Resistenza nelle arti marziali: perché è importante e come migliorarla

Resistenza nelle arti marziali: perché è importante e come migliorarla
Ultima modifica 11.04.2022
INDICE
  1. A cosa serve la resistenza in un combattimento reale?
  2. Metabolismi Energetici
  3. Tipi di Sforzo e Fatica
  4. Parametri della Resistenza
  5. Metodologia dell'Allenamento
  6. Pianificare gli Obbiettivi
  7. Esercitazioni per la Resistenza Speciale
  8. Bibliografia

Durante uno scontro reale, per riuscire a sopravvivere, sono necessarie molte doti.

Tra queste ricordiamo, prima tra tutte, una buona tecnica di combattimento, grazie alla quale si riusciranno a sviluppare colpi efficaci con il giusto risparmio di energia. Oltre alla tecnica, si rendono necessarie anche delle qualità atletiche come la forza, la resistenza e la rapidità, note in teoria del movimento e dell'allenamento come capacità condizionali.

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Ora, la resistenza è definibile come "la capacità di riuscire a mantenere una determinata prestazione (un determinato rendimento) per un periodo di tempo il più lungo possibile (Martin, Carl, Lehnertz, 2004)".

A cosa serve la resistenza in un combattimento reale?

I combattimenti, quasi mai uno contro uno, in genere non durano abbastanza da rendere necessario un particolare allenamento di resistenza.

Immaginando, infatti, idealmente, un duello tra due combattenti che si affrontano senza regole, lo scontro non durerebbe più di qualche istante, vista la potenza di alcuni colpi che in assenza di regolamento possono essere sferrati (ginocchiate, gomitate, testate, dita negli occhi, calci ai genitali, morsi ecc.).

Ma se le persone che si battono sono molte (come ad esempio nelle "battaglie" tra gli ultrà scalmanati e le forze dell'ordine) può volerci di più perché lo scontro termini, dal momento che anche dopo essere riusciti a sottomettere un nemico se ne presenterebbe immediatamente un altro e poi un altro ancora e così via.

In verità, è difficile che vi ritroviate in una situazione di combattimento tale che necessiti di una grandissima resistenza speciale (cioè relativa propriamente ai gesti tecnici delle arti marziali;diverso è invece il discorso da fare inerente la resistenza generale, di cui si discuterà dopo).

Consigliamo dunque, in particolare, ai militari e agli agenti delle forze dell'ordine di non trascurare gli allenamenti di resistenza speciale.

Per tutti gli altri, la stessa importanza va data agli allenamenti di resistenza generale, senza comunque trascurare del tutto quella speciale.

Metabolismi Energetici

L'allenamento della resistenza è basato sulla possibilità di produrre, attraverso particolari stress fisici, alcuni adattamenti dei meccanismi dell'organismo umano volti alla produzione di energia metabolica. La molecola più utilizzata per la produzione di energia è l'ATP (adenosin trifosfato), ma esiste anche il GTP (guanosin trifosfato): in seguito al distacco di un fosfato dalle precedenti molecole, con produzione di ADP (adenosin difosfato) o GDP (guanosin difosfato) a seconda dei casi, si riesce a ottenere energia.

Vediamo ora quali sono i meccanismi attraverso cui si può ottenere questo effetto: sono in tutto tre, di cui uno aerobico e due anaerobici, l'anaerobico lattacido e l'anaerobico alattacido.

Il primo, come suggerisce la stessa parola "aerobico", necessita per la produzione di energia il consumo di ossigeno, mentre gli altri due non si servono di ossigeno per la produzione di energia.

Nel meccanismo anaerobico lattacido, oltre alla produzione di energia, si finisce per produrre anche del lattato (o acido lattico) a livello del distretto muscolare che si contrae, il quale, sebbene possa influenzare minimamente in modo positivo la capacità di resistere alla sforzo, lo influenza, sotto altri aspetti, molto più grandemente in modo negativo.

L'anaerobico alattacido, infine, non implica la produzione di lattato, ma la produzione di un metabolita non tossico ma inutile: la creatinina.

Acidosi muscolare

L'acidosi muscolare provoca vasodilatazione con conseguente maggiore afflusso di ossigeno al muscolo che richiede dell'energia. Questo favorisce l'attivazione del metabolismo aerobico. Favorisce anche la scissione della fosfocreatina, aumentando l'efficienza del metabolismo anaerobico alattacido. Tutti questi effetti positivi, però, sono annullati dal fatto che l'acido lattico tende a inibire localmente i fenomeni biofisici della contrazione muscolare.

Vediamo ora, più in dettaglio, in che cosa consistono questi meccanismi.

Metabolismo aerobico

Il meccanismo aerobico non è altro che una reazione di combustione in cui il combustibile è l'idrogeno e il comburente è l'ossigeno. L'ossigeno si estrae dall'aria circostante attraverso la respirazione polmonare (poi, via sangue, raggiunge il distretto in cui è necessario per la produzione di energia). L'idrogeno invece si estrae dagli alimenti, i quali, per definizione, sono costituiti da carboidrati (anche detti zuccheri o glucidi), da grassi (o lipidi) e da proteine (o protidi). Ora, per quanto riguarda le proteine, queste collaborano, in condizioni fisiologiche, solo in minima parte alla fornitura di idrogeno per la produzione di energia metabolica. In gran parte, vengono utilizzate per questo scopo esclusivamente quando mancano le altre due fonti.

Per quel che riguarda i carboidrati, l'unico zucchero da cui si può trarre l'idrogeno è il glucoso, uno zucchero semplice, il quale o si trova a circolare nel sangue o si trova all'interno dei muscoli e del fegato sotto forma di glicogeno, una riserva di glucoso che viene mobilizzata in caso di occorrenza (il glicogeno che si trova in sede epatica si scinde in glucoso che viene rilasciato in circolo in circolo in modo da permettergli di raggiungere il distretto in cui necessita. Il muscolo invece lo utilizza esclusivamente per se stesso nel caso in cui gli fosse necessario).

Tutti gli altri zuccheri, prima di poter essere utilizzati per la produzione di energia devono necessariamente essere prima trasformati in glucoso. Dal glucoso, attraverso una complessa sequenza di reazioni chimiche chiamata glicolisi, si ricava una struttura chimica il cui nome è piruvato (o acido piruvico). Dal glicogeno, attraverso un altro processo chimico noto come glicogenolisi, si riesce a ricavare una molecola detta glucoso-6-fosfato, che è un prodotto intermedio della glicolisi. Dal glucoso-6-fosfato, poi, si ricava il piruvato seguendo lo stesso processo della glicolisi. A questo punto, il piruvato viene utilizzato per la produzione di un'altra molecola, nota come acetilCoA (acetil coenzima A), che prende parte ad un'altra complessa serie di reazioni chimiche nota come ciclo dell'acido citrico o ciclo di Krebs, il cui obbiettivo finale è, appunto, quello di produrre l'energia metabolica.

Vediamo ora come si estrae l'idrogeno dai lipidi: i lipidi seguono una via differente rispetto a quella dei glucidi. Questa via, nonché un'altra sequenza di reazioni chimiche, è detta b-ossidazione (beta ossidazione). I lipidi da cui si ricava energia sono i trigliceridi (o triacilgliceroli). Dalla b-ossidazione si ricava direttamente l'acetilCoA, che può entrare nel ciclo dell'acido citrico. Ma in che cosa consiste il ciclo di Krebs? Il ciclo di Krebs è una sequenza di reazioni chimiche che ha come scopo quello di produrre una combustione controllata (se infatti il processo di combustione non fosse controllato, l'energia che si verrebbe a produrre sarebbe tale da danneggiare la cellula entro cui la reazione avviene): l'idrogeno, il combustibile, viene ceduto, via via, ad accettori sempre più affini sino a raggiungere l'ossigeno, il comburente. In particolare spicca il ruolo di alcune molecole trasportatrici di idrogeno: NAD (nicotinamide adenin dinucleotide) e FAD (flavin adenin dinucleotide). Una volta che l'idrogeno raggiunge l'ossigeno, la reazione di combustione può avvenire. Oltre all'energia metabolica si producono, per ogni ciclo, anche una molecola di anidride carbonica (CO2) e una molecola di acqua (H2O).

Meccanismo anaerobico lattacido

Parliamo ora del meccanismo anaerobico lattacido. Questo si attiva qualora non fosse disponibile una quantità di ossigeno tale da permettere a tutto l'idrogeno presente sui trasportatori di essere scaricato. In questo caso si accumulano NADH e FADH2, ovvero NAD e FAD nella loro forma ridotta, con l'idrogeno legato, cosa questa che blocca la glicolisi, il ciclo di Krebs e la b-ossidazione.

E' una situazione che si può verificare per diversi motivi, ma, sostanzialmente, parlando di una condizione fisiologica, si verifica quando si richiede al muscolo uno sforzo troppo intenso e prolungato perché il meccanismo aerobico riesca a provvedere una quantità di ossigeno sufficiente.

E' qui che entra in gioco il concetto di soglia anaerobica: la soglia anaerobica è quell'intensità di lavoro a cui si produce e si accumula una quantità di lattato tale che a livello ematico raggiunga la quantità di 4mM durante prove di intensità progressivamente crescente. E' quando l'intensità di lavoro raggiunge la Soglia anaerobica che si attiva pienamente il meccanismo anaerobico lattacido.  

Il meccanismo anaerobico lattacido consiste di un'unica reazione che vede la trasformazione del piruvato in lattato con conseguente riformazione di NAD. In altre parole si scarica l'idrogeno sullo stesso prodotto della glicolisi, l'acido piruvico, che diviene acido lattico. Il NAD che si ottiene viene nuovamente impiegato per far funzionare i suddetti meccanismi.

Ora, il lattato, come già detto, è una molecola che non fa comodo all'atleta. Questa deve, in qualche modo, essere smaltita. Esiste un meccanismo apposito per lo smaltimento del lattato detto ciclo muscolo-fegato di Cori: il lattato prodotto all'interno del muscolo viene liberato lentamente in circolo, raggiunge il fegato via sangue e in questa sede viene nuovamente trasformato in piruvato con una reazione inversa rispetto a quella avvenuta nel muscolo. L'enzima che catalizza questa reazione è lo stesso, ovvero la LDH (lattatodeidrogenasi). L'acido piruvico prodotto a livello epatico viene utilizzato dal fegato per altre reazioni.

Enzimi

Gli enzimi sono strutture chimiche (generalmente proteine) che hanno il compito di velocizzare delle reazioni altrimenti lentissime ad avvenire. Agiscono abbassando la cosiddetta barriera di attivazione. Alcuni di essi sono di vitale importanza per gli esseri umani.

Metabolismo anaerobico alattacido

Infine il meccanismo anaerobico alattacido. Questo meccanismo si serve di una molecola detta fosfocreatina. Il meccanismo funziona distaccando un fosfato dalla fosfocreatina, che si degrada spontaneamente in creatinina, e cedendolo all'ADP. Questa, quindi, diviene ATP. Al termine del lavoro occorre rifosforilare la creatina, cosa che avviene a spese di un'altra molecola di ATP in condizioni di riposo, o, comunque, di aerobiosi. In questo modo si sarà nuovamente pronti per affrontare uno sforzo ricorrendo al meccanismo anaerobico alattacido.

Tipi di Sforzo e Fatica

Vediamo ora come, quando e fino a che punto ciascuno di questi meccanismi vengono attivati.

Al principio di uno sforzo fisico le richieste di energia saliranno bruscamente, quindi salirà anche la necessità di consumo di ossigeno per far fronte a tali richieste con il meccanismo aerobico. Questo aumento del consumo di ossigeno, però, non è immediato, ma graduale.

In altre parole, è necessario un po' di tempo prima che il consumo di ossigeno raggiunga il cosiddetto stato stazionario (generalmente tre o quattro minuti), ossia quello stato in cui il consumo di ossigeno e le richieste di consumo si equivalgono.

Nel frattempo, tali richieste saranno soddisfatte dai meccanismi anaerobici. Il primo ad essere attivato, il più immediato, è il meccanismo anaerobico alattacido. Esso fornisce una grande potenza (cioè una grande quantità di energia metabolica nell'unità di tempo), ma le riserve di fosfocreatina si esauriscono presto (tanto prima quanto più lo sforzo è intenso.

Ad ogni modo è questione di pochissimi secondi), quindi, se lo sforzo è tale che non si è ancora raggiunto lo stato stazionario nel consumo di ossigeno quando le riserve di fosfocreatina sono esaurite, si ricorre all'attivazione del meccanismo anaerobico lattacido.

L'acido lattico si smaltisce subito o si accumula a seconda dell'intensità dello sforzo. Il consumo di ossigeno intanto continua a crescere sempre di più sino a che non si raggiunge un massimo oltre il quale, per quanto le richieste siano maggiori, non si riesce ad arrivare. Questo punto è detto massimo consumo di ossigeno (VO2max).

Massimo consumo di ossigeno

Secondo il principio di Fick, il massimo consumo di ossigeno è la massima quantità di ossigeno che l'individuo può consumare nell'unità di tempo. Si esprime spesso in l/min. o in ml/min./Kg di peso corporeo. Il Massimo consumo di ossigeno dipende dalla frequenza cardiaca, dalla gittata sistolica e dalla differenza artero-venosa per l'ossigeno.

L'allenamento è in grado di alzare la soglia del massimo consumo di ossigeno, ma di questo se ne parlerà successivamente in questo articolo.

Quando si raggiunge il massimo consumo di ossigeno e le richieste di energia sono maggiori si dovrà ricorrere ai meccanismi anaerobici.

Il meccanismo lattacido ha pure una potenza superiore a quella dell'aerobico, ma inferiore a quella dell'anaerobico alattacido. E' però più immediato dell'aerobico e meno dell'anaerobico alattacido. E' comunque notevole il fatto che si accumula  progressivamente lattato anche ad un'intensità di lavoro pari al 75% del VO2max.

Recupero: come avviene

Al termine dello sforzo fisico, vi è una cosiddetta fase di recupero.

Per quanto riguarda prettamente ciò che di questa fase di recupero è legato ai meccanismi per la produzione di energia, bisogna introdurre un nuovo importante concetto: il debito di ossigeno.

Nel momento in cui cessa l'attività fisica, l'organismo si dispone per assicurarsi nuovamente la funzionalità dei meccanismi che durante l'attività sono stati completamente saturati, esauriti. Per fare ciò si ha bisogno di altro ossigeno oltre quello consumato durante lo sforzo, il cui consumo, quindi, resta elevato anche per un periodo di tempo, più o meno lungo, al termine dell'attività fisica. Ciò spiega l'iperventilazione, cioè il fiatone, che si ha alla fine di un'attività fisica a ritmo relativamente elevato.

Excess Postexercise Oxygen Consumption

Questa iperventilazione, nello specifico, è chiamata EPOC (Excess Postexercise Oxygen Consumption).

L'ossigeno che si consuma durante questa fase serve a pagare il debito che si è contratto durante lo sforzo, quando sono stati usati altri meccanismi oltre l'aerobico, quindi all'inizio dello sforzo, quando il consumo di ossigeno era in fase di salita, e dopo, nel caso di uno sforzo più intenso.

Si distinguono due diverse fasi del debito di ossigeno: il debito di ossigeno alattacido e il debito di ossigeno lattacido.

Il primo riguarda la quantità di ossigeno che serve per produrre quell'ATP con il meccanismo aerobico che servirà a rifosforilare la creatina, così da rendere nuovamente pronto il meccanismo anaerobico alattacido; riguarda anche la quantità di ossigeno necessaria a risaturare la mioglobina, ossia quella struttura tetramerica che funge da deposito di ossigeno all'interno dei muscoli.

La prima fase riguarda tutti i tipi di sforzi e richiede circa una trentina di secondi per dimezzare il consumo di ossigeno. E' la cosiddetta fase rapida del pagamento del debito di ossigeno.

Il debito di ossigeno lattacido invece riguarda la quantità di ossigeno che servirà a produrre quell'energia da utilizzare per trasformare il piruvato in glucoso attraverso il processo "inverso" della glicolisi (in effetti vi è qualche differenza in alcune reazioni tra le due): la gluconeogenesi.

Riguarda anche il ciclo muscolo fegato di Cori. Questa seconda fase sarebbe la cosiddetta fase lenta del pagamento del debito di ossigeno ed è presente esclusivamente per sforzi particolarmente intensi. E' notevole il fatto che in soggetti abituati agli allenamenti di resistenza, il consumo di ossigeno aumenta più rapidamente durante la fase iniziale dello sforzo, diminuendo così l'entità del debito di ossigeno da pagare successivamente.

I soggetti allenati alla resistenza, infatti, recuperano più velocemente rispetto a soggetti non allenati.

Parametri della Resistenza

Ora, per meglio descrivere le proprietà dei tre meccanismi per la produzione di energia, si possono considerare alcuni parametri:

  1. Potenza: come già chiarito, la potenza è la quantità di energia metabolica che si riesce a ottenere con un determinato meccanismo nell'unità di tempo quando tale meccanismo è completamente attivato;
  2. Capacita: è la quantità totale di energia che si potrebbe sintetizzare se tutti i substrati a disposizione per quel meccanismo fossero consumati.
  3. Resa energetica: è la quantità di energia che si produce per ogni quanto di substrato consumato. Generalmente si fa riferimento, come unità di misura, alle moli.

Per una visione globale di come questi parametri descrivano i tre meccanismi si guardi la seguente tabella (Tratta da "Note scientifiche di teoria e metodologia del movimento umano" di M. Di Carlo. Edizioni asterisco, Bologna, 2004.):

  Potenza (moli di ATP/min)

Capacità (moli di ATP totali)

Resa energetica

Meccanismo aerobico

1 Infinita

36-38 ATP per mole di glucosio; 129 per mole di palmitato

Meccanismo anaerobico alattacido

3,8 0,4

1 ATP per mole di fosfocreatina

Meccanismo anaerobico lattacido

1,9 1,2

2 ATP per mole di glucosio; 3 ATP per mole di glucosio da glicogeno

Chiarita la parte puramente teorica, si può ora scendere sul pratico e parlare delle metodologie di allenamento della resistenza.

Iniziamo subito a delineare la differenza che esiste tra resistenza generale e resistenza speciale e specifica. La prima è quella che riguarda uno sforzo, appunto, di tipo generale, ossia molto lontano dal gesto atletico in sé per cui si sta allenando la resistenza. L'esempio più comune è la corsa.

La seconda, invece, riguarda gesti atletici che richiamano molto di più quelli che normalmente si eseguono in combattimento e per cui è necessario mantenere quanto più a lungo possibile un buon rendimento (per esempio pugni e calci).

Come già precedentemente chiarito, la resistenza generale è importante per chiunque, anche per chi non pratica abitualmente attività fisica o sportiva con ambizioni agonistiche. L'organismo umano, infatti, per natura, ha bisogno di muoversi, di fare dell'attività fisica; se questa possibilità gli viene negata, presto o tardi, si ammala. L'ideale, tra i vari tipi di attività fisica, è, appunto, l'allenamento della resistenza generale, che sviluppa quei presupposti di salute da cui, per restare in tema di Arti marziali, un buon combattente non può prescindere. Più in dettaglio, una buona resistenza generale consente

  • l'aumento delle capacità prestative specifiche (cioè riguardanti esattamente i gesti di gara o, nel nostro caso, i gesti che si compiono in combattimento reale). Ritardando l'affaticamento, infatti, consente più capacità di carichi specifici;
  • il miglioramento delle capacità di recupero garantendo una più rapida eliminazione delle scorie della fatica e il ripristino energetico;
  • la riduzione dei traumi, aumentando le capacità elastiche dei muscoli e aumentando la prontezza di riflessi;
  • l'aumento delle capacità psichiche favorendo una maggiore resistenza allo stress e una maggiore stabilità emotiva;
  • una più elevata capacità di reazione e di azione per via del miglioramento della capacità funzionale del sistema nervoso centrale. Infatti c'è un minore accumulo di scorie della fatica;
  • un migliore controllo della tecnica, quindi una concentrazione maggiore, una fallosità minore, un minore disturbo alla coordinazione fine;
  • una maggiore lucidità tattica, quindi una migliore capacità di decisione e anticipazione (cioè di prevedere l'esito di un'azione già in corso di esecuzione);
  • più in generale, una salute più stabile, a causa di una minore esposizione alle malattie comuni per aumento delle difese immunitarie (mentre l'attività fisica blanda rafforza le difese immunitarie, quella strenua le debilita).

Metodologia dell'Allenamento

Sia per l'allenamento della resistenza generale che per quello della resistenza speciale e specifica (come del resto per tutti gli altri allenamenti), è necessario rispettare dei princìpi metodologici perché l'allenamento abbia la sua efficacia.

  • Vediamo quali sono i più importanti: il primo e più semplice principio, noto un po' a tutti, è che lo stimolo che si dà al corpo durante l'allenamento deve essere affine a ciò che si vuole migliorare. Per esempio, se voglio diventare più rapido, durante gli allenamenti di rapidità devo muovermi rapidamente; se voglio diventare più forte devo sollecitare la mia forza a vincere delle resistenze durante l'allenamento; e così via.
  • E' anche importante che il carico che si propone sia sempre proporzionale alle capacità dell'allievo: in altre parole non si può proporre la stessa esercitazione ad un principiante e ad un allievo anziano. Il principiante dovrà eseguire degli esercizi più semplici (sollevare un carico minore durante gli allenamenti di forzacorrere più lentamente durante gli allenamenti di resistenza ecc.) rispetto all'allievo anziano.
  • Bisogna inoltre garantire una continuità tra le sedute di allenamento. E' necessario infatti allenarsi con costanza! Non ci si può allenare una volta al mese, altrimenti l'allenamento non sortirà il suo effetto.
  • Il carico che si propone deve essere sempre tale che l'allievo debba far fatica a superarlo (ma che comunque ci riesca). Nel momento in cui un esercitazione diventa troppo facile per l'allievo, bisogna proporgliene una più complessa (se a sollevare venti chili alla panca non si fa fatica, bisogna cercare di sollevarne venticinque).
  • Le esercitazioni che si propongono non devono mai essere le stesse, perché se così fosse il livello prestativo dell'allievo si stabilizzerebbe e, dopo un po' di tempo, comincerebbe anche addirittura a calare. Bisogna sviluppare una certa fantasia nel proporre degli stimoli sempre nuovi all'allievo (per esempio, nelle palestre di pesistica ci sono molte macchine anziché una sola proprio per questo motivo: per garantire la possibilità di sollecitare un particolare distretto muscolare in vari modi).
  • Gli stimoli che si propongono all'allievo devono succedersi in modo corretto: se, per esempio, ci si trova a dover insegnare una tecnica ad un allievo, è necessario che lui abbia già sviluppato quei prerequisiti a livello del sistema nervoso, coltivati con esercitazioni apposite, che gli permetteranno di apprenderla.
  • Il carico deve essere sempre seguito da un periodo di recupero, altrimenti lo stress che si procura all'organismo è tale che invece che far crescere il livello prestativo lo fa calare (e con esso, si perde anche la salute).
  • Le esercitazioni devono distinguersi in generali, fondamentali, speciali e specifiche. Più peso dovrà essere dato ad alcuni tipi di esercitazioni piuttosto che ad altri a seconda dell'età e dell'esperienza dell'allievo. Più in dettaglio:

Preparazione Generale

In teoria dell'allenamento, le esercitazioni generali sono le più lontane dal gesto di gara, o, comunque, dal gesto per cui è ricercato l'aumento di prestazione; le esercitazioni fondamentali, le speciali e le specifiche invece sono via via più vicine a riprodurre tale gesto (in particolare le esercitazioni specifiche riproducono il gesto di gara tale quale è).

  Esercizi generali Esercizi fondamentali Esercizi speciali e specifici

Giovanissimi (dai 9 ai 13 anni)

70%

20%

10%

Atleti in evoluzione

50-20%

 

20-30%

Atleti evoluti

10%

40%

50%

Un'ultima nota circa la metodologia dell'allenamento della resistenza: a seconda del ritmo o dei ritmi (e di come questi si alternano tra loro) che si tengono, l'allenamento va a migliorare degli aspetti particolari della resistenza. Vediamo quali sono questi aspetti.

Ritmo blando

Condizionamento generale; adattamenti organici e muscolaricapillarizzazione; recupero; eliminazione scorie; rigenerazione tissutale; ricostituzione energie; mantenimento e consolidamento degli adattamenti.

Ritmo medio

Più efficiente metabolismo degli acidi grassi; più alta capacità di resistenza.

Progressione del ritmo

Capacità di coordinazione e differenziazione, quindi un maggiore controllo della tecnica (cosa, questa, che riguarda la resistenza, anche se in modo indiretto, poiché una buona coordinazione favorisce l'esecuzione di movimenti economici che non danno luogo a sprechi di energia cinetica); più efficiente impiego dei substrati; resistenza aerobica speciale.

Variazioni brevi del ritmo

Attivazione delle fibre veloci; resistenza alla forza; smaltimento del lattato; stimolo alle frequenze cardiache massime; stimoli alla soglia anaerobica.

Il muscolo scheletrico è costituito da tre differenti tipi di fibre: fibre Ia; fibre IIa e fibre di tipo IIb. Le prime, dette anche fibre rosse, fibre lente o STF sono capaci di grande resistenza ma di scarsa velocità. Le ultime, invece, dette anche fibre biancherapide o FTF hanno tutte le caratteristiche opposte alle prime. Le fibre di tipo IIa hanno caratteristiche intermedie e sono le più allenabili. Infatti queste si possono orientare verso l'una o l'altra direzione a seconda di come le si allena (quindi attenzione a non esagerare con le sedute di corsa lenta lunga altrimenti le fibre dei muscoli scheletrici interessati finiranno per diventare troppo lente).

Variazioni medie e lunghe del ritmo

Efficienza dei meccanismi di recupero; svuotamento delle fibre; resistenza mentale.

Esercitazioni con intervalli

Efficienza della pompa cardiaca; resistenza muscolare speciale; velocità di recupero; stimoli speciali di potenza aerobica; stimoli di resistenza anaerobica; allenamenti di efficienza tecnica. Le esercitazioni con intervalli si possono fare in modi differenti: si possono fare con il metodo delle pause incomplete (cioè si riprende a lavorare prima di aver recuperato del tutto) sia a ritmi moderati, sia a ritmi medi, sia a ritmi concitati. L'interval training classico prevede quest'ultima metodologia. Le esercitazioni con intervalli si possono fare anche con il metodo delle pause complete (si riprende a lavorare solo dopo che si ha recuperato "completamente"). Quest'ultima metodologia è utilizzata per l'allenamento alla resistenza alla velocità (ossia alla capacità di mantenere costante la rapidità dei propri movimenti quanto più a lungo possibile).

Ritmo concitato

Maggiore velocità nel consumo di ossigeno; stimolo alla soglia anaerobica.

Lavoro contro resistenze (ad esempio con dei piccoli manubri in mano)

Resistenza muscolare locale; potenza aerobica; resistenza aerobica (ossia la capacità di mantenere costante nel tempo la frequenza cardiaca e l'intensità di esercizio).

Ripetute brevi contro resistenze

Resistenza muscolare locale; capacità del meccanismo anaerobico alattacido; frequenze cardiache massime; forza resistente; reclutamento delle fibre veloci - la forza resistente è una particolare espressione della forza. E' la capacità di opporsi ad una resistenza quanto più a lungo possibile.

Prove ripetute più o meno lunghe

Stimoli di potenza anaerobica; stimoli di resistenza alla velocità.

Pianificare gli Obbiettivi

La prima cosa da fare quando si intende iniziare un allenamento di resistenza se si è completamente digiuni in proposito è iniziare con degli allenamenti generali. La corsa è un allenamento tipo, ma anche pedalare o saltare la funicella va bene. Ecco qui di seguito gli obbiettivi che ci si dovrebbe proporre quando si comincia ad allenare la resistenza prendendo la corsa come modello:

  1. Cercare di correre per almeno 15-20min. In una stessa sessione di allenamento, anche fermandosi ogni tanto per riposare e per poi riprendere ad allenarsi. Ad esempio ci si può fermare per 1min. ogni 3-5min. di corsa.
  2. Quando si prende confidenza con l'allenamento descritto al punto 1, si può iniziare a ridurre la durata e/o il numero di pause che si effettuano durante la corsa. Man mano che si continua a stimolare la resistenza a questo modo si riuscirà a ridurre il tempo dell'allenamento dedicato al recupero sino ad eliminare del tutto le pause (non prima di due o tre settimane di allenamento).
  3. A questo punto si deve cercare di aumentare gradualmente la durata della corsa sino ad arrivare almeno a fare 30min. di fila.
  4. Raggiunto l'obbiettivo del punto 3 si devono cominciare le esercitazioni di corsa continua con alcune variazioni di ritmo: quindi si fanno dei tratti di 1-3 min. a ritmi più elevati seguiti da tratti di 5-6min. a ritmi più blandi (è importante che i tratti a ritmo blando durino di più di quelli a ritmo elevato).
  5. Una volta che si riesce a raggiungere l'obbiettivo del punto precedente, si deve cercare di ridurre gradualmente il tempo e il numero dei tratti a ritmo più blando.
  6. A questo punto si deve cercare di aumentare, sempre gradualmente, la durata della corsa sino a raggiungere un tempo di almeno 1ora di corsa continua.
  7. Quando si riesce a correre per almeno un ora senza fermarsi per riprendere fiato si dovrà cercare di aumentare gradualmente la velocità della corsa.
  8. Quando si pensa che non si può riuscire a migliorare più significa che è arrivato il momento di introdurre le esercitazioni speciali per la resistenza.

Esercitazioni per la Resistenza Speciale

Propongo ora alcuni esempi di esercitazioni per la resistenza speciale. Premetto che per quanto questi esercizi siano programmati appositamente per il combattimento reale, possono essere utilizzati anche da chi si dedica al combattimento sportivo (kickboxing, savate, boxe, thai ecc.), solo che, ovviamente, in questo caso dovranno essere più frequenti, vista la lunghezza e la natura degli sforzi che tali discipline presuppongono.

  • Esercizio 1: esecuzione: in guardia di fronte al sacco, eseguire una serie di jab e diretti alternati contro il sacco. Ritmo: medio. Riprese: 3. Durata della ripresa: 1min. Pausa tra una ripresa e l'altra: 30sec
  • Esercizio 2: esecuzione: in guardia di fronte al sacco, eseguire una serie di jab e diretti alternati contro il sacco. Ritmo: medio-concitato. Riprese: 3. Durata della ripresa: 1min. Pausa tra una ripresa e l'altra: 2min.
  • Esercizio 3: esecuzione: in guardia di fronte al sacco. Presa ad una mano al sacco (la presa ad una mano è una tecnica utilizzata nel pugilato tailandese per afferrare il collo dell'avversario in modo da prepararsi per colpire di solito con una ginocchiata. E' effettuata quando l'avversario si trova davanti e di lato rispetto all'esecutore: l'arto superiore interessato è extraruotato con il palmo della mano appoggiato sulla nuca dell'avversario. Solitamente si effettua fuori della guardia dell'avversario). Sferrare delle ginocchiate laterali ascendenti. Ogni quindici ginocchiate cambiare la mano che afferra e cambiare il ginocchio che colpisce. Ritmo: in progressivo aumento (aumentare, per esempio, ogni 20sec.). Riprese: 3. Durata della ripresa: 1min. Pausa tra una ripresa e l'altra: 1min. e 30sec.
  • Esercizio 4: esecuzione: in guardia di fronte al sacco. Presa ad una mano al sacco. Sferrare delle ginocchiate laterali ascendenti. Ogni quindici colpi cambiare la mano che afferra e cambiare il ginocchio che colpisce. Ogni 30 sec., riposarsi 15sec. per poi riprendere con altri 30sec. sino alla fine della ripresa (cercando di aver cura di non trascurare il lavoro con un arto per lavorare troppo con l'altro). Ritmo: medio-concitato. Riprese: 3. Durata della ripresa: 1min. Pausa tra una ripresa e l'altra: 2min.
  • Esercizio 5: esecuzione: in guardia di fronte al sacco. Sferrare dei calci circolari al sacco alternando un colpo sferrato con la gamba sinistra e un colpo sferrato con la gamba destra. Ritmo: in progressivo aumento (aumentare ogni 30 sec). Riprese: 3. Durata della ripresa: 2min. Pausa tra una ripresa e l'altra: 1min. e 30sec.
  • Esercizio 6: esecuzione: in guardia di fronte al sacco. Sferrare dei ganci al sacco alternando un colpo sferrato con la mano sinistra e un colpo sferrato con la mano destra. Ritmo: in progressivo aumento (aumentare ogni 30sec.) sino a metà della ripresa e poi in calo progressivo (diminuire ogni 30sec.) sino alla conclusione della ripresa. Riprese: 3. Durata della ripresa: 3min. Pausa tra una ripresa e l'altra: 1min. e 30sec.
  • Esercizio 7: esecuzione: in guardia di fronte al sacco. Sferrare dei montanti al sacco alternando un pugno sferrato con la mano sinistra e un pugno sferrato con la mano destra. Ritmo: concitato. Riprese: 1. Durata della ripresa. 2min.
  • Esercizio 8: come l'esercizio 1 solo che invece di lavorare al sacco si lavora all'ombra (cioè a vuoto) con un manubrio da mezzo chilo in ciascuna mano.
  • Esercizio 9: come l'esercizio 2 solo che invece di lavorare al sacco si lavora all'ombra con un manubrio da mezzo chilo in ciascuna mano.

Si tenga presente che tutti i numeri dati in questi esempi (riprese, minuti di pausa ecc.) sono puramente indicativi. Ciascuno deve strutturare il proprio programma di allenamento in base al suo attuale livello prestativo.

Se non si ha conoscenza di quelle che sono le proprie capacità, si dovrà procedere effettuando l'allenamento in forma molto blanda. Così facendo si avrà modo di conoscere se stessi e le sensazioni che il proprio corpo darà durante l'allenamento. Quando si pensa di poter aumentare il livello di difficoltà, lo si fa, ma sempre con prudenza. Questi allenamenti, così strutturati, si chiamano microcicli graduali.

Bibliografia

  • "Manuale di teoria dell'allenamento", di D. Harre, K. Carl, K. Lehnertz; Società Stampa Sportiva; Roma, 2004.
  • "Biochimica", di L. Stayer; Zanichelli;
  • "Note scientifiche di teoria e metodologia del movimento umano", di M. Di Carlo; Edizioni Asterisco; Bologna, 2003.