Infezione da HIV e sindrome da immunodeficienza acquisita

Ultima modifica 01.09.2017

AIDS in Italia e nel Mondo

In Italia, come in tutti i paesi industrializzati, l'AIDS si manifesta come un fenomeno prevalentemente diffuso nelle aree metropolitane ove sono più alte le concentrazioni di popolazioni con comportamenti a rischio.
La situazione epidemiologica italiana presenta caratteristiche peculiari con preminente interessamento dei tossicodipendenti e di ex tossicodipendenti, uomini e donne, in età sessualmente attiva, che rappresentano un rischio potenziale aggiuntivo di diffusione, sia attraverso rapporti eterosessuali nella popolazione aperta, sia per trasmissione materno-fetale.
Già oggi l'AIDS è largamente diffusa in Africa e nell'America centrale; se a ciò si aggiunge la recente diffusione del virus in regioni come il Sud-Est asiatico, l'India e la Cina, che per densità di popolazione e condizioni igienico-sanitarie riproducono l'ambiente africano o latino-americano, si può prevedere che nei prossimi anni l'epidemia di AIDS sarà sempre di più un flagello per le nazioni in via di sviluppo. L'epidemia quindi va sempre più assumendo i connotati di un'infezione a trasmissione sessuale.
In futuro dovremo aspettarci un aumento dei pazienti che hanno acquisito l'infezione con i rapporti eterosessuali, con conseguente incremento del numero di donne infette ed ammalate, poiché l'infezione viene contratta con il rapporto eterosessuale più facilmente dalla donna che dall'uomo (la probabilità di contagio è circa 3 volte superiore). Ricaduta inevitabile sarà l'aumento dei casi di AIDS pediatrica trasmessi da madre a figlio.

Replicazione virale

L'HIV-1 è un retrovirus appartenente alla sottofamiglia dei Lentivirus. I retrovirus umani sono virus con un patrimonio genetico formato di un filamento di RNA e dotati di un particolare enzima, chiamato trascrittasi inversa, che fa trascrivere in DNA l'informazione genetica contenuta nell'RNA del virus.
HIV-2 è, dal punto di vista strutturale, molto simile ad HIV-1. Oltre alle popolazioni cellulari di linfociti T CD4+, che rimangono il bersaglio preferenziale di HIV, il virus è in grado di infettare anche altre cellule, quali quelle della retina, varie cellule del sistema nervoso centrale e cellule del sistema endocrino appartenenti alla mucosa intestinale.

Una volta penetrato nella cellula infettata, HIV libera il proprio patrimonio genetico rappresentato da RNA, e grazie all'attività della trascrittasi inversa, trasforma il suo RNA in DNA, capace di integrarsi con i geni della cellula ospite. L'infezione nei linfociti può restare silente, cioè la cellula sopravvive, trasportando il genoma del virus, chiamato provirus, come parte del proprio patrimonio genetico. Occasionalmente il provirus può "esprimersi", cioè venire trascritto, obbligando la cellula a produrre numerose nuove particelle virali; in tal caso il linfocita T infetto va incontro a morte, lisa (si rompe) e libera i virus in esso contenuti, che possono ulteriormente infettare altri linfociti T.

Modalità d'azione del virus

Subito dopo il contagio si verifica un'intensa attività di replicazione di HIV che si accompagna ad elevati livelli di replicazione virale e lisi di linfociti T CD4+ (prima infezione). Successivamente, in un periodo di tempo compreso tra 1 settimana e 3 mesi, si va instaurando una risposta immunitaria (chiamata sieroconversione) che  porta all'eliminazione del virus libero dal torrente circolatorio (sangue), ma non dalle cellule e dai tessuti che ne rappresentano i réservoirs (riserve) abituali. Nonostante l'apparente scomparsa (in questa fase è difficilmente evidenziabile anche con indagini di coltura cellulare), HIV persiste in stato di quiescenza nei linfonodi o in altri organi bersaglio nei quali si è disseminato nella fase viremica (la prima fase, di intensa replicazione). All'infezione acuta ed al successivo consolidamento della risposta immunitaria, segue una fase caratterizzata da bassi livelli di replicazione virale e sostanziale conservazione dell'immunità a livelli pressoché normali. Questo periodo è definito di "latenza" o di "quiescenza", peraltro solo apparente, in quanto nei tessuti linfatici la replicazione di HIV rimane attiva. Il linfonodo rappresenta un ambiente particolarmente favorevole alla replicazione del virus. Esso, infatti, è ricco di cellule immunitarie suscettibili all'infezione. La maggior parte dei linfociti infetti rimane imprigionata nella struttura ghiandolare del linfonodo; il numero di cellule infette circolanti, pertanto, rimane molto basso per un lungo periodo di tempo. La fase di quiescenza può venire interrotta occasionalmente per il sopravvenire di stimoli in grado di attivare la replicazione virale. Tra gli eventi attivatori, più efficaci sembrano figurare altre infezioni, in particolare se sostenute da virus linfotropi, cioè che a loro volta infettano le cellule immunitarie ed i tessuti linfatici, per esempio i virus dell'Herpes. La replicazione virale è bassa ma persistente e, con il tempo altera le caratteristiche strutturali e funzionali  dell'apparato  ghiandolare linfatico.  Nelle  fasi avanzate di malattia si giunge ad un profondo sovvertimento della struttura dei linfonodi, che appare completamente scompaginata e non più in grado di trattenere i linfociti T CD4 infetti. La loro progressiva riduzione numerica è un complesso fenomeno dovuto a molti fattori, solo in parte provocati dalla lisi di cellule causata direttamente da HIV. Esso è infatti anche legato alla produzione, indotta dal virus, di sostanze che inibiscono la genesi di nuovi di linfociti T CD4+ , alla più rapida morte cellulare programmata (apoptosi), osservata anche in linfociti CD4 non infetti, ed alla lisi anche delle stesse cellule non infette, che esprimono sulle loro membrane equivalenti delle proteine del virus. Questa lisi è ad opera di altre cellule immunitarie che le identificano come cellule "malate".

Nel  prolungato  periodo  asintomatico  si  creano quindi le condizioni per lo sviluppo del deficit dell'immunità che predispone all'insorgenz dell'AIDS conclamata.



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