Ultima modifica 24.03.2020

Convulsione febbrile: definizione

Più che un’unica entità clinica, le convulsioni febbrili costituiscono una variante sindromica che raggruppa differenti tipologie di crisi convulsive semplici e/o epilettiche. Nonostante le probabilità che un bambino colpito da una convulsione febbrile sviluppi epilessia siano piuttosto scarse, è sempre indispensabile il parere del medico ed, eventualmente, l’ospedalizzazione.
Oggi, grazie al perfezionamento delle tecniche diagnostiche e terapiche, le convulsioni febbrili devono essere considerate una forma benigna, che ben si distingue dall’epilessia. È bene precisare nuovamente che le conseguenze di un singolo episodio di convulsione febbrile (o addirittura di più attacchi  distanziati nel tempo) sono scarse, pressoché nulle. Difatti, in assenza di alterazioni a carico del SNC, le convulsioni febbrili semplici non aumentano il rischio di morte, danno cerebrale o ritardo mentale.
In questo articolo, le convulsioni febbrili sono analizzate in termini di sintomi, diagnosi e terapia. Vediamo più in dettaglio.

Cause

Il target delle convulsioni febbrili è rappresentato dai bambini sani di età compresa tra i 6 mesi ed i 6 anni, malgrado le indagini statistiche documentino anche neonati più piccoli e bambini più grandi affetti dallo stesso disturbo.
La stragrande maggioranza degli episodi convulsivi febbrili si manifesta entro le 24 ore dallo scoppio improvviso della febbre (>38-38.5°C). La malattie dell’orecchio (es. otite), così come qualsiasi patologia ad eziologia virale o batterica (es. rosolia, sesta malattia, influenza, ecc.) possono esporre il bambino al rischio di convulsioni febbrili.
Sono stati segnalati alcuni sporadici casi di convulsione febbrile a seguito di patologie molto più gravi, come encefalite o meningite: in simili frangenti, le condizioni del bambino possono degenerare entro breve tempo, dal momento che ci troviamo di fronte ad un coinvolgimento del sistema nervoso centrale.

  • Ricordiamo, tuttavia, che patologie simili possono causare convulsioni anche in assenza di febbre.

È stata documentata una certa correlazione tra alcune vaccinazioni e lo scoppio di una convulsione febbrile. Alcuni vaccini - come quello per tetano-difterite-pertosse o quello per morbillo-parotite-rosolia – sembrano esporre il bambino al rischio di convulsione febbrile. In simili frangenti, le crisi spastiche sono dovute comunque alla febbre (effetto collaterale tipico della vaccinazione nel neonato) e NON al vaccino in sé. 
La patogenesi delle convulsioni febbrili non è completamente compresa: ad ogni modo, sembra che un intreccio di età, fattori ambientali e predisposizione genetica ne sia pesantemente coinvolto.


Approfondimento: Predisposizione genetica e convulsioni febbrili


Malgrado sia accertato che la familiarità ricopre un ruolo principale nell’eziopatogenesi delle convulsioni febbrili nel bambino, non è ancora dimostrata la precisa modalità di trasmissione. Sono state formulate alcune ipotesi: sembra che il disturbo possa essere trasmesso mediante un complicato meccanismo autosomico-dominante, autosomico recessivo o poligenico. Per merito di numerosi studi di linkage, è stato possibile identificare 4 loci genici: FEB1, FEB2, FEB3 e FEB4. Questi studi di linkage permettono di identificare la precisa posizione cromosomica di un locus responsabile di una data malattia genetica: si tratta di un approccio utile per la determinazione e per il mappaggio di alcuni geni responsabili appunto di affezioni geneticamente trasmesse.

Fattori di rischio

È stata osservata una certa correlazione tra l’incidenza delle convulsioni febbrili ed alcuni fattori di rischio. I soggetti più vulnerabili da questo punto di vista sono:

  • bambini prematuri
  • bambini affetti da infezioni da HSV-6 (Herpes virus di tipo 6)
  • bambini colpiti da infezioni virali in genere
  • bambini aventi familiari con storia pregressa di convulsioni febbrili

Chiaramente, anche i disordini a carico del SNC predispongono il paziente alle convulsioni febbrili.
Oltre a questi fattori di rischio appena elencati, sono stati identificati altri elementi predisponenti la ricorrenza delle convulsioni febbrili. Alcuni pazienti pediatrici, infatti, tendono a sviluppare altri episodi convulsivi febbrili dopo la prima crisi; il ripresentarsi di tali episodi è favorito da alcuni fattori di rischio:

  1. La prima crisi convulsiva si è manifestata entro i 6-12 mesi di vita del bambino. In tal caso, risulta assai probabile che il piccolo paziente sviluppi nuove crisi convulsive entro un anno dall’esordio
  2. Il primo episodio di convulsione febbrile è indotto da una febbre relativamente bassa (<38°C)
  3. La durata della prima crisi convulsiva dura oltre 15 minuti
  4. Predisposizione genetica
  5. Eventi critici concomitanti durante la prima crisi convulsiva

Sintomi comuni

I sintomi che contraddistinguono le convulsioni febbrili variano in funzione della gravità della patologia. Nella maggior parte dei bambini affetti, la convulsione febbrile inizia con il “rotolamento” degli occhi e con l’irrigidimento degli arti. Successivamente, il bambino perde coscienza e, involontariamente, contrae e rilassa ripetutamente i muscoli degli arti inferiori e superiori. Durante questa fase non è rara la perdita di controllo dello sfintere anale e vescicale. Le convulsioni febbrili, provocando difficoltà respiratorie, possono indurre uno stato cianotico nel bambino.
Quando la crisi convulsiva febbrile dura oltre 10-15 minuti, il bambino può manifestare anche problemi respiratori gravi, sonnolenza estrema, vomito e torcicollo.
La comparsa di più episodi di convulsione febbrile nel contesto di un’unica malattia virale dev’essere considerata una grave urgenza medica.

Accertamenti

La diagnosi di convulsione febbrile viene considerata relativamente semplice. L’indagine viene posta a seguito del racconto dell’episodio critico (pressoché mai osservato da un medico!) e confermata successivamente mediante esame neurologico.
Nel bambino in salute, l’esame neurologico va eventualmente ripetuto per smentire l’ipotesi di un possibile - anche se poco probabile - coinvolgimento del sistema nervoso centrale. In caso di sospetto danno del SNC (es. infezioni gravi, meningite, patologie neurologiche concomitanti), si raccomanda la puntura lombare (rachicentesi), da eseguirsi sempre dopo una TAC o un’RMN.
Importante la diagnosi differenziale con la sincope febbrile.
Per la conferma diagnostica non sono indicati esami di laboratorio specifici.
L’encefalogramma (conosciuto ai più con l’acronimo EEG) di un bambino affetto da un episodio singolo di crisi convulsiva febbrile è in genere normale. Nel caso la febbre non fosse ancora scesa, si raccomanda di NON sottoporre il piccolo paziente a quest’esame diagnostico: l’alterazione della temperatura basale potrebbe alterare il test.
Alcuni autori sono convinti che l’EEG in un bambino sano non sia indispensabile per la diagnosi di una convulsione febbrile, dal momento che nella stragrande maggioranza dei casi (se non nella quasi totalità) risulta normale. Altri Ricercatori ritengono invece che l’EEG - a seguito dell’evento febbrile convulsivo - sia fondamentale per avere un’ulteriore smentita dei possibili danni a carico del SNC. Ricordiamo che l’esame EEG è in grado di rivelare anomalie intercritiche di tipo specifico od aspecifico in modo precoce e spesso inequivocabile.

Terapie

Nella maggior parte dei casi, le convulsioni febbrili costituiscono un evento autolimitante: in assenza di danni cerebrali preesistenti, la prognosi delle convulsioni febbrili è ottima, pertanto non è necessario alcun trattamento specifico.
Contrariamente al pensiero comune, non è indispensabile abbassare immediatamente la febbre per interrompere una crisi febbrile. Pertanto, si SCONSIGLIA caldamente di somministrare antipiretici per bocca durante la crisi convulsiva: il bambino rischierebbe il soffocamento. Per lo stesso motivo, si raccomanda di non immergere il bambino nell’acqua fredda. La maggior parte delle convulsioni febbrili si autorisolve in un paio di minuti, non riportando alcun danno cerebrale al bambino.
Il quadro clinico assume un significato più grave nell’evenienza in cui la crisi convulsiva durasse oltre 15 minuti: in tal caso, la convulsione febbrile è un’urgenza medica a tutti gli effetti. In simili circostanze, il medico provvede a somministrare farmaci specifici per via rettale o endovenosa, per interrompere la crisi convulsiva. La cura maggiormente diffusa consiste nella somministrazione rettale di benzodiazepine (es. diazepam): questi farmaci potenti interrompono la convulsione, dunque la crisi in atto.
Chiaramente, dopo aver curato il sintomo principale (convulsione) è necessario procedere con la cura della malattia che ha scatenato il tutto.

Prognosi

La prognosi a BREVE TERMINE riguarda le forme recidivanti di convulsioni febbrili.
In generale, a seguito di una prima convulsione febbrile, il rischio di ricomparsa è stimato intorno al 10%. Questo dato appena riportato risulta influenzato dall’età d’insorgenza della crisi, dall'entità della febbre e dalle malattie sottostanti. Il rischio aumenta fino al 25-50% in concomitanza di uno o due fattori di rischio (es. soggetti predisposti geneticamente, comparsa della prima crisi prima dei 6 mesi ecc.), fino a giungere il 50-100% nel bambino con più di tre fattori di rischio.


La prognosi a LUNGO TERMINE definisce il rischio di degenerazione della crisi convulsiva in epilessia vera e propria.
Da quanto riportato sulla rivista scientifica BJM journal (Clinical research ed.), risulta che le probabilità di sviluppare epilessia aumentano in concomitanza a:

  • convulsioni febbrili complesse
  • anomalie neurologiche
  • predisposizione familiare
  • manifestazione della convulsione dopo meno di un’ora dallo scoppio della febbre.

In assenza delle suddette caratteristiche, il 2,4% dei bambini con storia pregressa di convulsioni febbrili risulta comunque a rischio di epilessia.
La somministrazione di fenobarbital e di valproato di sodio è risultata del tutto INEFFICACE per prevenire la degenerazione delle convulsioni febbrili nel contesto dell’epilessia. Ricordiamo inoltre gli effetti collaterali legati all’impiego smodato di questi medicinali, legati in particolare alla sfera cognitiva.

Prevenzione delle recidive

Il trattamento profilattico continuativo con farmaci antiepilettici per la prevenzione delle convulsioni febbrili recidivanti risulta caldamente sconsigliato.  
La profilassi cosiddetta “intermittente” delle convulsioni recidivanti con le benzodiazepine risulta possibile in alcuni specifici casi (es. età d’esordio assai precoce, recidive molto frequenti, deficit neurologici preesistenti ecc.). I farmaci più utilizzati a tale scopo sono il fenobarbital e il valproato di sodio.
Consigliato risulta invece il trattamento preventivo dell’ipertermia: le spugnature d’acqua, l’applicazione temporanea di ghiaccio sulla testa e la somministrazione di antipiretici ogni 4-6 ore (in caso di temperatura basale superiore a 37.5°C) si rivelano accorgimenti particolarmente  utili per tenere sotto controllo la febbre, specie nei bambini predisposti alle convulsioni febbrili.



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