Ultima modifica 17.03.2020

 

1) Dipartimento di Medicina Interna, Clinica Athena Villa dei Pini, Piedimonte Matese (CE);


2) Divisione di Medicina Interna, Ospedale A.G.P. Piedimonte Matese (CE);


3) UOC Fisiopatologia, Malattie e Riabilitazione Respiratoria, AORN Monadi, Napoli

 

In questi ultimi decenni la cultura sportiva ha subìto notevoli cambiamenti. Gli atleti agonisti con importanti ambizioni, infatti, seguono per la preparazione rigorose schede d'allenamento, che comprendono sedute giornaliere di più ore e che portano a vari adattamenti sia a carico dei muscoli scheletrici, sia a carico del sistema cardiovascolare, sia a carico dell'apparato respiratorio: proprio i cambiamenti che avvengono su quest'ultimo cominciano ad essere conosciuti come “Polmone d'Atleta”.
Polmone d'atletaTutti i tipi di sport comportano lavoro muscolare, con conseguente consumo di legami fosforici ad alto contenuto energetico. Questo implica l'aumento, in termini di quantità e di velocità, dell'attività dei meccanismi ossidativi, di conseguenza del consumo di ossigeno, per sostenere la contrazione muscolare in condizioni aerobiche, per ripristinare le scorte di ATP e di creatin fosfato (CP) e  per riconvertire l'acido lattico accumulato durante la contrazione muscolare anaerobica. Viene richiesta un'interazione di meccanismi fisiologici che implica anche il coinvolgimento dei sistemi cardiovascolare e polmonare, necessari per sostenere l'aumento di richiesta metabolica e di scambio gassoso.

L'apparato respiratorio è sollecitato ad aumentare la ventilazione (VE), tanto che da una condizione di riposo VE aumenta fino a 25 volte, da 6 l/min a 150 l/min e più. Questo aumento della ventilazione (VE) così oneroso determina, negli atleti, effetti a breve termine ed effetti a lungo termine. 


Effetti a breve termine

Sono effetti transitori, in cui i valori di alcuni parametri polmonari aumentano durante l'esercizio fisico e/o permangono più alti rispetto ai valori normali nelle ore che seguono. Un esempio è il volume polmonare residuo (VR) che, concettualmente analogo alla capacità funzionale residua, misura il volume dell'aria rimasta nei polmoni al termine di un'espirazione massimale. Si è verificato che il suo valore aumenta in seguito ad un esercizio fisico intenso, sia di breve sia di lunga durata (una gran fondo di ciclismo).

Tale valore è particolarmente significativo a breve termine, secondo la seguente tabella:

 

Valore polmonare residuo

 

Tempo di misurazione

Aumento % del volume polmonare residuo

5 minuti dopo il termine dello sforzo

25%

30 minuti dopo il termine dello sforzo

18%

1 ora dopo il termine dello sforzo

15%


Tale aumento, però, è di breve durata, in quanto 24 ore dopo lo sforzo il valore del parametro torna a livelli normali.

Effetti a lungo termine

Sono effetti duraturi, in cui i valori di alcuni parametri polmonari aumentano per effetto dell'esercizio fisico e/o permangono più alti rispetto a valori normali nelle ore che seguono.
E' di esempio la Capacità Vitale (CV) che, come già sottolineato nella definizione, misura la differenza tra il volume di aria corrispondente alla massima inspirazione e quello corrispondente alla massima espirazione. Questo parametro polmonare è strettamente correlato ad età, sesso e corporatura (altezza, peso) e può essere influenzato dall'allenamento e dalle capacità fisiche individuali (prestazioni). Infatti, atleti di endurance posseggono valori di capacità vitale più elevati rispetto a soggetti appartenenti a campioni di giovani maschi e femmine (studenti) (7,6 L - 8,1 L per atleti di endurance, rispetto a valori più bassi di 4-5 L del campione di controllo).
Altri effetti sono qualitativi, non correlati cioè ad una variazione misurabile ed effettiva dei valori dei parametri polmonari, quanto ad una maggior resistenza alla fatica e ad una capacità più alta di mantenere valori di parametri dinamici elevati per un periodo di tempo più lungo. Infatti, parte della sensazione di fatica legata alla respirazione durante l'attività fisica (il "fiatone") è legata allo stato di allenamento dei muscoli inspiratori (diaframma, intercostali, scaleni). Il loro compito è quello di espandere la cavità toracica, sollevando le coste e facendo discendere il diaframma. Poiché si tratta di un lavoro meccanico muscolare, l'attività fisica intensa può causare un affaticamento di tali muscoli, che perdono l'efficacia nella contrazione.
Lo scopo dell'allenamento non si traduce quindi nella variazione dei parametri polmonari, ma in un maggior allenamento dei muscoli respiratori, che sono in grado di mantenere prestazioni sotto il massimo dei valori di ventilazione per intervalli di tempo più lunghi. Ciò significa anche che, a parità di tempo, la sensazione di fatica (fiatone) diminuisce nei soggetti allenati. La diminuzione della sensazione soggettiva di fatica respiratoria è un fenomeno ben noto non solo agli atleti principianti, ma anche ai cantanti lirici, in cui gli unici muscoli utilizzati sono proprio quelli respiratori (il diaframma principalmente) e che notano un notevole effetto di adattamento alla fatica aumentando l'allenamento alla tecnica vocale e respiratoria.
Volendo caratterizzare l'allenamento dei muscoli respiratori con qualche parametro quantitativo, occorre considerare, come ogni lavoro muscolare, la concentrazione di acido lattico nei muscoli respiratori e l'aumento della loro capacità aerobica. In particolare, l'allenamento dei muscoli respiratori provoca una diminuzione della loro concentrazione di acido lattico al termine dell'esercizio fisico, ed un aumento della loro capacità aerobica.
Per cercare di compensare la fatica muscolare legata alla respirazione, i soggetti assumono una posizione tipica che facilita la meccanica respiratoria: il busto si flette in avanti, con il tronco flesso e non più verticale, il collo è piegato in avanti e la bocca è aperta per portare la mandibola in posizione parallela al terreno. Questo fenomeno si osserva spesso nelle prove di corsa sulle lunghe distanze, per esempio nei maratoneti o nei ciclisti, e in molti soggetti affetti da patologie respiratorie che limitano la ventilazione. Sembra infatti che questa posizione faciliti il lavoro meccanico di abbassamento del diaframma e di innalzamento delle coste, oltre a favorire il ritorno venoso al cuore.
In sintesi, nell'esasperazione dell'attività atletica a cui si è arrivati oggi, un apparato, come quello respiratorio, ritenuto fino a pochi anni fa non allenabile, inizia ad essere considerato un elemento il cui potenziamento può migliorare la performance determinando quel “respiro” in più, utile a raggiungere certi risultati.