato, infine, che c'era un segno riduzione della deposizione di Aβ in alcuni pazienti, nonché significativa riduzione delle placche deposizione in diverse regioni corticali. Le placche residue hanno mostrato un aspetto particolare suggerendo fagocitosi da microglia.

Immunoterapia Passiva

L'importanza dell'immunoterapia passiva è data dal fatto che la somministrazione passiva di anticorpi preformati può ovviare alla risposta dei linfociti T alla vaccinazione attiva (responsabile degli effetti avversi del vaccino), mantenendo però le importanti attività biologiche associate all'efficacia sui depositi di amiloide.
A causa della bassa risposta del vaccino osservata nei diversi studi clinici intrapresi, e per l'insorgenza di diversi effetti collaterali dipendenti dalle cellule T, molti scienziati hanno iniziato a valutare trattamenti di immunoterapia passiva con anticorpi monoclonali anti-amiloide.
I primi studi condotti su modelli animali per il morbo di Alzheimer hanno messo in evidenza che in seguito a somministrazione intracraniale di anticorpi anti-amiloide, si potevano osservare cambiamenti negli accumuli di amiloide e nell'attivazione della microglia (cellule che, assieme ai neuroni, costituiscono il sistema nervoso), in tempi abbastanza rapidi. E' stato ad esempio osservato che in una settimana, dove si era effettuata la somministrazione di anticorpi, vi erano regioni cerebrali che risultavano "ripulite" dagli accumuli di amiloide e dagli anticorpi liberi.
In un secondo momento, si è verificata l'efficacia dell'immunoterapia passiva in animali con depositi di amiloide, in cui veniva effettuata la somministrazione sistemica di anticorpi. A questi animali veniva effettuata la somministrazione sistemica ad un'età di 18-22 mesi, che corrisponde ad un'età di 65-75 anni nell'uomo. E' stata osservata una riduzione delle placche compatte del 90% rispetto agli animali controllo, ai quali venivano invece somministrati anticorpi controllo.
Un primo resoconto su questa sperimentazione, ha però portato alla luce che l'immunoterapia passiva può provocare delle micro-emorragie in animali con depositi di amiloide in età più avanzata. Tuttavia, anche gli animali che hanno manifestato tale effetto avverso, in seguito avevano comunque mostrato dei benefici per quanto riguarda il recupero della memoria.
Per ovviare all'effetto avverso delle micro-emorragie, gli anticorpi sono stati modificati con opportune tecniche di deglicosilazione enzimatica.

Ovviamente i problemi associati all'immunizzazione attiva, hanno spinto diverse compagnie farmaceutiche ad orientare i loro studi clinici utilizzando anticorpi monoclonali contro la proteina β-amiloide. Tra questi anticorpi rientra il bapineuzimab (AAB-001), testato in due importanti studi clinici su pazienti con Alzheimer da lieve a moderato.

Bapineuzimab è un anticorpo monoclonale Aβ ricombinante diretto contro il terminale N di Aβ (AAB-001), che viene somministrato per via endovenosa. L'anticorpo AAB-001 è una versione umanizzata dell'anticorpo monoclonale di topo m3D6 diretto contro i primi 8 amminoacidi all'estremità N di Aβ che si è dimostrato essere in grado di diminuire le placche amiloidi nei modelli murini di AD.

Attualmente, la seconda generazione di vaccini attivi ha mostrato un buon profilo di sicurezza e indicazioni di una possibile clearance dei peptidi Aβ nel cervello dell'AD pazienti, ma questi risultati devono essere approfonditi. Sono in fase di sperimentazione clinica la le immunoterapie attive Aβ (CAD106, ACC-001 e Affitope AD02) e le immunoterapie passive anti-Aβ (gantenerumab e crenezumab).

Fonti utilizzate

  • Background Paper Alzheimer Disease and other Dementias, B. Duthey, Ph.D; S. Tanna (20 February 2013 Update on 2004 BP 6.11 6.11, Priority Medicines for Europe and the World "A Public Health Approach to Innovation"