Ultima modifica 15.05.2020

Generalità

La lobotomia, o leucotomia prefrontale, era una procedura neurochirurgica sfruttata dagli psichiatri degli anni '40 e '50 del XX secolo, per curare le persone con malattie mentali, quali depressione, disturbo bipolare, schizofrenia ecc. 
LobotomiaDal punto di vista strettamente procedurale, la lobotomia consisteva nella recisione di parte delle connessioni nervose in arrivo a e in partenza dalla corteccia cerebrale, in posizione frontale.
In genere, le persone che si sottoponevano a lobotomia manifestavano una riduzione della spontaneità, della reattività, della consapevolezza di sé e dell'autocontrollo, una spiccata tendenza all'inerzia, un assopimento dell'emotività e una restrizione delle capacità intellettive.
Il primo a sperimentare gli effetti della lobotomia sull'essere umano fu il neurochirurgo portoghese Antonio Egas Moniz. Era l'anno 1935.

Breve ripasso sui lobi del cervello

Il cervello propriamente detto presenta due formazioni adiacenti, chiamate emisferi, simili dal punto di vista anatomico, ma estremamente diversi per quanto concerne la funzione.
Di forma semicircolare e separati dalla cosiddetta fessura longitudinale, gli emisferi presentano 4 aree specifiche, che i neurologi chiamano lobi.
Ciascun emisfero possiede un lobo frontale, un lobo parietale, un lobo temporale un lobo occipitale.
La posizione dei suddetti lobi corrisponde a quelle delle ossa craniche omonime. Quindi, i lobi parietali risiedono internamente alle ossa parietali, i lobi frontali internamente alle ossa frontali e così via.
Ritornando agli emisferi, la superficie più esterna prende il nome di corteccia cerebrale (o sostanza grigia), mentre la parte più interna prende il nome di sostanza bianca.
Le figure sottostanti aiutano a capire meglio quanto sinora affermato.


Cervello

Cos'è la lobotomia?

La lobotomia, o leucotomia o leucotomia prefrontale, era una procedura neurochirurgica utilizzata in ambito psichiatrico tra gli anni '40 e '60 del XX secolo, che consisteva nella recisione di parte delle connessioni nervose in arrivo a e in partenza dalla corteccia cerebrale in posizione frontale (ossia la corteccia dei lobi frontali).
Attualmente, la lobotomia non è più una tecnica neurochirurgica in uso, a causa dei suoi numerosi effetti avversi: medici ed esperti, infatti, si accorsero dopo pochi decenni che i suoi benefici erano decisamente più scarsi dei rischi e delle complicanze derivanti.

ORIGINE DEL NOME

I termini lobotomia e leucotomia hanno origine greca e derivano, rispettivamente, da:

  • L'unione tra la parola "lobos" (λοβός), che vuol dire "lobo" e fa riferimento ai lobi cerebrali, e la parola "tomia" (τομία), che significa "taglio", "sezione" o "fetta".
    Quindi, la traduzione letterale di lobotomia è "taglio del o dei lobi".
  • L'unione tra la parola "leucos" (λευκός), che vuol dire "bianco" e fa riferimento alle fibre bianche recise durante la procedura neurochirurgica, e la già citata parola "tomia" (τομία).
    Pertanto, il significato di leucotomia è "taglio delle fibre bianche".

Uso

La lobotomia rappresentava un trattamento radicale per migliorare il quadro sintomatologico delle persone con problemi mentali, quali:

  • Depressione. La depressione è un disturbo mentale dal carattere cronico, che induce, nella persona affetta, umore basso e triste, rallentamento psicomotorio, perdita di interesse o di piacere per la vita, sentimenti di colpa o bassa autostima, disturbi del sonno e/o dell'appetito, calo della capacità di concentrazione ecc.
    La depressione è, quindi, un problema che ha ripercussioni a livello psichico, comportamentale e fisico.
  • Disordine bipolare. Il disturbo bipolare è un disturbo mentale che provoca gravi e ricorrenti alterazioni dell'umore.
    Chi ne è affetto, infatti, alterna momenti di estrema euforia ed eccitazione (momenti maniacali o ipomaniacali) a momenti di forte depressione (momenti o episodi depressivi).
    Quest'alternanza di comportamenti molto diversi ha svariate ripercussioni: dalla sfera sociale a quella lavorativa/scolastica.
  • Schizofrenia. La schizofrenia è un disturbo mentale grave e cronico, caratterizzato da psicosi (ossia perdita di contatto con la realtà), allucinazioni (ossia percezioni di qualcosa che è solo immaginario), illusioni, alterazioni dell'affettività, comportamenti bizzarri e disordine nel pensiero e nel linguaggio.
  • Altri disturbi della personalità. Gli esperti definiscono i disturbi della personalità come problemi di salute mentale, per i quali il paziente affetto ha pensieri e comportamenti anormali.

Effetti

Lo psichiatra britannico Maurice Partridge, che ha analizzato gli esiti della lobotomia su più di 300 pazienti, affermava che i miglioramenti derivanti dalla suddetta pratica neurochirurgica dipendevano da "una riduzione della complessità della vita psichica" dell'individuo.
Per definire la leucotomia prefrontale e i suoi risultati, l'americano Walter Jackson Freeman II, uno dei principali praticanti la lobotomia tra gli anni '40 e gli anni '50, coniò il termine di "infanzia indotta chirurgicamente".
Freeman optò per questa terminologia, perché era convinto che, dopo l'intervento, i pazienti tornassero ad acquisire una "personalità infantile".
Sempre secondo le idee di Freeman, la regressione della personalità era il punto di partenza per la guarigione: è più facile, infatti, influenzare e correggere i comportamenti di un bambino che non quelli di un adulto.


Nella maggior parte dei casi, la lobotomia comportava un calo della spontaneità, della reattività, della consapevolezza di sé, dell'autocontrollo e dell'iniziativa, una spiccata tendenza all'inerzia, un assopimento dell'emotività e una restrizione delle capacità intellettive.
Dopo l'operazione, alcuni pazienti morivano a distanza di qualche giorno oppure si suicidavano; altri ne uscivano cerebrolesi o con danni invalidanti; altri ancora avevano bisogno di essere monitorati costantemente in un centro ospedaliero per malati mentali.
In alcuni rari casi, c'era qualche individuo che traeva più vantaggi che benefici: queste persone erano in grado di lavorare e prendersi anche incarichi di una certa rilevanza.


Secondo le statistiche degli anni '40 del XX secolo, il tasso di mortalità, successivo agli interventi di lobotomia, era approssimativamente del 5%.

SUBITO DOPO L'INTERVENTO: CONSEGUENZE TIPICHE

In genere, subito al termine dell'intervento di lobotomia, i pazienti risultavano storditi, confusi e smodati.
In alcuni frangenti, qualcuno dimostrava di avere un enorme appetito, tanto che spesso ingrassava nel giro di poco tempo; qualcun altro sviluppava una forma di epilessia.

Storia

A evidenziare, per la prima volta, come la manipolazione chirurgica del cervello calmasse in qualche modo i pazienti da manicomio, fu un medico svizzero di nome Gottlieb Burkhardt. Era il lontano 1880.
Burkhardt operò 6 individui che soffrivano di allucinazioni acustiche o schizofrenia. Per qualcuno dei pazienti, l'operazione ebbe un finale tragico (uno morì e un altro si suicidò poco dopo); per altri, invece, comportò lo sviluppo di uno stato di estrema calma e ridotta reattività agli stimoli provenienti dal mondo esterno.
Gli interventi di Burkhardt riscossero poco successo e, per diversi decenni, pochi psicochirurghi imitarono il medico svizzero.
A riproporre la manipolazione chirurgica del cervello, attorno agli anni '30 del XX secolo, furono due neuroscienziati americani, un certo Carlyle F. Jacobsen e un certo John Fulton.
Jacobsen e Fulton sperimentarono gli effetti dell'ablazione (cioè la rimozione) dei lobi prefrontali negli scimpanzé. Dai vari esperimenti, risultò che gli animali, dopo l'operazione, diventavano particolarmente docili.
Per vedere gli effetti della manipolazione chirurgica dei lobi prefrontali sull'essere umano, non fu necessario attendere molto.
Infatti, nello stesso anno in cui Jacobsen e Fulton presentavano i propri esperimenti (1935), in Portogallo, in un ospedale di Lisbona, il neurochirurgo portoghese Antonio Egas Moniz eseguì le prime operazioni umane (cioè sull'essere umano) di leucotomia prefrontale.
In realtà, Moniz ideò la tecnica d'intervento e un certo Pedro Almeida Lima la mise in pratica, in quanto il primo, ai tempi, soffriva di gotta e ciò gli impediva di utilizzare le mani per operare.
Brevemente, la tecnica operativa di Moniz consisteva nel praticare due fori in corrispondenza delle ossa craniche frontali del paziente e iniettare, nella sottostante corteccia prefrontale, alcol etilico puro. L'alcol etilico puro aveva l'effetto di disgregare le connessioni nervose, con cui entrava in contatto.
Fin da subito, le operazioni di Moniz riscossero enorme successo, soprattutto a livello a mediatico.
Negli anni successivi, Moniz creò anche uno strumento apposito per eseguire leucotomia prefrontale, strumento che chiamò "leucotomo".
Poco tempo dopo gli interventi di Moniz, diversi altri neurologi e neurochirurghi si cimentarono nella pratica della lobotomia: per esempio, già nel 1936, il citato Walter Freeman e James Watts idearono un nuovo protocollo operativo e cominciarono a promuoverne l'efficacia attraverso i media.
Per tutti gli anni '40 e i primissimi anni '50 del Novecento, la lobotomia fu una procedura diffusissima, perché la si riteneva miracolosa (N.B: fino al 1951, 20.000 interventi soltanto negli Stati Uniti!).
A partire dalla metà degli anni ‘50, sia perché qualcuno ne mise in luce i gravi effetti avversi, sia perché uscirono sul mercato i primi farmaci antipsicotici e antidepressivi, cominciò a perdere gradualmente d'importanza.
Negli anni '70, quasi più nessun neurochirurgo eseguiva interventi di lobotomia.


Antonio Egas Moniz ricevette il premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina nel 1949, per aver scoperto il valore terapeutico della leucotomia.
Negli anni successivi, questa onorificenza fu oggetto di numerose polemiche, in quanto erano sempre di più le evidenze a supporto della pericolosità e della scarsa efficienza della lobotomia.

LOBOTOMIA IN ITALIA

In Italia, i primi interventi di lobotomia risalgono al 1937, quando giunse nel nostro Paese Antonio Moniz per delle dimostrazioni pratiche agli ospedali di Trieste, Ferrara e Torino.
Come in altri Paesi d'Europa, all'inizio, la tecnica chirurgica di manipolazione dei lobi prefrontali spopolò: nelle principali città dell'epoca, infatti, i centri ospedalieri intenzionati a specializzarsi nella lobotomia furono numerosissimi.
Probabilmente, l'italiano più famoso nella storia della leucotomia prefrontale è Amarro Fiamberti: quest'ultimo si è reso celebre per aver ideato le prime operazioni di lobotomia trans-orbitale.


Autore

Antonio Griguolo
Laureato in Scienze Biomolecolari e Cellulari, ha conseguito un Master specialistico in Giornalismo e Comunicazione istituzionale della scienza